Abstract
Il saggio ricostruisce la storia e lo stato dell’arte di un interessante progetto della FIAF (Fédération Internationale des Archives du Film): la messa a punto di un importante strumento informatico di mappatura dei film muti, dalle origini del cinema, conservati nelle cineteche aderenti alla FIAF, denominato Treasures from the Film Archives.
In calce il pdf del contributo.
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La storia del cinema, dal punto di vista della conservazione del patrimonio, è un continuo susseguirsi di perdite, spesso irreversibili e molto ingenti, soprattutto per quanto riguarda il cinema muto, di cui si stima che sia sopravvissuto uno scarso trenta per cento rispetto a quanto effettivamente realizzato.
Tentare un recupero, anche solo della conoscenza, rispetto a una tale dispersione è un’opera quasi disperata, cui lavorano incessantemente le cineteche e gli storici del cinema, con la conservazione e lo studio del patrimonio già acquisito e attraverso la ricerca e raccolta di quanto è ancora disperso. I margini di successo sono minimi, in quanto ogni anno vengono acquisiti, identificati e preservati film considerati perduti, ma sempre in percentuali irrisorie rispetto alla stima generale dei film realizzati all’epoca del muto.
La nozione di film come “bene culturale”, con la conseguente presa di coscienza della necessità di una sua conservazione e tutela, è stata sancita nel 1980 dall’UNESCO Recommendation for the Safeguarding and Preservation of Moving Images[1] ma recepita, in Italia, a livello di legge, soltanto nel 2004 con il nuovo Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio[2].
L’affermarsi di questa nozione è stato un processo discontinuo, che ha preso il via precocemente con teorizzazioni come quella del 1898 dello storico polacco Boleslas Matuszewski[3], ma ha continuato ad alterne velocità, con le prime cineteche “nazionali” istituite negli anni ‘30 e poi grazie anche all’operato di singoli, cinefili e storici, che hanno fondato dei considerevoli nuclei di raccolta recuperando vecchie pellicole dai depositi dei cinema, dai magazzini dei distributori o salvandole letteralmente dal macero[4].
Questo processo è sempre stato fortemente condizionato dall’industria cinematografica, che, nella tripartizione classica di produzione-distribuzione-esercizio, ha sempre deciso il ciclo di vita delle opere e dei relativi materiali. L’incuria nella conservazione ha fatto il resto e un enorme patrimonio, soprattutto quello dell’epoca del muto, si è letteralmente disperso.
Quanto si conserva, pertanto, è il risultato di una selezione solo in parte consapevole, perché, se si escludono isolati esempi di lungimiranza da parte delle case di produzione e degli aventi diritto o politiche di salvaguardia istituzionali basate di volta in volta su canoni storico-estetici contingenti, la sopravvivenza delle opere è spesso frutto del caso, secondo un paradigma che rispecchia in maniera inquietante la trasmissione dei classici durante il Medioevo.
Alle varie cause di distruzione e perdita del patrimonio si è aggiunta, nel tempo, una componente intangibile, costituita dall’ “oblio”, dalla mancanza di circolazione di informazioni. Oltre alla dispersione fisica dei supporti, c’è stata spesso una inesorabile rimozione dalla memoria storica. Per poter ricostruire i contesti e determinare l’entità del patrimonio nel suo insieme, la ricerca deve procedere con metodo storico, non solo attraverso il reperimento dei materiali filmici sopravvissuti, ma anche, imprescindibilmente, delle fonti ad essi collegate, come i documenti di produzione, i materiali promozionali, le notizie sulla programmazione, etc.
Nel lungo percorso di messa a fuoco del concetto di film heritage, la fondazione della FIAF (Fédération Internationale des Archives du Film), avvenuta a Parigi nel 1938, ha costituito un caposaldo e ha permesso di sviluppare in maniera “collettiva” metodi e strumenti per una conoscenza sempre più esaustiva delle opere, dei materiali sopravvissuti e della loro dislocazione. Sono state, ad esempio, elaborate le regole di catalogazione specifiche per le immagini in movimento e al tempo stesso compatibili con il mondo biblioteconomico[5], è stato sviluppato un vasto glossario multilingue dei termini filmografici[6], e inoltre, tra i tanti altri progetti, nei primi anni’90, quando il concetto di interoperabilità era poco più di un auspicio, è stato creato l’importante strumento informatico di mappatura dei film muti conservati nelle cineteche FIAF chiamato Treasures from the Film Archives.
