Giovedì, 16 Gennaio 2014

La rappresentazione della donna nel cinema italiano del secondo dopoguerra: il caso di "Bellissima" di Luchino Visconti nei documenti d’archivio

Silvia Pagni
Sezione Studi

Pubblichiamo un saggio della studiosa Silvia Pagni, basato su inedite ricerche d'archivio, tra l'altro nelle carte private di Luchino Visconti, conservate presso la Fondazione Istituto Gramsci di Roma, tuttora poco consultate dagli stessi critici e storici del cinema.

In calce il pdf del saggio, nella nuova versione anche grafica della sezione STUDI.

Abstract

Il saggio ricostruisce la fase ideativa del film Bellissima (1951) di Luchino Visconti, attraverso l’analisi dei documenti dell’archivio privato del regista, custodito presso l’Istituto Gramsci di Roma e l’esame dei documenti dell’archivio privato di Cesare Zavattini, conservato presso la Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia. Mettendo a confronto i diversi soggetti e trattamenti, le differenti sceneggiature, le lettere degli autori del film, viene fornito un quadro inedito della rappresentazione della donna italiana nel cinema del secondo dopoguerra, neorealista. Il saggio evidenzia l’importanza della valorizzazione e dell’accesso alle carte d’archivio per la storia, la memoria, l’analisi critica del cinema italiano. La riflessione finale sulla rassegna stampa dell’epoca rafforza inoltre la tesi della diffusione di nuovi modelli femminili nella società italiana dei primi anni cinquanta del Novecento, attraverso il cinema neorealista che dalla realtà sociale dell’epoca attinge.

 This essay reconstructs the conception of  Bellissima ( 1951), a movie by Luchino Visconti, through the analysis of documents from the director’s  private archive, preserved at the Gramsci Institute in Rome, of documents belonging to Cesare Zavattini’s private archive, kept at the Biblioteca Panizzi in Reggio Emilia. By comparing the different subjects,  treatments, screenplays, as well as the letters by the authors of the film, there arises a innovative  representation of women in the Italian cinema of the post-war neorealism. This work highlights the importance of  enhancing and exploiting archives for the history, memory, critical overview of Italian cinema. Moreover, the conclusive  consideration  about the press review of that period time  supports the thesis of the diffusion concerning new female models in the Italian society during the early fifties of the twentieth century, thanks to the neorealist cinema which draws inspiration from the social reality of its time.                                                                                                                  

 

La rappresentazione della donna nel cinema italiano del secondo dopoguerra:

il caso di Bellissima  di Luchino Visconti nei documenti d’archivio 

 Bellissima (1951) di Luchino Visconti[1] è sicuramente un film appartenente al neorealismo se etichettiamo il neorealismo come esigenza di un’arte che rappresentasse la realtà nelle sue lotte, miserie e  sofferenze.

Il film può anche essere considerato l’emblema di quel cinema antropomorfico cui anelava il regista lombardo, il cui manifesto poetico ci preme ricordare:

 

  «Al cinema mi ha portato soprattutto l’impegno di raccontare storie di uomini vivi nelle cose, non le cose per se stesse. Il cinema che mi interessa è un cinema antropomorfico. Di tutti i compiti che mi spettano come regista quello che mi appassiona di più è dunque il lavoro con gli attori, materiale umano col quale si costruiscono questi uomini nuovi che, chiamati a viverlo, generano una nuova realtà, la realtà dell’arte».[2]

 

Il film del 1951 può essere considerato un prezioso documento per analizzare, attraverso lo sguardo dei suoi autori, una certa condizione femminile del dopoguerra. In particolar modo, cercando di procedere su due binari paralleli, ovvero quelli dell’indagine storica e cinematografica, è possibile tentare di tracciare una ricostruzione generale di quella che è l’immagine femminile nell’Italia di quel periodo. Immagine femminile che in quegli anni si rispecchiava nel cinema proprio perché il cinematografo era il principale passatempo del tempo libero e assumeva spesso il carattere di una ritualità collettiva in cui si catalizzavano i sogni femminili. Immagine che a sua volta il cinema rifletteva.

