Venerdì, 31 Gennaio 2014

Il patrimonio fotografico di Adolfo Porry-Pastorel. Storia e trattamento

Sabrina Zaghini
Sezione Studi

In calce il pdf del saggio.

Il saggio ripercorre la biografia e la storia del patrimonio fotografico di Adolfo Porry-Pastorel, considerato il padre del fotogiornalismo italiano, disseminato e custodito da diversi soggetti conservatori. Nella seconda parte l’autrice si concentra sul trattamento conservativo, sulla catalogazione e sulla valorizzazione del “Fondo fotografico Pastorel” presso l’archivio dell’Istituto Luce, con una analisi qualitativa delle scelte operate nella descrizione del fondo.

The essay traces the biography and the history of the Adolfo Porry-Pastorel’s photographic heritage, considered the father of Italian photojournalism, littered and guarded by several conservative parties. In the second part, the author focuses on conservative treatment, the cataloging and enhancement of the "Fund Pastorel photo" at the Istituto Luce archive, with a qualitative analysis of the choices made in the description of the fund.

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Per descrivere brevemente il panorama italiano, e per meglio collocare la figura di Adolfo Porry-Pastorel, occorre dire che, nel clima culturale che caratterizzava il periodo che va dagli anni Venti agli anni Quaranta del Novecento, e nel quale Porry-Pastorel si è formato, si intendeva il ruolo della fotografia nei mass media di allora, giornali in particolare, come complemento per la descrizione dei fatti di cronaca. Come ha scritto Maurizio Ridolfi [1], proprio i luoghi della vita quotidiana, all’indomani della costruzione dello Stato-nazione italiano, consentono non solo il rafforzamento del sentimento di cittadinanza, ma soprattutto la possibilità di costruire una mappa della sfera pubblica.

I personaggi che avevano fatto l’Italia, così come i modelli sociali, gli stili di vita, l’identità di gruppo, tutto declinato nel senso della costruzione dell’identità italiana, vengono veicolati attraverso fotografie tratte dalla vita scolastica, dalla vita militare, dal tempo libero, dai conflitti sociali, dalla vita quotidiana in un mercato, per strada, in un anfiteatro, nei giardini pubblici, nei “bagni”, aspettando il tram e così via, stabilendosi così i modi in cui le persone vivono e i modi in cui rappresentano se stessi in quanto italiani [2]. Rotocalchi e fotogiornalismo, così, assumono la funzione di descrittori di mutamenti culturali, di costume, di stili di vita e di modi di comportamento. La diffusione “di massa” di questi strumenti ha ovviamente un impatto sul processo di costruzione di una identità collettiva nazionale che nasce laddove prima c’erano particolarismo, storie locali e folklore [3].

Nato a Vittorio Veneto in provincia di Treviso il 14 novembre 1888, Adolfo Porry-Pastorel deve il suo cognome al nonno francese che si trasferì appena sposo in Italia circa nella seconda metà dell'Ottocento. Suo padre, Gustavo, era un ufficiale dei bersaglieri e per questo soggetto a continui spostamenti (i fratelli di Adolfo Porry-Pastorel nacquero un po' in tutta Italia), ma finì la sua carriera a Roma dove morì nel 1900 lasciando tredici orfani. A prendersi cura della famiglia fu il padrino di Porry-Pastorel, Ottorino Raimondi che in quel periodo era corrispondente del Corriere della Sera.

Già all'età di dodici anni Adolfo Porry-Pastorel si interessava al lavoro che si svolgeva al giornale e seguiva Ottorino Raimondi sempre come un ombra. Dopo la scuola invece di andare a giocare, il giovane Porry-Pastorel andava nella tipografia dove all’epoca si stampava «Il Messaggero» (il più popolare giornale di Roma) e rimaneva vicino ai tipografi, ai cronisti e imparava avidamente le tecniche del lavoro che adorava ogni giorno di più. Quando nel 1906 Ottorino Raimondi divenne direttore de «Il Messaggero», assunse Porry-Pastorel come cronista che iniziò con grande entusiasmo il suo nuovo lavoro seguendo scrupolosamente le regole che Ottorino Raimondi gli aveva dato: “... fotografare la situazione con la mente, tradurre poi la fotografia in parole, il minor numero possibile, ma nel modo più efficace” [4].

Un giorno, mentre Porry-Pastorel stava uscendo per andare ad effettuare un servizio di cronaca chiese a Ottorino Raimondi, che ogni volta gli ricordava le regole per lui fondamentali per divenire un bravo fotoreporter, se non fosse stato meglio fotografare l’evento con una Kodak anziché con la mente in maniera tale da dare ai lettori anche le immagini di ciò che si descriveva, almeno quelle degli avvenimenti più importanti. Come già accennato, fino ad allora i più salienti fatti di cronaca erano illustrati dai disegnatori e l'idea di Adolfo Porry-Pastorel poteva veramente rivoluzionare il giornalismo italiano.

Nei primi anni del Novecento a Roma non c'erano ancora laboratori di fotoincisione e dopo un viaggio in Germania, dove andò per imparare le tecniche della zincografia, Porry-Pastorel ebbe modo di allestire  un laboratorio di fotoincisione presso la scuola di Avviamento Professionale “San Michele”, dove lo stesso Porry-Pastorel teneva un corso di tecnica zincografica che ebbe un grande successo tanto che i suoi allievi divennero i titolari dei laboratori zincografici che da allora operarono a Roma. Fu il quotidiano «La Vita», diretto nel 1908 da Ottorino Raimondi, a pubblicare i primi reportage di Adolfo Porry-Pastorel. Questi ebbero un successo tale che Alberto Bergamini direttore de «ll Giornale d'Italia» offrì un contratto a Porry-Pastorel che non poté rifiutare. Si ritrovò così a lavorare di mattina per «La Vita» e la sera per «Il Giornale d'Italia».

Il suo primo clamoroso servizio avvenne una notte del 1909 quando durante una rapina i coniugi Palmarini, custodi della Banca Bosio in piazza di Pietra vennero uccisi. Porry-Pastorel fu sul posto a scattare le fotografie dell'evento ancora prima dell'arrivo della polizia. I giornali in edicola alle sette del mattino pubblicavano già le foto raccapriccianti e la descrizione dell'evento. 

In cinquant’anni di vita lavorativa, sempre in primo piano Porry-Pastorel ha immortalato i momenti più salienti della vita italiana. Contestualmente al suo lavoro nei quotidiani, «La Vita» e «Il Giornale d'Italia», nel 1908 Porry-Pastorel aprì un'agenzia fotografica: la Foto V.E.D.O., Visioni Editoriali Diffuse Ovunque.

Nella sua agenzia Porry-Pastorel investiva tutti i soldi che guadagnava con i suoi servizi fotografici e istruiva i giovani che erano incuriositi dal lavoro di fotoreporter. L'aiuto più grande per ottenere servizi in esclusiva gli veniva dai suoi informatori; ne aveva in ogni ambiente sociale e questo era dovuto ad un piccolo stratagemma da lui inventato: aveva fatto arrivare direttamente dalla Svizzera degli orologi da tasca per gli uomini, che avevano al posto dei dodici numeri la scritta FOTOVEDOROMA e al centro il numero di telefono dell’agenzia, e acquistato specchietti da borsa per le donne, sul retro dei quali aveva fatto incidere il nome e il numero della Foto V.E.D.O. In questo modo ognuno poteva avvisarlo tempestivamente di ogni tipo di incidente o avvenimento al quale assisteva.