Il progetto, all’epoca pionieristico, prese spunto da un volume del 1988 intitolato proprio Treasures from the Film Archives: A Catalog of Short Silent Fiction Films Held by Fiaf Archives, curato da Ron Magliozzi[7], all’epoca archivista del Film Department Museum of Modern Art, oggi associate curator, nel quale, grazie a una ricognizione effettuata attraverso venticinque nazioni e più di trenta cineteche FIAF, venivano per la prima volta resi noti gli archivi di conservazione di novemila film muti di varia nazionalità (9033 per l’esattezza), elencati per nazione e anno.
Questo catalogo rompeva la storica riservatezza delle cineteche, in gran parte dovuta al loro ruolo ibrido (e ancora in parte irrisolto) rispetto ai produttori e ai detentori dei copyright sui film conservati, per cui le informazioni sui film posseduti avevano fino a quel momento circolato solo in forma di dossiers confidenziali o semi-ufficiali, come il fantomatico Embryo: a preliminary census of materials relating to short silent films in the collections of F.I.A.F. members, catalogo predisposto nel 1967 dallo Staatliches Filmarchiv della DDR[8], di cui ancora qualche copia si conserva negli scaffali delle cineteche e nella memoria dei cinetecari più anziani. Il dossier Embryo, il cui titolo rispecchia esattamente la sua natura di un primo, “embrionale” censimento dei film muti, costituì anche il punto di partenza per la ricognizione di Magliozzi, il cui scrupolo, nella compilazione delle liste, fu proprio quello di limitarsi alla selezione “Embryo”, includendo soltanto film di fiction e di lunghezza inferiore ai 4000 piedi (circa 1200 metri). In questo modo si evitava il rischio di diffondere notizie sensibili sui grandi lungometraggi del muto conservati dalle cineteche e al tempo stesso si riusciva ad operare entro un contesto tutto sommato circoscrivibile, tralasciando la vastissima e ancora poco indagata produzione di non-fiction.
Ron Magliozzi dal 1990 svolgeva anche il ruolo di capo della Commissione Documentazione FIAF e in questa veste lanciò l’idea di inserire in un database i dati contenuti nel suo recente catalogo a stampa; con lui condivise il progetto Susan Dalton, altra figura fondamentale nel panorama cinetecario statunitense (purtroppo scomparsa nel 2013), all’epoca direttrice dei progetti di preservazione del patrimonio cinematografico presso il National Center for Film and Video Preservation dell’AFI (American Film Institute) di Washington.
Il progetto di database fu quindi lanciato e sostenuto dalla Commissione Documentazione FIAF, e poi, nella sua fase di elaborazione, supportato dall’AFI (American Film Institute). Susan Dalton si occupò della progettazione, utilizzando il software Cuadra Star, uno dei primi impiegati negli archivi statunitensi, mentre i dati furono direttamente inseriti dai due curatori con l’aiuto del personale dell’AFI.
La decisione di intraprendere il progetto, aggiornando e rendendo “vivo” un catalogo che già di per sé aveva un valore rivoluzionario, fu una specie di salto nel vuoto, di scommessa sul futuro dell’informazione, in un’epoca in cui nelle cineteche la dicotomia tra il “conservare” e il “mostrare” non aveva ancora avuto solide vie di compromesso. Nelle cineteche, infatti, al ruolo basilare dell’acquisire, spesso anche fuori dalle regole, e di conservare il patrimonio senza comunicarlo e mostrarlo, per non incappare nelle rimostranze degli aventi diritto e nel rischio di vincoli o espropri, si è sempre opposta con forza la vocazione del mostrare, ad ogni costo, senza preoccuparsi delle limitazioni giuridiche, e spesso anche a scapito della stessa integrità dei materiali.