 

Dal soggetto alla sceneggiatura: la costruzione dei personaggi attraverso le fonti

 

Ricostruire la genesi del film è importante per comprendere come il regista e i suoi collaboratori si siano mossi per tratteggiare la storia intorno alle due figure femminili protagoniste, la madre e la figlia. Nel caso di Bellissima il materiale cinematografico relativo al film è conservato nell’Archivio Cesare Zavattini[3] presso la Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia e all’Istituto Gramsci di Roma nel Fondo Luchino Visconti[4]. 

Essendo tale documentazione particolarmente cospicua e numerosa, si ritiene possa essere utile uno schema ai fini della lettura.

L’Archivio Cesare Zavattini, per quanto concerne  Bellissima, conserva sette varianti del soggetto, una scaletta e un trattamento, tutti appartenenti alla serie archivistica “soggetti cinematografici”, con segnatura Za Sog R 10/2: 

1.      Soggetto "Cerchiamo un bambino distinto" (due versioni cc. 1-11, 12-21, s.d.)

2.      Soggetto "La bambina più bella del mondo" (due versioni cc. 22-31, 32-44, s.d.)

3.      Soggetto "Bellissima. Idea per  un soggetto di Cesare Zavattini” (tre versioni cc. 45-46 s.d.), copia depositata alla SIAE (c. 47-49, 1950 ), (cc.50-60, s.d.)

4.       Scaletta (cc. 61-70, s.d.);

5.      Trattamento: di Suso Cecchi D'Amico, Francesco Rosi, Luchino Visconti (c. 71-112, s.d.).

L’Istituto Gramsci di Roma nel Fondo Luchino Visconti, serie 7 “Cinema”, fascicolo Bellissima custodisce un soggetto che è del tutto identico a quello di dieci carte (cc.50-60) conservato dall’Archivio Cesare Zavattini, quattro scalette e  ben quindici documenti fra appunti e versioni relative alla stesura della sceneggiatura:[5] 

  1. Soggetto (cc.15, s.d. segnatura C20-1)
  2. Scaletta (c.1, 1950, segnatura C20-2)
  3. Scaletta (c.1, 1950, segnatura C20-3)
  4. Scaletta (c.1, 1950, segnatura C20-4)
  5. Scaletta (c.1, 1951, segnatura C20-5)
  6. Elenco dei brani per la colonna sonora (c.1, 1951, C20-6)
  7. Piano di lavorazione (c.3, 1951, C20-36)
  8. Sceneggiatura (c.1, 1951, segnatura C20-9)
  9. Sceneggiatura (cc.3, 1951, segnatura C20-10)
  10. Sceneggiatura (c.1, 1951, segnatura C20-11)
  11.  Sceneggiatura (c.1, 1951, segnatura C20-12)
  12.  Sceneggiatura (cc. 180, 1951, segnatura C20-13)
  13.  Sceneggiatura (cc. 13, 1951, segnatura C20-14)
  14.  Sceneggiatura (cc.268, 1951, segnatura C20-15)
  15.  Sceneggiatura (cc.255, 1951, segnatura C20-16)
  16.  Sceneggiatura (cc. 237, 1951, segnatura C20-17)
  17.  Sceneggiatura (cc.297, 1951, segnatura C20-18)
  18.  Sceneggiatura (cc. 215, 1951, segnatura C20-19)
  19.  Sceneggiatura (cc. 198, 1951, segnatura C20-20)
  20.  Sceneggiatura (cc.283, 1951, segnatura C20-21)
  21.  Sceneggiatura (cc. 269, 1951, segnatura C20-22)
  22.  Sceneggiatura (cc.103, 1951, segnatura C20-23)

Il primo soggetto di Bellissima è frutto del genio di Cesare Zavattini[6] e della sua volontà di mettere in evidenza come nel nostro paese il cinema fosse divenuto  una macchina dei sogni accattivante. ma allo stesso tempo pericolosa perché induceva le persone a umiliarsi, fino a perdere  la dignità nel rincorrere falsi miti ed illusioni di successo.