Nel 1915, quando l'Italia entrò in guerra, Adolfo Porry-Pastorel fu sul campo, nelle trincee, dove scattò fotografie che vennero diffuse in tutto il mondo. Fu proprio negli anni della Grande Guerra che le fotografie di Porry-Pastorel “volarono” per la prima volta. “... In una delle retrovie della linea del Piave era stata posizionata una colombaia a rimorchio: un lungo carro a due ruote che conteneva oltre cento piccioni viaggiatori” [5]; grazie al loro orientamento i piccioni erano in grado di tornare nelle città di origine. Adolfo Porry-Pastorel li utilizzava inserendo tra le ali dei piccioni minuscoli zainetti contenenti dispacci, notizie (anche messaggi personali per sua moglie Franca) mentre i negativi venivano arrotolati in piccoli astucci di alluminio che venivano fissati con un laccetto alle zampe dei piccioni e, una volta arrivati a destinazione, i negativi venivano sviluppati in fotografie [6].

Se durante gli anni del governo Giolitti i servizi fotografici di Adolfo Porry-Pastorel si susseguivano copiosamente (questo grazie anche alla simpatia che il Ministro aveva nei confronti del fotoreporter; a volte era lo stesso Giovanni Giolitti ad informare Porry-Pastorel di cerimonie ufficiali o incontri riservati), lo stesso non si può dire avvenisse durante gli anni del fascismo.

Il dissidio tra Benito Mussolini e Porry-Pastorel era nato già nel 1915 quando questi lo immortalò durante l'arresto che ci fu in Piazza Barberini a Roma mentre Mussolini si accingeva a presiedere un comizio interventista [7], ma l’evento più eclatante fu lo scatto che eseguì Adolfo Porry-Pastorel immortalando Benito Mussolini con la piuma del cappello da alta uniforme ripiegata sul volto in modo buffo a causa di un colpo di vento. La fotografia, che ritraeva in modo ridicolo Mussolini, fu venduta anche in Inghilterra dove fu pubblicata e commentata con sarcasmo su alcuni quotidiani. Da allora venne istituita, in Italia, la censura sul materiale fotografico che doveva essere pubblicato.

Innumerevoli altri episodi scandiscono la vita di Porry-Pastorel, che grazie alla sua astuzia riusciva sempre ad essere il primo a pubblicare le fotografie degli eventi più importanti. Tra tutti si ricorda quando nel 1938 Hitler fu in visita ufficiale in Italia e a Napoli ci furono le grandi manovre navali nel golfo. I fotoreporter e i cineoperatori avevano il permesso di riprendere la manifestazione a bordo di un incrociatore sul quale era però impossibile sviluppare e riprodurre le immagini, era necessario aspettare di tornare sulla terra ferma. La genialità di Porry-Pastorel si manifestò anche in quel caso: si imbarcò con la sua inseparabile macchina fotografica Leica e finse di portare con se un baule di vimini a guisa di bagaglio da viaggio mentre in realtà all’interno aveva messo dei piccioni viaggiatori presi a Roma e a Napoli.

Porry-Pastorel durante i servizi,  come i suoi colleghi, scattò varie fotografie, ma poi fingendo un malessere si ritirò in cabina.

Aveva con sé una Tank di bacalite, una sorta di ‘scatola magica’ che altro non era che una piccola camera oscura portatile. In brevissimo tempo sviluppò, fissò, e passò la pellicola nell’alcool perché si asciugasse più rapidamente. Poi ritagliò i fotogrammi ad uno ad uno, li arrotolò e li infilò in piccoli anelli fissati alle zampette dei piccioni e… via! Le foto volarono, nel vero senso della parola, a Roma e a Napoli. Quando personalità e fotografi tornarono a terra, trovarono nelle edicole i giornali con i servizi fotografici di Adolfo Porry-Pastorel [8].

Allora non esistevano gli apparecchi di precisione che ci sono oggi e l’abilità di Adolfo Porry-Pastorel consisteva proprio sulla sua capacità di intuito e messa a fuoco. I mezzi che aveva a disposizione erano apparecchi 9x12 Palmos o Erneman; come illuminazione lampade al magnesio vacublitz sincronizzate 1/10 di secondo che lui modificò in base alle sue esigenze e queste modifiche poi furono adottate dalle industrie per migliorare le apparecchiature in commercio. Apportò modifiche anche alla sua macchina fotografica: le macchine fotografiche Leica avevano il dorso rigido e chiuso, egli vi fece un’ampia apertura rettangolare per potervi più agevolmente e velocemente introdurre la pellicola,  mise delle grosse lenti davanti all’obiettivo ottenendo così un rudimentale teleobiettivo, applicò sulla sua Leica un portalampade con relativa lampadina alimentata prima da una pila rettangolare da 4,5 volts e poi dalla batteria della sua motocicletta. Nacque così il primo flash.

All'inizio degli anni Venti Adolfo Porry-Pastorel iniziò a passare le sue vacanze a Castel San Pietro Romano un paesino arroccato nei pressi di Palestrina in provincia di Roma. Appena  il suo lavoro glielo permetteva egli partiva per Castel San Pietro Romano dove venne accolto con grande entusiasmo dai paesani per il suo carattere estroverso e generoso. A Porry-Pastorel piacque talmente tanto quel luogo che decise di comprare una casa proprio all'ingresso del paese.

Durante i suoi soggiorni a Castel San Pietro Romano, quello che lo colpì furono i bambini abbandonati a se stessi in attesa dei genitori che tornavano dal lavoro nelle campagne; si impegnò al punto da ottenere dal Comune l'uso di alcuni locali dell'ECA (Ente Comunale Assistenza) da poter adibire come asilo infantile. L'ECA si impegnò per la spesa della mensa dei bambini e al mantenimento di due suore che si occupavano di loro mentre Porry-Pastorel regalò dei banchi e l'arredamento per la cucina del refettorio e per l'abitazione delle suore; l'asilo infantile venne ufficialmente inaugurato nel 1941 con sede in Piazza della Vittoria. Nel 1952 Porry-Pastorel fu eletto sindaco (con quasi la totalità dei voti) di Castel San Pietro Romano dove rimase in carica a vita. Adolfo Porry-Pastorel si spense a Roma il 1 aprile del 1960 all’età di 72 anni.

La memoria fotografica di Adolfo Porry-Pastorel è conservata in diversi archivi e fondi privati tra i quali: l’Archivio Farabola, l’Archivio LUCE, del quale si parlerà in maniera più approfondita, il Fondo Fotografico Giuseppe Bottai (1903 – 1959) custodito presso l’Associazione Arnoldo e Alberto Mondatori di Milano e l’archivio privato di Vania Colasanti, nipote di Adolfo Porry-Pastorel.

Nel 1896 Alessandro Farabola (detto Giuseppe), un fotografo specializzato nel ritratto e  ritocco manuale delle lastre e dei positivi, iniziò la sua attività a Milano dove, nel 1911, aprì uno studio fotografico e si dedicò per molti anni alla fotografia di cerimonie, foto tessere e personaggi dello sport. Nel 1939 al fianco di “Giuseppe” Farabola iniziò a lavorare suo figlio Tullio. Durante la Guerra Tullio Farabola lavorò come operatore cinematografico all’Istituto LUCE. Nel 1942 aveva conosciuto Adolfo Porry-Pastorel (che considerava un modello di fotogiornalista per quanto riguardava le foto di attualità e di cronaca nera) e aveva frequentato l’agenzia fotografica fondata dal fotoreporter, la Foto V.E.D.O. Fu allora che pensò di creare un vasto archivio di immagini più ampio ed esaustivo possibile nei temi e aggiornato continuamente come esige il fotogiornalismo. Scriverà nel suo libro «… io credo di aver creato uno degli archivi più ricchi e meglio organizzati in Italia!…» [9]. Nel 1943 lo “Studio Giuseppe e Tullio Farabola” fu distrutto dai bombardamenti. Andarono perdute gran parte delle attrezzature fotografiche e dei negativi conservati. Subito dopo la guerra però Tullio Farabola rinnovò l’attività dello studio. Nel gennaio 2013 una nuova gestione societaria rinomina gli  archivi in Farabola Foto [10]. Oggi negli Archivi Farabola, oltre agli scatti di Tullio Farabola e dei suoi dipendenti fotografi (soprattutto scatti effettuati dopo il 1945) [11], sono conservati alcuni importanti archivi fotografici della fine dell’Ottocento e degli inizi del Novecento tra cui parte delle foto di Porry-Pastorel [12].