Questa diatriba ha, per almeno tre decenni (anni ’50 - ’80), caratterizzato schieramenti opposti nel mondo delle cineteche, con estremismi leggendari, come quello di Henri Langlois, fondatore della Cinémathèque Française, la cui politica culturale tutta volta al “mostrare”, tanto affascinante nella sua spregiudicatezza intellettuale quanto scellerata nella sua mancanza di prospettiva di conservazione, lo condusse nel 1959 ad uscire dalla FIAF per dissidi insanabili con i vertici della federazione[9]. Il dibattito interno alla FIAF ha poi negli anni composto gli attriti, giungendo a definire non solo le finalità universali e no-profit degli archivi di film, ma anche il relativo codice professionale ed etico (1997), delineando un universo in cui conservazione, tutela e valorizzazione del patrimonio finiscono per completarsi e limitarsi virtuosamente a vicenda[10].
La prima uscita ufficiale di Treasures from the Film Archives avvenne nel 1994, nell’ambito di una pubblicazione periodica della FIAF su CD-Rom, in cui, oltre a quest’ultimo database, erano contenuti anche la Directory degli affiliati, la Bibliography, bibliografia della pubblicazioni degli archivi membri FIAF, ora interrotta, e l’Index of Periodicals, altro database fondamentale per la ricerca in campo cinematografico, che si occupa dell’indicizzazione tematica degli articoli contenuti nelle riviste di cinema (a partire dal 1972) e che ha visto negli anni un incremento notevole[11].
Il prototipo uscito nel 1994 conteneva soltanto un migliaio di titoli e continuò ad essere aggiornato per qualche anno, con progressi lenti ma costanti, fino al 1997, quando, con l’uscita di Susan Dalton dall’AFI, non fu interrotto.
Solo nel 2000 Nancy Goldman del Pacific Film Archive di Berkeley, nuovo head della Commissione Catalogazione e Documentazione della FIAF, rilanciò il progetto, con il sostegno dell’allora presidente della federazione, il messicano Ivan Trujillo e di Paolo Cherchi Usai, curatore della George Eastman House di Rochester e all’epoca membro del Comitato Esecutivo della FIAF. Il primo passo fu di consultare le cineteche sulla continuazione del progetto: si doveva infatti ripartire, chiedendo ufficialmente agli archivi se volessero confermare o meno la presenza dei loro dati nel database e continuare a collaborare all’aggiornamento. Nessun archivio si oppose al progetto, né chiese di rimuovere i propri dati dal database. Grazie al supporto materiale e logistico del Pacific Film Archive di Berkeley, da quel momento il progetto riprese il via e fino ad oggi non si è mai interrotto, nonostante ripetute difficoltà legate alla garanzia di continuità del supporto finanziario, assicurato di volta in volta da istituzioni o da fondazioni private.
Negli anni, l’aggiornamento è stato costante e ha proceduto con integrazioni con cadenza almeno annuale e attraverso un’elaborazione continua dei dati già presenti, finalizzata a sistematizzare ed eliminare doppioni e ripetizioni; al tutto, si deve aggiungere poi il grande lavoro informatico di adattamento dall’iniziale Cuadra Star a FileMaker Pro.
L’attuale Treasures from the Film Archives comprende una porzione significativa dei film muti sopravvissuti, inclusi i diversi generi che erano stati esclusi in prima battuta, vale a dire i lungometraggi e i film di non-fiction. Nel database è infatti confluita, nel corso degli anni, un’enorme mole di dati, per un quantitativo che, dai circa mille records iniziali, supera oggi i cinquantamila. Il dato, per quanto impressionante, è ancora incompleto, in considerazione del fatto che l’inserimento e la revisione vanno in parallelo con il progredire del lavoro di analisi, identificazione e restauro delle collezioni di cinema muto nelle singole cineteche. Pur essendo l’adesione al progetto su base volontaria, la collaborazione degli archivi FIAF ha visto un incremento notevole e il database include oggi i dati relativi a circa il 70% per cento degli attuali archivi aderenti (112 su 153, di cui 83 affiliati e 70 associati), e riporta informazioni filmografiche verificate e integrate, quando possibile, attingendo a fonti secondarie, quali filmografie, cataloghi di festival e varia altra letteratura scientifica.