Cesare Zavattini in una lettera al critico cinematografico Renzo Renzi ricorda a grandi linee i suoi incontri con Luchino Visconti. Il regista lombardo  si recò da lui due volte, nella sua abitazione in via Merici a Roma, per parlare del soggetto di Bellissima[7].

Zavattini ricorda la sua soggezione  nei confronti di Visconti e la loro sostanziale differenza di classe. Ciononostante nella lettera emerge un rispetto reciproco al di là delle differenze. Visconti quando si presentò nella sua abitazione disse che gli bastava prendere due o tre pepite dal suo sacchetto d’oro per poter realizzare il film[8].

Fu il produttore Salvo d’Angelo a proporre a Visconti di dirigere Bellissima e Visconti, che per motivi finanziari aveva dovuto rinunciare a Cronache di poveri amanti [9] e a La carrozza del Santissimo Sacramento[10], accettò di portare sugli schermi la storia di questa madre che, avendo rinunciato a certe personali aspirazioni piccolo borghesi, tenta di realizzarle attraverso la figlia. 

 Il regista dichiarava in un’intervista:

 

«da molto tempo desideravo girare un film con la Magnani; e dal momento che  era appunto la Magnani l’interprete prevista per Bellissima, accettai… Mi interessava fare una esperienza con un personaggio autentico, col quale si potessero dire certe cose più interiori e significative. E mi interessava  anche conoscere quale rapporto sarebbe nato fra me e la diva Magnani»[11].

 

Negli anni quaranta Zavattini inizia a maturare l’idea di scrivere qualcosa sul mondo cinematografico inteso come fabbrica dei sogni e ne troviamo traccia nel soggetto Cerchiamo un bambino distinto[12]. Il soggetto ci presenta un padre vedovo, di nome Fabrizio, che lavora come cameriere in un caffè ed educa suo figlio Enrico di sei anni con metodi aristocratici, come fosse  un gentiluomo,  nella speranza che il bambino sia destinato a grandi cose. Un giorno, la ditta cinematografica Fulgor cerca un bambino  dall’aspetto distinto per interpretare un film e naturalmente Fabrizio accompagna suo figlio alle selezioni. Preso dalla frenesia di far diventare il figlio un attore, Fabrizio viene addirittura licenziato, ma l’uomo non si rassegna e decide di far prendere lezioni di recitazione ad Enrico  ospitando a casa sua una compagnia di attori scrocconi. Giunge il giorno del provino e il figlio si rivela il peggiore per il suo modo lezioso di recitare, proprio come glielo hanno insegnato i guitti che infestano la sua casa.

Sulle ceneri del suo sogno, Fabrizio si rende conto che la vita continua e che l'indomani suo figlio tornerà a scuola come tutti gli altri bambini, anche se sarà "il più distinto".