Le fotografie eseguite da Porry-Pastorel e conservate agli archivi Farabola sono circa 16.000. I diritti delle foto sono stati acquistati, con i negativi originali, da Tullio Farabola. L’agenzia Foto V.E.D.O. e l’agenzia Farabola hanno spesso collaborato, diventando l’una la corrispondente dell’altra sulle due piazze Roma-Milano.

Il fondo relativo agli scatti di Porry-Pastorel di proprietà dell’archivio Farabola, ricopre la sua intera biografia professionale e il materiale che costituisce il fondo è stato selezionato al momento dell’acquisto da Tullio Farabola e dai suoi collaboratori dell’epoca [13]. I supporti originali (negativi su lastre di vetro alla gelatina di bromuro d’argento) sono conservati in appositi locali. Gli Archivi Farabola, a differenza di tanti, sono da sempre un’impresa commerciale soprattutto rivolta al campo dell’editoria. Anche se delle muffe hanno intaccato alcuni scatti, l’impiego continuo del materiale non ha reso necessario, nel tempo, alcuna attività di restauro;

Come già sottolineato, il fondo fotografico di Porry-Pastorel presso gli Archivi Farabola, a differenza del Fondo Bottai e dell’archivio LUCE, conserva immagini che ripercorrono tutto il periodo lavorativo del fotoreporter. Molte di queste fotografie raccontano le imprese del Duce che Porry-Patorel era costretto a seguire, anche se tra i due pare che non ci fosse una gran simpatia [14].

Porry-Pastorel, costruiva spesso le proprie immagini per il regime e la sua propaganda: eseguì servizi fotografici organizzati come quello in piazza San Pietro utilizzando falsi sposi in bicicletta per esaltare l’autarchia, quello sulla battaglia del grano con modelle portate da Roma in ottima salute e ben curate che fece passare per contadine o, ancora, quello con delle ragazze su dei “velocini” in giro per Roma, quando la benzina cominciava a scarseggiare perché dirottata verso il fronte di guerra e tanti altri simili. Altre immagini testimoniano i lavori eseguiti a Borgo per la costruzione di via della Conciliazione a Roma e quelli sotto il Campidoglio per l’apertura di via dell’Impero; altre riprendono il Trio Lescano, tre sorelle famosissime negli anni Quaranta del Novecento con canzoni che ancora oggi ricordiamo come “Tullipan” o “Ba ba baciami piccina” e, ancora, l’allora presidente del Consiglio Alcide De Gasperi con la figlia Maria in visita a Roma nel 1947.

Presso la Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori è depositato il vasto archivio di Giuseppe Bottai. Oltre a carte relative alla carriera militare e politica, attività giornalistica, i diari personali, il carteggio personale e familiare, l’archivio è composto da una vasta documentazione fotografica che ritrae alcuni momenti dell’intera vita di Giuseppe Bottai.

Il materiale fotografico (per la maggior parte composto da positivi su carta) è interessante anche dal punto di vista della storia della fotografia comprendendo lavori di importanti fotografi attivi negli anni Venti del Novecento (1903 – 1958) tra i quali Adolfo Porry-Pastorel.

L’inventario dell’archivio Giuseppe Bottai è stato compilato su supporto informatico (applicativo Sesamo della Regione Lombardia) ed è consultabile online; la catalogazione del materiale fotografico è stata gestita da Lombardia Beni Culturali che ha adottato per la catalogazione lo standard descrittivo Scheda F con l’applicativo AIM della Regione Lombardia [15].

Consultabili online sul sito www.lombardiabeniculturali.it si possono contare 28 fotografie eseguite da Porry-Pastorel che immortalano scene di vita pubblica e privata riguardanti Giuseppe Bottai.

L’archivio privato di Vania Colasanti conserva materiale davvero speciale. Le immagini che sono riprodotte nell’inserto del suo libro Scatto Matto, la stravagante vita di Adolfo Porry-Pastorel il padre dei fotoreporter italiani sono custodite, con altre, nei piccoli album originali classificati e catalogati dallo stesso Porry-Pastorel. Si tratta di mini album in pelle rossa bourdeaux, larghi circa 13 cm., alti 8 cm. e spessi 2 cm e mezzo; hanno una rifinitura dorata che riporta il titolo di ogni album e il cognome “Porry-Pastorel” sulla copertina: ce ne sono alcuni dedicati interamente alla moglie Franca, altri al figlio Alberto, ma la maggior parte sono dedicati alla sua attività fotografica, ai suoi reportage classificati per temi, come ad esempio “Rex – settembre 1933”.

La fotografia che vede immortalato Porry-Pastorel mentre lancia il piccione viaggiatore con i suoi negativi a bordo dell’incrociatore Pola nelle acque libiche è conservata nel mini album con il titolo “Tripoli-Napoli-Ischia-Forlì-Friuli 1937-38” composto da un totale di cinquantadue fotografie.

Vania Colasanti possiede circa cinquanta piccoli album fotografici ognuno dei quali è composto da circa cinquanta fotografie; nell’archivio privato conserva anche la corrispondenza “d’amore” tra Adolfo Porry-Pastorel e la moglie Franca e, ancora, dei piccoli raccoglitori verde-salvia con le fotografie che il figlio di Porry-Pastorel, Alberto, inviò a suo padre dal fronte russo, dice Vania Colasanti: «…sono davvero molto emozionanti, perché riportano i commenti e le scritte originali…» [16].

L’Ente conservatore del “fondo Pastorel”: l’Archivio LUCE

Da un’idea del giornalista Luciano De Feo, nel 1924 prende vita il S.I.C. (Sindacato Istruzione Cinematografica) a cui Benito Mussolini, nel 1925, cambia nome in L’Unione Cinematografica Educativa (L.U.C.E.). Con Regio Decreto Legge 5 novembre 1925, n. 1985 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia il 24 novembre 1925 all’art.1., si decreta che l’Istituto LUCE: “rappresenta l’organo tecnico cinematografico dei singoli Ministeri e degli Enti posti sotto il controllo e l’autorità dello Stato, ai fini della ripresa e della diffusione di pellicole cinematografiche aventi scopo didattico, culturale, scientifico e di interesse e propaganda nazionale” [17].

Nel 1919 il tasso di analfabetismo nel nostro Paese era del 31%, nel 1921 il tasso degli analfabeti rappresentava circa il 27% della popolazione mentre nel 1936 sarebbe stato del 21% [18].

L'Istituto LUCE fu il primo organo in Italia ad utilizzare le immagini a scopo educativo e di informazione in grado di raggiungere tutta la popolazione e “…fu il principale strumento attraverso il quale il fascismo ispirò e orientò la vita e le opinioni degli italiani” [19]. Sotto il diretto controllo di Benito Mussolini, l’istruzione e diffusione della cultura avveniva attraverso documentari e cinegiornali.

La storia dell'Istituto LUCE, pur avendo assunto negli ultimi anni autonomia e ricchezza culturale per il suo grande patrimonio documentario, resta legata alla storia del regime fascista; questo è forse dovuto al ruolo monopolistico dell'informazione cinematografica fortemente incentrata nella diffusione di immagini relative al regime stesso.

Nel marzo del 1927, contestualmente alla produzione dei primi cinegiornali, proiettati obbligatoriamente in tutti i cinema del Paese prima di ogni spettacolo (e questo rimase in vigore fino agli anni Sessanta), l’Istituto LUCE istituì il Servizio Fotografico, che avrebbe avuto contemporaneamente il compito di ordinare, conservare e completare un Archivio Fotografico Nazionale e di forgiare e diffondere l’immagine di Benito Mussolini arrivando a detenere, in pratica, il completo monopolio della ripresa fotografica degli avvenimenti ufficiali [20]. Soprattutto con i cinegiornali prodotti dall’Istituto LUCE, Mussolini fu il primo Capo di Stato che poté costruire e disporre di un “monumento delle proprie imprese”.