Come già osservato, il lavoro consiste anche in una continua revisione dei dati, sia da parte dello staff addetto che da parte delle cineteche che partecipano al progetto: si consideri, ad esempio, che nel 2015 sono stati trattati i dati definitivi riguardanti la ricchissima collezione Desmet, conservata dall’EYE Film Institute di Amsterdam e nel 2010 dichiarata patrimonio UNESCO, costituita da oltre novecento film muti di diversa nazionalità,[12] e, contemporaneamente, sugli oltre cinquemila elementi conservati dagli Archives Françaises du Film del Centre National du Cinéma et de l’Image Animée.
Nella sua versione aggiornata al 2015, il database è accessibile sottoscrivendo online, a pagamento, un “pacchetto” denominato FIAF Databases Online che include, oltre ai Treasures, anche l’importante Periodical Indexing Project (P.I.P.), che costituisce l’evoluzione dell’Index of Periodicals di cui si è parlato sopra. L’accesso individuale quindi non è libero, ma sono molte le biblioteche, e le stesse cineteche appartenenti alla rete FIAF, che lo acquistano e lo rendono disponibile agli utenti[13].
L’imponente mole di dati raccolti permette già una prima valutazione sull’entità e sulle caratteristiche di quanto conservato e dichiarato, ovviamente con tutte le riserve del caso e cercando di resistere alla tentazione di farne un quadro sistematico, tenendo presente che l’insieme dei dati disponibili non può ancora costituire una base di calcolo del tutto attendibile. Ad esempio, i film muti di produzione italiana vi rappresentano poco più del 4% del totale e si trovano al quarto posto dopo quelli prodotti negli Stati Uniti (35%), nel Regno Unito (19%), in Francia (17%) e in Germania (5,7%). Queste percentuali a grandi linee rispecchiano l’entità della produzione cinematografica nelle rispettive nazioni all’epoca del muto, ma probabilmente sono anche, in qualche misura, condizionate dalla maggiore o minore incidenza di effettive politiche nazionali di conservazione dei film. E’ interessante tentare anche una verifica sulla distribuzione globale del patrimonio e in questo caso, ad esempio, la “quota” conservata nelle cineteche italiane corrisponderebbe a circa il 9,5% del totale dichiarato nel database, corrispondenti a 5074 records, di cui poco più di un terzo di produzione italiana e tutto il resto di produzione estera.
Per quanto riguarda il futuro, è in corso la progettazione della migrazione dei dati dal FileMakerPro a un software più versatile, che permetta una gestione più articolata e faciliti l’individuazione univoca per titolo, anche in previsione di una possibile interoperabilità con le banche dati dei singoli archivi. Ed è proprio l’interoperabilità che la creazione di questo database nel 1994 ha precorso e che, in qualche modo, si trova ancora a sostituire, perché, nonostante le cineteche si stiano dotando di sistemi di catalogazione informatizzata sempre più efficaci e standardizzati, è ancora più frequente trovare online le intere banche dati di molte cineteche[14], in forma completa o limitata, piuttosto che vedere interagire tra loro sistemi di istituzioni diverse. Grazie ai Treasures, invece, almeno per quanto riguarda il cinema muto, è oggi possibile una condivisione di informazioni su scala mondiale e ciò permette di determinare, con un margine di probabilità piuttosto soddisfacente (è ancora difficile calcolarlo con precisione, ma senz’altro ha già ampiamente superato il 50%), se i materiali di un film muto dichiarati nel database siano in copia unica o appartengano ad opere o a varianti già preservate.
Questo progetto, ambizioso e quasi utopistico fin dai suoi inizi, costituisce invece, ad oggi, uno strumento imprescindibile nell’elaborazione delle strategie di tutela del patrimonio filmico e delle politiche culturali che ne derivano, mentre, in senso più universale, si pone in utile relazione con la ricerca storico-filmografica, poiché offre la possibilità di un vero e proprio censimento in progress di quanto, rispetto alla vastissima produzione del cinema muto attestata dalle fonti, è riuscito ad arrivare fino a noi.
In apertura: fotogramma dal film Malombra, regia di Carmine Gallone, Cines, 1917.