Un secondo spunto si intitola La bambina più bella del mondo. Il protagonista, Riento, è un vedovo che lavora come cameriere in un caffé del centro romano. Riento educa sua figlia di sei anni, Mariù, come fosse una nobildonna e questo contrasta con l’ambiente dove vivono. L’uomo ha come vicina una ragazza di venti anni, di cui è segretamente innamorato, che lavora come guardarobiera in un salone di bellezza. Riento si dedica con amore materno a Mariù fantasticando per la bambina  un  avvenire di successo. Tra gli inquilini troviamo Vincenzoni che ha per sua figlia di sei anni le stesse ambizioni che nutre Riento per Mariù. La Fulgor bandisce un concorso: si cerca una bambina dai sei ai nove anni dall’aspetto distinto. Riento porta la figlia al provino e, spalleggiato da Anna, pettina la bambina in mille modi diversi e le compra un sacco di vestiti. Un giorno nel bar dove lavora Riento arriva come cliente il direttore della Fulgor e l’uomo tenta invano di non farsi riconoscere come cameriere; alla fine, per il suo strano comportamento, si fa licenziare in tronco dal titolare del locale. In un piccolo teatro di periferia Riento incontra un attore scroccone di nome Avanzi che si insedia a casa sua per insegnare recitazione alla bimba e riesce quasi a convincere Anna ad abbandonare tutto per seguirlo nelle sue peregrinazioni d’artista. Il giorno del provino, Mariù recita in modo innaturale  e viene scartata, ma Riento anche se sconfitto, si riconcilia con se stesso e la bimba; l’indomani la farà giocare con gli altri bambini poveri del caseggiato non più preoccupato di perseverare con metodi educativi aristocratici.[13]

Nell’ idea successiva, Bellissima. Idea per un soggetto,[14] è gia in nuce il personaggio della madre ambiziosa, superba e disposta a tutto per far vincere alla figlia un concorso cinematografico. In questa versione, la donna si chiama Giuliana e  lavora come guardarobiera alla Rupe Tarpea,  mentre il marito fa l’orologiaio. Pur di far vincere alla figlia il concorso Giuliana è pronta a tutto e addirittura giunge al punto di concedersi, o quasi, a un uomo di cinema che la inganna promettendole di aiutarla per mettere in luce la bambina. Quando giunge la finalissima, la donna si rende conto che sua figlia non è bellissima, ha un difetto di pronuncia e si vergogna della sua ambizione sfrenata.

Poco dopo quest’ “idea” Zavattini delinea il primo vero soggetto, depositato alla SIAE[15]: la protagonista stavolta si chiama Maddalena, fa sempre la guardarobiera mentre il marito è un ferroviere. Viene bandito un concorso cinematografico, si cerca una bambina di sei anni e Maddalena pensa che stiano cercando proprio sua figlia. Allo stabilimento cinematografico sono molte le mamme che gareggiano nel pettinare e sistemare le figlie, ma Maddalena con la sua tenacia riesce a far rientrare la figlia fra le venti a cui sarà fatto il provino. La bambina ha un vistoso difetto di pronuncia e Maddalena la porta in un istituto di rieducazione della voce, le fa prendere lezioni di danza e la schiaffeggia perché non riesce a ripetere delle battute. Ruba perfino denaro dal portafoglio del marito per rincorrere il suo sogno. Accetta la corte di un millantatore, un ispettore di produzione che le promette di avere influenza sul regista; pur di vincere, gli concede un bacio e un appuntamento. Il giorno del provino, la bambina si rivela timida e impacciata e finalmente Maddalena prende atto che la sua bambina non ha nessuna particolare qualità e che a guidarla è stata più l’ambizione sfrenata che l’amore per la figlia.

Nell’ultima e definitiva  versione del soggetto[16] si precisano molti dettagli dello svolgimento narrativo che poi confluiranno anche nella sceneggiatura. C’è una specificazione dei luoghi cinematografici, in particolare di Cinecittà e dell’ambiente cinematografico. Infatti, si sta cercando una bimba per un film importante, Prima Comunione, del regista Alessandro Blasetti. Viene introdotta la figura di Annovazzi, un imbroglione che si vanta di conoscere Blasetti e di poterlo influenzare nella selezione  della candidata per interpretare il film. Grazie a lui, Maddalena ottiene facilmente un autografo da Silvana Mangano e incantata dall’uomo accetta persino di farsi baciare  pur di far vincere la figlia. In questa versione del soggetto aumentano le bugie che Maddalena racconta al marito Antonio e le spese pazze che sostiene pur di proseguire nei suoi intenti. Si delinea la figura di un’antagonista diretta di Maddalena, la coinquilina, una mamma che come lei sogna di far vincere il concorso alla figlia. Maddalena ha un violento litigio con la donna e ciò rischia di compromettere tutti i suoi sforzi. Infatti, suo marito rientra a casa mentre sta venendo alle mani con la rivale.