Secondo le parole di Jacques Le Goff  “… non esiste un documento oggettivo, innocuo o primario, un documento è sempre e comunque il risultato dello sforzo compiuto dalle società storiche per imporre al futuro, consapevolmente od inconsapevolmente, quella data immagine di se stesse” [21];  in questo senso l'Istituto LUCE fu l'ente per eccellenza che rappresentò il regime fascista, avendo il compito di documentare la storia e le opere della nazione per costituire così il monumento visivo dell’Italia di quegli anni; così come l'architettura tramite le opere doveva lasciare i segni evidenti del fascismo nelle città, l'Istituto LUCE attraverso le sue fotografie, i suoi cinegiornali e documentari doveva innalzare monumenti visivi nella memoria collettiva.

Negli anni Trenta del Novecento, con la gestione del presidente Giacomo Paulucci di Calboli, si costituì l'Ufficio Collegamento e Stampa attraverso il quale si potevano controllare tutti i giornali e ricavarne così notizie interessanti per l'Istituto LUCE. Gli operatori provvedevano alle riprese fotografiche che venivano poi sviluppate e stampate su lastra sotto diretto controllo dell'Ufficio Collegamento e Stampa che decideva quali fotografie potevano essere divulgate e stampate sui giornali e quali dovevano essere scartate; a volte era lo stesso Mussolini a controllarle e metteva personalmente un “no” sul retro delle fotografie scartate. Quest'ultime erano poi raccolte in cataloghi contraddistinti con la lettera “R” di riservato.

La censura del regime imponeva anche regole ferree per i fotografi che quando erano assunti dall'Istituto LUCE dovevano firmare un “Atto di Sottomissione” e un’ “Attestazione di prestato giuramento” [22] in cui dichiaravano la loro fedeltà al allo Stato Fascista e accettavano le direttive che venivano dettate loro per eseguire le fotografie; ad esempio durante le adunate Mussolini non poteva essere mai ripreso da solo, ma sempre circondato dalla folla o non bisognava mai fotografare gli spazi vuoti, questo per non dare idea che ci fosse dissenso o poco consenso nei confronti del regime

Nel 1943 l'Istituto LUCE venne trasferito a Venezia e alla fine della guerra tornò ad avere una sede a Roma.

Negli anni Cinquanta l’Istituto LUCE acquisì i fondi di altre agenzie di fotogiornalismo che operavano a Roma tra le quali si possono annoverare:

l’Archivio Fotografico della DIAL Press, famosa per gli scatti della “dolce vita romana”;

quello che restava dei materiali fotografici e documentali del fotografo e regista napoletano Roberto Amoroso;

l’Archivio Fotografico dell’Agenzia Foto VEDO (limitatamente al periodo d’attività fra il 1954-1964), l'agenzia fotografica creata nel 1908 da Adolfo Porry-Pastorel. In quegli anni, l’Agenzia Foto VEDO fu la “fucina” in cui si formarono giovani talenti, che di li a poco sarebbero assurti agli onori della cronaca fotogiornalistica: i “paparazzi” [23].

Attualmente l'Archivio Fotografico conserva circa 3 milioni di fotografie di diverso formato e su diversi supporti. L'archivio fotocinematografico dell'Istituto LUCE custodisce dunque quasi un secolo di memoria storica collettiva, fissato in immagini in movimento, in milioni di metri di pellicola e fondi fotografici tra i quali quello di Porry-Pastorel, che copre il periodo dal 1919 al 1923. Si tratta di un prezioso e vastissimo patrimonio, composto non solo di cinegiornali e documentari di propria produzione (realizzati a partire dal 1924 anno di nascita della L.U.C.E. "L'Unione Cinematografica Educativa"), ma anche di testate d'attualità, collezioni documentaristiche e fondi esterni acquisiti nel tempo [24]. Per quanto riguarda la gestione dei propri archivi l’Istituto LUCE ha adottato sistemi all’avanguardia per la catalogazione, conservazione e informatizzazione.

Per permettere una migliore consultazione del grande patrimonio dell'Archivio, nel 2000 è iniziato un processo di catalogazione e  digitalizzazione [25] dei vari fondi che ora chiunque può consultare nel sito istituzionale dell'Archivio LUCE (www.archivioluce.com).

L’archivio dell’Istituto LUCE è composto da fondi propri originali, costituiti da documenti cartacei, fotografici e cinematografici, e da fondi acquisiti nel corso degli anni. La storia istituzionale dell’Archivio Storico LUCE, come soggetto sottoposto a particolare tutela da parte della competente Soprintendenza Archivistica per il Lazio, inizia il 9 luglio 1997 quando venne notificata all’Istituto la dichiarazione di notevole interesse storico ai sensi del DPR n. 1409 del 30/09/1963. Ma il recupero del proprio patrimonio inizia ben prima, con una svolta nel 1995 durante la presidenza di Angelo Guglielmi.

L’Archivio storico fotocinematografico dell’Istituto LUCE è stato inserito nel mese di giugno del 2013, nel Registro Unesco “Memory of the World”. Esso è costituito (solo per quanto riguarda il materiale cinematografico prodotto dall’Istituto LUCE dal 1924 in poi e quello acquisito che va dai primi anni del Novecento ad oggi) da oltre dodici milioni di metri di pellicola formato 35 mm. e, per quanto riguarda il materiale fotografico, si contano circa tre milioni di immagini che documentano quasi l’intero Novecento.

            Tra i fondi fotografici più importanti possiamo citare:

quello di Porry-Pastorel, relativo al periodo 1919-1923, composto da 1.659 negativi più stampe fotografiche e, tra tutti, il più antico;

quello di Roberto Amoroso che racconta la Napoli del Ventennio fascista ed è composto da 7.000 negativi;

il fondo DIAL press composto di 122.000 negativi di paparazzi degli anni Cinquanta e primi anni Sessanta;

l'ultima acquisizione, molto consistente, è quella avvenuta nel 2001 del fondo dell'Agenzia foto VEDO, fondata da Adolfo Porry-Pastorel nel 1908 che si compone di 300.000 negativi dal 1948 al 1965 e dell'agenzia Master-Photo Service, fondata dal fotografo Bruno Bruni che consiste in 1.750.000 negativi dagli anni Sessanta ai giorni nostri [26];

il fondo LUCE costituito da circa 250.000 negativi suddivisi in: “Attualità”  primo nucleo costituito nel 1927 composto da (155.000 immagini), “serie L Paesaggi e monumenti d’Italia” costituito nel 1928 a seguito di una convenzione tra l’Istituto LUCE e il Ministero della Pubblica Istruzione (8.000 immagini), “Africa Orientale Italiana” costituito nel 1935  (10.135 immagini), “Guerra” costituito nel 1940 (71.648 immagini) [27];

il fondo Teatro composto da 7.000 negativi circa che coprono un arco cronologico che va dal 1935 al 1942. Rappresenta una fonte privilegiata per la storia del teatro italiano degli anni Trenta e Quaranta, grazie ad una importante panoramica sui volti degli attori, sugli spazi scenici e sulle scenografie più importanti del periodo. Le immagini del fondo Teatro testimoniano anche un momento di evoluzione della storia della fotografia dello spettacolo, in quanto si pongono in quel particolare passaggio stilistico che va dalla tradizione ritrattistica ottocentesca (in studio o in posa) ad un linguaggio espressivo più moderno, con inquadrature meno statiche e meno formali [28];

il fondo Cinema Muto composto da 220 spezzoni di pellicola cinematografica, formati da 4 o 5 fotogrammi positivi cine, originali dei primi anni del Novecento riguardanti scene tratte da film muti e che hanno dato vita a circa 540 immagini, ma sono presenti anche lastre in vetro e stampe fotografiche. La particolarità del fondo è la presenza di pellicola “imbibita”, ossia trattata con una particolare tecnica di colorazione utilizzata in quel periodo nella realizzazione di film muti, che consisteva nell’immergere la pellicola già sviluppata in una soluzione di acqua e anilina, facendo così colorare solo le parti più chiare [29].