[1] UNESCO Recommendation for the Safeguarding and Preservation of Moving Images: http://www.fiafnet.org/images/tinyUpload/E-Resources/Official-Documents/Protected%20Files/1980%20Unesco%20recommendation.pdf (u.c. marzo 2016).
[2] D.L. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 10, comma 4, lettera e art. 11, comma 1 lettera f.
[3] Boleslas Matuszewski, Une nouvelle source de l'histoire, Paris, 1898 (https://archive.org/details/unenouvellesourc00matu) e La photographie animée, Paris, 1898 : in questi trattati si affermano per la prima volta il valore storico dell’immagine animata e la conseguente necessità di archivi nazionali dedicati (u.c. marzo 2016).
[4] In Italia si ricordano in particolare le figure a Maria Adriana Prolo, fondatrice del Museo del Cinema di Torino, e a Gianni Comencini, iniziatore, insieme a Walter Alberti, della Cineteca Italiana di Milano, mentre l’istituzione della Cineteca Nazionale all’interno del Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma risale alla cosiddetta “legge Andreotti” (n. 958/1949).
[5] FIAF Cataloguing Rules for Film Archives, a cura di H.W. Harrison, Munich, London, New York, Paris, Saur, 1991 (di cui un totale aggiornamento è di prossima pubblicazione), consultabili in: http://www.fiafnet.org/images/tinyUpload/E-Resources/Commission-And-PIP-Resources/CDC-resources/FIAF_Cat_Rules.pdf (u.c. marzo 2016).
[6] Glossary of Filmographic Terms, a cura di J. Gartenberg, FIAF, Bruxelles 1985, ora nella sua versione “elettronica” completamente rivista e aggiornata, in tredici lingue: http://www.fiafnet.org/pages/E-Resources/Glossary.html (u.c. marzo 2016) .
[7] Treasures from the Film Archives: A Catalog of Short Silent Fiction Films Held by FIAF Archives, a cura di Ron Magliozzi, Metuchen, N. J. Scarecrow, 1988.
[8] Embryo: A Preliminary Census of Materials Relating to Short Silent Fictional Films in the Collection of F.I.A.F. members / prepared for F.I.A.F. by Staatliches Filmarchiv der DDR, Berlin, Staatliches Filmarchiv der Deutschen Demokratischen Republik, 1967.
[9] Sul dibattito tra il “mostrare” e il “conservare” e sulla figura di Henri Langlois: R. Borde, Les cinémathèques, Lausanne, Editions l'Age d'Homme, 1983, pp. 137-138; E. Le Roy, Cinémathèques et archives du film, Armand Colin, Paris, 2013, cap. 6.
[10] Sui documenti fondamentali dell’ “archivistica” cinematografica e audiovisiva, si veda la sezione “Vision” nel sito web della FIAF, e in particolare i seguenti: statuto e regole FIAF: http://www.fiafnet.org/pages/E-Resources/FIAF-Statutes-and-Rules.html (u.c. marzo 2016); codice etico: http://www.fiafnet.org/pages/Community/Code-Of-Ethics.html (u.c. marzo 2016).
[11]P. Konlechner, International Film Archive CD-Rom, “Journal of Film Preservation”, XXII: 49, Ottobre 1994, pp. 15-17; sulla consistenza attuale del database P.I.P., Periodical Indexing Project, già Index of Periodicals: http://www.fiafnet.org/pages/Community/Periodicals-Indexing-Project.html (u.c. marzo 2016).
[12] Unesco – Memory of the World Register: http://www.unesco.org/new/en/communication-and-information/flagship-project-activities/memory-of-the-world/register/full-list-of-registered-heritage/registered-heritage-page-2/desmet-collection/ (u.c. marzo 2016).
[13]Sulle modalità di acquisto e di accesso al database : http://www.fiafnet.org/pages/Publications/Access-FIAF-Databases.html (u.c. marzo 2016). Un punto di accesso è rappresentato, ad esempio, dalla Biblioteca L. Chiarini del Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma.
[14] Un esempio significativo, per consistenza, completezza e struttura, è la banca dati del BFI, British Film Institute – National Archive: http://collections-search.bfi.org.uk/web (u.c. marzo 2016).