Finalmente giunge il grande giorno e con la sua consueta intraprendenza Maddalena riesce ad entrare nella cabina di proiezione dove assiste incredula ai commenti impietosi di Blasetti e dello stesso Annovazzi su sua figlia. Delusa  ed amareggiata abbandona gli stabilimenti di Cinecittà e sale sul tram per tornare a casa. Inizia a piovere e fuori dal finestrino sul suo volto le lacrime si confondono con le gocce di pioggia in un’efficace immagine catartica.

L’analisi della documentazione cartacea relativa al film è particolarmente illuminante perché se nei soggetti, pur nelle varianti, si registra la costante dell’epilogo che segna la sconfitta dei genitori che riversano sui figli le loro ambizioni, nella conclusione scelta da Visconti questo aspetto viene apparentemente ribaltato da un lieto fine, ma è un lieto fine molto amaro, lo si potrebbe definire agrodolce, infatti, anche se la bambina viene scelta come star del cinema, di fatto nella rinuncia al mondo del cinema da parte della madre si materializza il crollo dei sogni della protagonista. Nel finale è presente un messaggio etico: il riscatto della donna che in un certo modo matura comprendendo la vanità di inseguire sogni di successo.

Zavattini partecipò al trattamento, la fase intermedia fra il soggetto e la sceneggiatura, ma per impegni lavorativi fu per lui impossibile partecipare alla stesura definitiva della sceneggiatura.

È indubbio, la grande influenza esercitata dal soggetto di Zavattini, in quanto Visconti considerava un buon soggetto alla stregua di una parola che mette in moto la fantasia e la carica umana del regista che l’ascolta[17].

Quando il soggetto di Zavattini sarà sceneggiato da Visconti stesso, con Francesco Rosi[18] e Suso Cecchi D’Amico[19], numerosi saranno i cambiamenti apportati nella sceneggiatura per enfatizzare quello che è il falso mito del mondo dello spettacolo.

Spartaco non è più un impiegato, ma un muratore che sogna di comprare la casa, Maddalena non è più una guardarobiera, ma si ingegna come può effettuando iniezioni a domicilio. L’azione che si doveva svolgere nel quartiere Annibaliano viene spostata nel quartiere del Prenestino, prediligendo un luogo più periferico e popolano.  

Mutando l’ambientazione sociale e trasferendo la narrazione nei grandi casermoni popolari di Roma Visconti ha modo di mettere in evidenza come la miseria e la mancanza di istruzione siano i semi che alimentino nei poveri le illusioni di riscatto sociale offerte loro dalla “fabbrica dei sogni”.

Rispetto alla storia ideata da Zavattini in cui compariva la coinquilina, rivale diretta di Maddalena al concorso, si giunge alla rappresentazione di un matriarcato romano costituito da donne popolane, grasse, spesso in sottoveste, che parlano in romanesco e, come nel melodramma, questo insieme costituisce un vero e proprio coro che accompagna la protagonista nei caseggiati di periferia e a Cinecittà.  Grazie a questo coro numeroso e rumoroso il regista riesce ad accrescere il senso di un mondo in cui si mescolano cinismo e interessi economici:

 

«sul modello del melodramma Visconti compone il film come una partitura audiovisiva orchestrando la materia sonora in relazione all’immagine e, al suo interno, producendo un concertato di voci e rumori scandito sul rapporto fra coro delle donne e voce protagonista, ritmato sulla dialettica fra masse foniche e silenzi»[20].

 

La stessa Maddalena, che nei primi soggetti risultava come una donna spregiudicata disposta a farsi baciare dal millantatore di turno, diventa una donna fedele e maggiormente consapevole, anche se ingenua, visto che cede i suoi risparmi al truffaldino di turno.