L’Istituto LUCE che, in primo luogo, è stata una testata di tipo giornalistico, oltre che una Società di Produzione cinematografica, ha generato il suo Archivio Storico di immagini come conseguenza di queste attività. Con l'aumentare nel tempo del materiale preso in custodia dall’Archivio, fu necessario organizzare  un sistema di conservazione che evitasse il deperimento del posseduto e che potesse valorizzarlo. Per quanto riguarda le fotografie e i loro supporti, le lastre e le pellicole erano conservate in buste di tipo cartaceo, di qualità generica. Carte, cartoni e pergamini, la cui cellulosa è solitamente ricavata dal legno, sono del tutto inadatte alla conservazione di lunga durata dei materiali sensibili, in quanto la “lignina” di cui sono saturi, è uno dei più micidiali agenti di deterioramento delle gelatine foto-cinematografiche. Inoltre, lastre e pellicole negative, erano raccolte in contenitori di lamierino di facile ossidazione e quindi anche questi non adatti ad una buona conservazione. Sia per le buste che per le scatole la mancanza di una temperatura costante su valori bassi e l'umidità non controllata produce effetti dannosi che non garantiscono la stabilità dei supporti. Questo ha determinato nel tempo la distruzione di alcuni negativi.

Oggi l'Archivio Storico LUCE applica procedimenti di conservazione che sono all'avanguardia: i supporti originali sono custoditi in buste di carta a PH neutro contenenti il 100% di alfa cellulosa, totalmente esenti da lignina e la cui cellulosa è proveniente esclusivamente da stracci di cotone e lino. Le buste che contengono il supporto originale sono custodite a loro volta in scatole di varie misure, dello stesso materiale (questo per proteggere ulteriormente il supporto da alterazioni di tipo fisico come polvere, abrasioni, luce, ecc.). Il tutto è depositato in ambienti climatizzati ad una temperatura e umidità costanti. I materiali fotografici, o filmici che siano, hanno bisogno di essere custoditi in locali adatti perché, indipendentemente dal tipo di supporto (che può essere nitrato di cellulosa, biacetato, triacetato, vetro, ecc), sono comunque soggetti a deperimento e per questo devono essere compartimentati in base alla loro natura.

Di basilare importanza sono i locali di custodia che devono essere ben areati e sottoposti a controlli di temperatura e umidità relativa (UR%). I valori medi per una conservazione ottimale del materiale sensibile Bianco/Nero, che possa costituire un ragionevole incrocio, non particolarmente critico di condizionamento degli ambienti, si aggira intorno ai 15°C con il 40% di umidità relativa (UR%). Questo comporta anche una scelta intelligente del luogo dove posizionare i locali preposti alla conservazione: ad esempio si devono escludere le aree a rischio sismico, a rischio di allagamento, o vicine a siti industriali, impianti inquinanti o impianti che sono a rischio di incendio o di esplosione. Comunque l’aria deve essere filtrata opportunamente e deve essere trattata per avere il giusto grado di umidità.

I locali di conservazione per funzionare al massimo hanno bisogno di attrezzature e macchinari estremamente sofisticati e complessi. Purtroppo il mondo degli archivi non ha delle grandi risorse da mettere in campo, soprattutto dal punto di vista degli investimenti economici; pur non avendo sempre a disposizione le risorse finanziare necessarie per coprire in modo ottimale i costi di acquisto e gestione di tali materiali e strumentazione, l’Archivio Storico LUCE riesce comunque a conservare in modo ottimale il suo inestimabile patrimonio fotocinematografico attraverso anche contratti di assistenza e di manutenzione con le case produttrici della strumentazione per poter garantire un costante funzionamento degli apparati. Tutto questo non riguarda solo la conservazione di materiali di tipo analogico, quindi fotografie, pellicole o videotape, ma anche per tutto ciò che l’Archivio Storico LUCE ha trasferito su supporti digitali [30].

Per quanto riguarda il fondo “Pastorel” (così chiamato dall’Archivio LUCE), nell’Archivio di Stato di Forlì, e precisamente nel fondo Giacomo Paulucci di Calboli, è possibile consultare il verbale di seduta del Consiglio di  Amministrazione dell’Istituto Nazionale LUCE del 31/01/1931 nel quale si decide di acquisire parte del materiale realizzato dal fotoreporter Adolfo Porry-Pastorel; in particolare si trattava di 25.000 negativi al prezzo totale di 2.000 lire [31]. Ad oggi non è stato ancora possibile tracciare con certezza la storia dell’intero materiale acquisito, mentre si è a conoscenza che durante i lavori di ricerca in un deposito di materiale foto cinematografico dell’Istituto Storico LUCE, vennero rinvenuti dei contenitori di cartone, all’interno dei quali erano custoditi dei negativi su lastre; in un successivo momento vennero rinvenute fotografie già stampate su carta dalle quali si ricavarono nuovi negativi.

Come già menzionato, il fondo fotografico di Porry-Pastorel è il più antico posseduto dall’Archivio dell'Istituto LUCE ed è attualmente composto da: 1.659 lastre di vetro alla gelatina di bromuro d’argento, più circa 80 negativi su pellicola di nitrato di cellulosa di formato 9x12, per un totale di circa 1.739 reperti.

Nel 1995 fu deciso di trasferire gli originali su supporti DVD. Nello stesso anno, l’Istituto LUCE decise di sfruttare le tecnologie informatiche e digitali per censire e descrivere tutto il materiale audiovisivo e fotografico in suo possesso per sostituire gli obsoleti cataloghi cartacei. Quando ebbe inizio il progetto d’informatizzazione e digitalizzazione del patrimonio fotografico e filmico dell’Archivio, la squadra era composta da un gruppo di “… diciotto catalogatori, tutti con titoli e conoscenze specifiche, con il supporto tecnico di oltre dieci tecnici di laboratorio” [32]. La catalogazione informatica è stata un atto pioneristico dell’Archivio LUCE; dal 1996 al 2000 il lavoro fu intenso e impegnativo in quanto il personale non aveva alcun tipo di riferimento metodologico, normativo e tecnologico sul quale basarsi. Per quanto riguarda il fondo fotografico di Porry-Pastorel è necessario dire che non esistono schede catalografiche cartacee poiché la catalogazione è avvenuta direttamente con strumenti informatici.

Per l’informatizzazione dell’Archivio si è deciso di avvalersi della piattaforma xDams, ideata e realizzata da regesta.exe, una società che nasce nel 1996 per iniziativa di un gruppo di ricercatori impegnati nella realizzazione di sistemi informativi avanzati per la gestione di contenuti digitali e archivi multimediali sul web. In stretta collaborazione, informatici e catalogatori archivisti hanno dato vita secondo un metodo di “work in progress” ad una scheda di inserimento dati di catalogazione, prima del posseduto cinematografico e poi del posseduto fotografico, consona alle esigenze del LUCE ovvero in base alle informazioni possedute per evitare una ridondanza nella compilazione dei campi: “DAMS per il LUCE”. Si è così creata una scheda ad hoc basandosi sul modello dati messo a punto dall’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione (ICCD) per la descrizione delle fotografie e delle collezioni fotografiche: la scheda F.

La scheda F (Fotografia) è suddivisa in paragrafi che comprendono campi semplici e campi strutturati in sotto-campi secondo uno schema già adottato dall’ICCD per la catalogazione di altri beni storico artistici. “…la scheda F, nel suo tracciato completo – corrispondente al più alto livello di catalogazione – è strutturata in 21 paragrafi, ossia sezioni che comprendono al loro interno insiemi di informazioni tra loro omogenee, riguardanti cioè differenti aspetti dell’oggetto di catalogazione. Ogni paragrafo è suddiviso al suo interno in campi, che possono essere semplici (e come tali si compilano) o strutturati, vale a dire suddivisi a loro volta in un insieme di voci da compilare (sottocampi). Tutta la scheda è costituita di 79 campi, dei quali 23 semplici e 56 strutturati in 246 sottocampi. Le voci previste per la compilazione sarebbero perciò in tutto 269” [33].

E’ importante evidenziare che spesso i fondi fotografici (o filmici che siano) giungono in Archivio con delle informazioni minime o addirittura inesistenti. Il più delle volte le uniche notizie di cui si dispone nella prima fase di acquisizione (di una fotografia ad esempio) possono essere delle annotazioni fatte nel retro della foto da parte del fotografo, il timbro dell’agenzia fotografica che l’ha prodotta, un’annotazione sulla busta che a volte la contiene, ecc. Con le poche informazioni disponibili è spesso impossibile compilare tutti i campi che la scheda F richiede e quindi si comprende la scelta dell’Archivio Storico dell’Istituto LUCE di optare per un “adattamento “ della scheda F alle proprie esigenze. Per la descrizione del patrimonio fotografico i paragrafi ed i campi descrittivi della scheda F, sono stati selezionati in base a due criteri principali:

il rispetto delle esigenze descrittive specifiche dell’Istituto ovvero numero eccessivo di campi rispetto alle informazioni possedute/disponibili per gli approfondimenti; la decisione di concepire l’Archivio Storico LUCE non come una collezione destrutturata, ma come un vero e proprio complesso documentario archivistico, nel rispetto della normativa ISAD (International Standard Archival Description ) per la descrizione multilivello dei fondi archivistici [34].

Per meglio espletare le differenze si riportano di seguito i campi della scheda F che sono stati scartati nel tracciato catalografico scelto dell’Archivio LUCE, e le motivazioni:

 

DESCRIZIONE CAMPI

MOTIVAZIONE

 

CD – CODICI

 

Attualmente l’Istituto cataloga il materiale senza dotarsi di codici attribuiti dall’ICCD, ma adottando gli stessi codici riportati negli strumenti di ricerca interni e all’interno di DAMS. Al momento della creazione di ogni singola scheda viene associato automaticamente un unico codice di sistema. I codici conformi alle specifiche ICCD potranno essere riprodotti e aggiunti in ogni momento.

 

RV - RELAZIONI

Lo standard ICCD stabilisce che la schedatura va effettuata sempre, sia per i servizi che per le singole foto, creando gli opportuni collegamenti tra “scheda madre” e “scheda figlia/e” mediante la compilazione dei sottocampi del paragrafo RV-Relazioni. Nell’applicativo DAMS, invece, è possibile utilizzare una scheda per descrivere una singola foto oppure un servizio fotografico.

 

 

AC - ALTRI CODICI

Non viene fornita dall’ICCD alcuna specifica di comparazione tra i codici dell’ente schedatore e i campi di tale paragrafo. Pertanto si dà per scontato che ogni codice attualmente presente in DAMS-LUCE sia riconducibile all’interno di tale paragrafo.

 

AR - ALTRE  GERARCHIE

Non viene adottato il sistema di indicazione dei riferimenti gerarchici così come stabilito dalla scheda F.

 

LA - ALTRE LOCALIZZAZIONI GEOGRAFICO-AMMINISTRATIVE

Tale paragrafo non è risultato utile ai fini della descrizione del materiale fotografico del LUCE.

 

RO - RAPPORTO

Tale paragrafo non è risultato utile ai fini della descrizione del materiale fotografico del LUCE.

 

AD - ACCESSO AI DATI

Tale paragrafo non è risultato utile ai fini della descrizione del materiale fotografico del LUCE.

 

AN - ANNOTAZIONI

Tale paragrafo non è risultato utile ai fini della descrizione del materiale fotografico del LUCE.

Presso l’Archivio Storico dell’Istituto LUCE il processo di catalogazione è organizzato in due fasi:

FASE DI DIGITALIZZAZIONE: in un primo momento si scansiona il supporto in laboratorio e si cataloga direttamente sul digitalizzato (non sugli originali per preservarli ulteriormente); nel contempo si inseriscono le prime informazioni (il tipo di supporto, le dimensioni, a volte si possono trovare incisioni sulle pellicole, altre volte firme dell’autore della foto).

            La fase di digitalizzazione di un immagine è articolata in diversi step.

Prelievo del materiale in magazzino:

indossando dei guanti bianchi di cotone si estrae la lastra (il supporto) dalla busta che la contiene, si analizza accuratamente per accertarsi che non ci siano imperfezioni (polvere, residui di carta…); qualora ci fossero si utilizza un pennello di peli di martora (o un altro strumento idoneo) al fine di rendere il supporto originale perfettamente pulito;

fase di prescan:

gli originali vengono scansionati con un applicativo software che consente l’utilizzo di prescan ovvero che dia la possibilità di ottimizzare l’immagine modificando il contrasto, la saturazione, la nitidezza, il bilanciamento, nei limiti del possibile;

fase di scansione:

l’immagine viene salvata con le modifiche apportate in fase di prescan contestualmente in tre formati:

TIFF(tagged image file format): tale formato mantiene tutti i pixel dell’originale è il formato più universale e di maggiore qualità per le immagini sviluppato da adobe e Microsoft ([35]). A causa delle notevoli dimensioni dei file viene utilizzato per la conservazione e la lavorazione on demand;

JPEG: è un formato compresso, di facile visualizzazione perché alleggerisce il peso del file-immagine, ma è qualitativamente inferiore rispetto al TIFF, anche se non sempre ciò è percettibile, in ogni caso non è adatto alla conservazione sostitutiva. Questo formato viene utilizzato per la pubblicazione su siti internet o per la spedizione tramite posta elettronica;

THUMBNAIL: è un formato che permette di vedere l’anteprima della fotografia formando una sorta di icona;

L’immagine scansionata nei tre formati viene salvata in due media diversi: in una Library digitale (o server) che va a popolare la base delle immagini associate al  Database di servizio e su nastro digitale in LTO conservati in armadi robotizzati. Nell’Archivio Storico LUCE ci sono due armadi robotizzati contenenti ognuno 150 slot di LTO in versione LTO.3 da poco migrato nella versione  LTO.5 ([36]).

FASE DI CATALOGAZIONE: in un secondo momento il lavoro è trasmesso ai catalogatori archivisti che si occupano di completare i campi di descrizione richiesti dalla scheda di inserimento dati nella piattaforma XDAMS. E’ compito del catalogatore, anche con l’aiuto di personale specializzato (storici, sociologi, esperti di storia dell’arte, della moda, della televisione, ecc.), fare ricerche sul documento reperito e inserire il maggior numero di informazioni possibili, soprattutto per quanto riguarda l’identificazione di persone, luoghi, eventi, date, ovvero il contesto e il contenuto semantico dei documenti trattati.   

Per meglio comprendere il processo si riporta il seguente flow chart:

 

Nel corso del 2004, l’Istituto LUCE ha attuato un profondo rinnovamento del sistema informativo di gestione dei propri archivi, al fine di adeguare la propria soluzione agli standard di “interoperabilità”, “esportabilità”, “portabilità” e “modularità” che si sono affermati in questi ultimi anni, con l’obiettivo di migliorarne l’efficienza e la stabilità, sia per la funzionalità di gestione interna (back office) che per i servizi di accesso e fruizione, garantirne le capacità di durata e costante aggiornamento delle rilevanti basi di dati che sono state realizzate nel corso degli anni ([37]).

L’innovazione introdotta dal progetto dell’Istituto Luce per l’informatizzazione si può articolare in due aspetti:

aspetti tecnologici: ovvero l’adozione di uno standard pubblico di conservazione e lunga durata dei dati come XML (Extensible markup language: un linguaggio formato da un insieme di regole sintattiche per modellare la struttura dei documenti e dati), la scelta di tecnologie open source, il pieno utilizzo di internet e l’utilizzo del modello ASP Application Service Provider (oggi noto come Application As a Service) che consente una ridotta necessità di capitali per l’investimento iniziale e, soprattutto, la possibilità di avere i sistemi informatici sempre aggiornati;

modellizzazione informatica degli archivi cartacei: il sistema informativo dell’Archivio Luce è composto da due sottoinsiemi descrittivi; in uno è conservata la descrizione dei singoli fondi che siano essi fotografici o audiovisivi, nell’altro ci sono una serie di authority files (chiamate keyword) comuni a tutte le banche documentali, relativi a temi e argomenti, nomi di persona e nomi di luogo, eventi storici e civili, attraverso i quali è possibile ad esempio controllare e normalizzare l’inserimento nelle basi dati archivistiche, fornire informazioni di carattere generale, consentire una ricerca mirata nella banca dati, ecc.

Le banche dati per la descrizione dei singoli fondi contengono i file multimediali e le schede descrittive xDams con una cardinalità 1:1. Ogni singolo authority file indicizza uno o più elementi all’interno dei vari fondi ed ogni singolo elemento può essere indicizzato da più authority file (cardinalità Molti a Molti), moltiplicando così le possibilità di ricerca intra ed extra fondo per singola keyword,  oltre ad ampliare «virtualmente» la consistenza di ogni singolo fondo. (Es. il fondo A. Porry Pastorel, costituito da 1.739 pezzi è indicizzato da circa 431 authority file per un totale di oltre 7.700 esiti di ricerca.). Di seguito la rappresentazione delle relazioni tra gli oggetti contenuti nella base dati del Sistema Informativo dell’Archivio LUCE:

Architettura Dati del Sistema Informativo del LUCE.

 

Il potenziale di tale sistema di archiviazione è immediatamente verificabile, anche da un utente finale, durante la navigazione sul sito istituzionale dell’Archivio Storico LUCE dove, per ogni singola chiave di ricerca (keyword) inserita sulla sinistra della pagina, il sistema restituisce sulla destra l’elenco dei fondi per i quali è stato trovato almeno un oggetto multimediale catalogato con la stessa chiave di ricerca ed il numero di occorrenze. Questo sistema consente quindi di visualizzare più contenuti, e quindi forme di espressione e testimonianza diverse, afferenti allo stesso soggetto (keyword).

Esempio esito ricerca cross archivio/fondo con keyword “Ufficio Postale” - http://www.archivioluce.com/archivio/

Il lungo, complesso e il constante aggiornamento del trattamento dei documenti si è svolto avvalendosi della piattaforma tecnologica xDams, ideata e realizzata per il trattamento, la gestione e la fruizione integrata sul web di archivi storici multimediali basandosi su standard Open Source quali XML.

La piattaforma nasce tra il 2002 e il 2004 all’interno del progetto europeo “Digital Archives and Memory Storage” (in acronimo d.a.m.s), finalizzato alla creazione di servizi e strumenti online per la gestione di archivi decentrati. xDams, sviluppata in modalità ASP (Application Service Provider) utilizza il canale web per l’accesso e l’interazione con i dati. E’ una piattaforma aperta costruita su un’architettura totalmente multipiattaforma che adotta lo standard pubblico XLM per la conservazione dei dati a lungo termine. La tecnologia XML garantisce interoperabilità e condivisione delle risorse: le basi dati realizzate con la piattaforma sono indipendenti da specifiche soluzioni applicative e consentono la piena e immediata disponibilità dei dati per l’esportazione o l’importazione in xDams di database realizzati con altri sistemi informatici.

xDams adotta:

lo standard EAD (Encoding Archival Description) per la descrizione archivistica e la codifica delle risorse archivistiche;

il Dublin Core Metadata (DC) per le risorse elettroniche;

MODS (Metadata Object and Description Schema) per le risorse bibliografiche.[38]

Inoltre xDams ha sviluppato standard specifici per il trattamento dei diversi archivi che ha in gestione. Grazie a questa nuova tecnologia, oggi è possibile visualizzare online, oltre al grande patrimonio fotocinematografico del Luce, anche le 1.739 schede fotografiche del fondo fotografico di Porry-Pastorel.

Analisi qualitativa sulla catalogazione informatica del fondo “Pastorel”

L’analisi qualitativa sulla catalogazione informatica del fondo Pastorel è stata eseguita ponendosi due obiettivi primari:

analizzare il contenuto delle fotografie presenti nel fondo, ovvero verificare il soggetto rappresentato in ogni immagine per capire quali fossero gli interessi di Porry-Pastorel;

verificare l’efficacia della catalogazione informatica ai fini della ricerca delle immagini che costituiscono il fondo Pastorel come ad esempio dal portale istituzionale (www.archivioluce.it).

L’analisi si è basata sulle 431 keyword (authority files) che sono state utilizzate in fase di catalogazione. Le 1.739 fotografie del fondo fotografico di Porry-Pastorel sono attualmente consultabili tramite circa 431 keyword.

Per agevolare l’analisi qualitativa sui contenti del fondo, si è proceduto ad una classificazione empirica in base alla pertinenza delle 431 keyword in 12 categorie.

Tassonomia delle Categorie concettuali di Analisi e relative consistenze in authority files e fotografie indicizzate

Da tale classificazione, si evince che ogni authority file indicizza una media di circa 18 fotografie,  tuttavia 199 keywords (il 46% del totale) indicizzano 4.085 fotografie (il 56% del totale) per una media di oltre 20 fotografie per keyword. Queste 199 keywords appartengono alle categorie: Roma, Cronaca Contemporanea, Commemorazioni e Celebrazioni,  Movimenti Politici.

 

Distribuzione comparata degli authority files versus il numero di fotografie indicizzate

Tuttavia, si osserva che le categorie Roma ed Italia, costituite da un solo authority file ciascuna, indicizzano 1.371 fotografie, circa il 79% del totale del fondo (considerando la consistenza effettiva di 1.739). Dall’analisi sulle categorie, si conferma l’indole di Adolfo Porry-Pastorel, un uomo che vive a stretto contatto con il suo territorio (Roma ed Italia) e che vive con passione le vicende politiche del momento (Cronaca Contemporanea e Movimenti Politici su tutti); sono proprio queste ultime due categorie a polarizzare i suoi interessi come si riscontra anche dall’esistenza di un fondo monotematico interamente dedicato a Giuseppe Bottai.

Procedendo con l’analisi delle keyword, ed in particolare sulla efficacia delle stesse ai fini della catalogazione, si riscontra verificato il “Principio di Pareto” ovvero che il 20% delle keyword (87 su 431) indicizzano l’80% del conservato (6.181 fotografie su 7.729 totali). Chiameremo queste keyword a “Bassa Efficacia” ovvero le meno rilevanti ai fini della ricerca e recupero dell’informazione, nonché della navigazione tra le risorse del fondo in quanto generaliste.

La maggior parte delle keyword a Bassa Efficacia, fanno ancora riferimento a:  fatti di cronaca, movimenti politici e luoghi d’Italia, a conferma di quanto già affermato sulla base delle analisi per categoria. Tra queste, si notano tuttavia altre keyword, quali ad es.: La donna, Moda, Aviazione civile, Religione Cattolica, Allevamento, Cavalli, I bambini, Agricoltura, Chiesa Cattolica 3, Allevamento di Cavalli, Allevamento di Bovini e Bovini che sembrano rimandare a temi differenti da quelli che si è riscontrato essere di principale interesse per l’attività professionale di Adolfo Porry-Pastorel. Si è invece constatato che molte delle fotografie indicizzate da queste keyword riportano comunque ai temi di maggiore interesse e che c’è una ridondanza di catalogazione tra temi, quali ad esempio: Allevamento, Allevamento di Cavalli e Cavalli che riportano, nella maggioranza dei casi alle stesse fotografie e, mentre da un lato rendono possibile accedere ad una stessa risorsa con più chiavi di ricerca, dall’altro, rendono difficile la ricerca puntuale di alcune risorse, incrementando gli oneri di manutenzione dell’archivio informatico in termini di TCO (Total Cost of Ownership) dei beni strumentali e non solo ad esso dedicate.

Si è poi osservato che circa il 18% delle keyword (79 su 431) hanno una cardinalità 1:1 ovvero indicizzano una sola fotografia – 79 scatti, 1% del totale del conservato. Chiameremo queste keyword ad “Alta Efficacia” ai  fini dell’archiviazione e ricerca all’interno del fondo in quanto consentono di individuare puntualmente una specifica fotografia.

 

Queste keyword fanno ancora principalmente riferimento a personaggi politici e luoghi d’Italia. E’ opportuno precisare che nel corso di questa analisi non si è verificata la correttezza della catalogazione ovvero la pertinenza dell’associazione “keyword: soggetto” della fotografia Considerando che il conservato del fondo Porry-Pastorel presso l’archivio LUCE è relativo al solo periodo 1919-1923 non è possibile l’analisi esaustiva sulle preferenze ed attitudini del fotografo lungo la sua vita professionale, è invece possibile concludere, a proposito della catalogazione ed archiviazione informatica, che sarebbe opportuna la razionalizzazione del numero delle keyword al fine di ridurne il numero totale, di migliorare la ricerca mirandola su contenuti specifici e non generici, con l’obiettivo di aumentare le probabilità di accesso agli scatti di reale interesse e di ottimizzare gli oneri di manutenzione delle infrastrutture ad esso dedicate.

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[1] M. RIDOLFI, Gli spazi della vita pubblica, in G. De Luna, G. D’Autilia, L. Criscenti (a cura di), L’Italia del Novecento. Le fotografie e la storia, vol. I, Einaudi, 2005.

[2] Cfr. M. RIDOLFI, op.cit., pp.6-24 e G. D’Autilia, Storia della Fotografia in Italia dal 1839 a oggi, Torino, Einaudi, 2012, inserzione fotografica fra le pp. 64 e 65.

[3] R, DE BERTI, Rotocalchi tra fotogiornalismo, cronaca e costume, in R. De Berti, I. Pizzoni (a cura di), Forme e modelli del rotocalco italiano fra fascismo e guerra, «Quaderni di Acme» n. 115, Cisalpino-Monduzzi, 2009, p. 13.

[4] T. DI DOMENICANTONIO, Adolfo Porry-Pastorel un fotoreporter leggendario, Pubblicazione interna  del Circolo Culturale Prenestino “R. Simeoni” n. 15, Palestrina 1988, p. 11.

[5] V. COLASANTI, Scatto Matto, la stravagante vita di Adolfo Porry-Pastorel, il padre dei fotoreporter italiani, Marsilio 2013, p.27.

[6] Ibid.

[7] M. Bezençon, La vie apre est aventureuse de Mussolini en Siusse. In «Le Petite Illustration» n. 882, Parigi, 6 agosto 1938.

[8] V. COLASANTI, op.cit., pp. 21-22.

[9] T. FARABOLA, Farabola: un archivio tutto italiano, Milano, G. Mazzotta, 1980, p. 9.

[10] Informazioni tratte da un’intervista telefonica con il dott. Angelo Sacchi, settore archivi e produzione agli Archivi Farabola Foto, il 07 novembre 2013.

[11] I. ZANNIER, Tullio Farabola detto Farabolino, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto della enciclopedia italiana, 1994, Volume 44.

[12] Informazione tratta da un colloquio telefonico con il dott. Angelo Sacchi, settore archivi e produzione Archivi Farabola Foto, 19 settembre 2013.

[13]  Informazione tratta da un colloquio telefonico con il dott. Angelo Sacchi, settore archivi e produzione Archivi Farabola Foto, 19 settembre 2013.

[14] T. DI DOMENICANTONIO, op.cit.

[15]http://www.fondazionemondadori.it/cms/conservazione/163/ 08 novembre 2013, u.c. 11 novembre 2013.

[16]  Da un colloquio con Vania Colasanti, svoltosi il 12 novembre 2013.

[17] Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia , Anno LXVI, Roma martedì 24 novembre 1925, n°273.

[18] ISTAT, statistiche storiche, Roma 1976.

[19] A. AMATISTE, Istituto LUCE,  in  Robin Lenman (a cura di), Dizionario della fotografia, vol. I, Giulio Einaudi Editore, 2008, p. 594.

[20] S. MANUCCI, Storia della fotografia dell’Istituto Luce, nascita e ruolo dell’Istituto Luce, Saggi sul fascismo, su www.storiaXXIsecolo.it 13 marzo 2013, u.c. 1 ottobre 2013.

[21] J. LE GOFF, Documento/Monumento, in Enciclopedia Einaudi, vol. V, Torino, 1978 p. 46.

[22] A. AMATISTE, Istituto LUCE,  in  Robin Lenman (a cura di), op.cit.

[23] Informazioni avute durante un’intervista con il dott. Luigi Oggianu, Responsabile Area Tecnologie Integrate, Archivio Fotocinematografico LUCE, effettuata il 26 settembre 2013.

[24]www.archivioluce.com u.c. 12 novembre 2013. 

[25] P. CACCIANI, A. PAGLIARULO, L’Archivio fotografico, in Il sistema informativo per la catalogazione del materiale iconografico dell'Istituto Luce, http://media.regesta.com/dm_0/regesta/regestacms/generic/documentazione/sistema_luce_scrinia.pdf, p. 1. 20 ottobre 2013, u.c. 20 ottobre 2013.

[26] Ibid., p.5.

[27]www.archivioluce.com u.c. 25 novembre 2013.

[28] ibid.

[29] www.archivioluce.comu.c. 25 novembre 2013.

[30] Informazioni tratte da un’intervista con il dott. Luigi Oggianu, Responsabile Area Tecnologie Integrate dell’Istituto LUCE, effettuata il 26 settembre 2013.

[31] Da un’intervista con la dott.ssa Patrizia Cacciani, responsabile Mediateca dell’Istituto LUCE, effettuata il 11 ottobre 2013.

[32] E. G. LAURA, Le stagioni dell’aquila. Storia dell’Istituto Luce, Archivio Storico Luce, 2004, p. 299.

[33] Strutturazione dei dati delle schede di catalogo, beni artistici e storici Scheda F (Prima Parte), Ministero per i beni e le attività culturali Istituto centrale per il Catalogo e la documentazione, 1999,  p. 48.

[34] Regesta.exesrl , XDAMS , Archivi multimediali.Ttutorial xDAMS – III parte.

[35] R. RIDI, La biblioteca come ipertesto, Editrice Bibliografica, 2007, p.96.

[36] Da un’intervista con il Dott. Luigi Oggianu, Responsabile Area Tecnologie Integrate dell’Istituto LUCE, effettuata il 9 ottobre 2013.

[37] P. CACCIANI, A. PAGLIARULO, L’evoluzione del sistema informativo,  op.cit., p.6.

[38] A. M. TAMMARO, A. SALARELLI, La biblioteca digitale, Editrice Bibliografica, 2006.

1 commento

  • Link al commento Emidio Isopi Martedì, 07 Febbraio 2017 07:49 inviato da Emidio Isopi

    Grazie per avermi portato alla conoscenza questo straordinario personaggio.
    Per chi ama la fotografia, come me, leggere la sua biografia è un atto dovuto e anche fonte d'insegnamento.

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