Altra modifica estremamente rilevante è nel finale. Mentre nel soggetto di Zavattini la bimba viene definitivamente scartata dai registi, nella sceneggiatura viene scelta dal cast di Blasetti per fare la protagonista del film e stavolta è la mamma che, disgustata dal mondo del cinema, si rifiuta di firmare il contratto, rinunciando a un salto di classe sociale.

E’ interessante fare un confronto fra le varie varianti delle sceneggiature conservate nel Fondo Visconti presso l’Istituto Gramsci a Roma per mettere in evidenza come il testo sia stato modificato in corso di lavorazione.

Nella sceneggiatura più antica, nella serie archivistica C20-13[21], maggiore era la satira nei confronti del cinema, la voce dello speaker che annunciava il concorso risuonava nelle case e nelle strade romane, addirittura un aeromobile lanciava volantini pubblicitari relativi al concorso. Il personaggio Annovazzi era forse maggiormente caratterizzato nel suo rapporto sentimentale di natura conflittuale con Mimmetta (che poi diverrà Milena), giovane comparsa cinematografica. Annovazzi appariva come un giovane scaltro e servile in grado di soccorrere il produttore col mal di denti con un provvidenziale cachet. Lo stesso ambiente cinematografico era forse meglio precisato nei suoi protagonisti. Il regista previsto era Camerini, Nazzari compariva come divo capriccioso incapace di alzarsi presto per andare al lavoro. Anche Totò e la Mangano facevano la loro comparsa acclamati dalla folla di mamme e bambine che assediavano Cinecittà.

Al personaggio di Tilde Sperlanzoni, l’anziana attrice maestra di recitazione, erano dedicate un maggior numero di sequenze per metterne in evidenza l’aspetto caricaturale, in particolar modo l’anziana attrice veniva pedinata nel suo viaggio in autobus, viaggio in cui litigava col conducente del mezzo, proprio per mostrare il suo carattere di donna frustrata. Tramite le parole dell’anziana maestra emergeva la condanna del mondo del cinema «Il cinema è sempre stato il rifugio dei mediocri ma mi illudo sempre che abbiano ancora tanto rispetto per l’arte»[22].

Il rapporto fra Maddalena e la suocera appariva ancora più conflittuale: Agnese, saputo che la nuora aveva portato la bimba a Cinecittà, la rimproverava aspramente di averle fatto saltare la messa.

Maddalena già sottoponeva la figlia a un servizio fotografico dove però era presente Annovazzi a dispensare consigli e in più portava la bambina in un Istituto per la rieducazione della voce per correggere le  balbuzie. Quest’ultima  parte  scomparirà del tutto nella sceneggiatura.

La sequenza in cui Spartaco e Maddalena parlavano della casa da comprare era già presente e in questa scena Spartaco era infastidito dal sonoro di un film (suoni di bombardamenti) proveniente dall’arena situata nel loro cortile di casa,  rumori che disturbavano la sua conversazione con Maddalena. 

Emergeva anche un’amicizia fra Annovazzi e la maestra di recitazione Tilde Sperlanzoni, addirittura Annovazzi raccomandava a Maddalena di far prendere alla figlia lezioni dall’anziana attrice, ignaro che la donna le avesse precedentemente rifiutate.

La sceneggiatura seguente, serie C20-14, rispecchia sostanzialmente la precedente pur sottolineando le divergenze fra Maddalena e Spartaco nell’educazione della bambina. Nei litigi fra i coniugi nuovamente irrompeva il sonoro del cinema dell’arena vicina con rumori di bombardamenti aerei, rumori che svegliavano la piccola Maria di soprassalto.

Le successive sceneggiature le serie archivistiche C20-15, C20-16, fra loro sostanzialmente identiche, rispettano il canovaccio della precedente sceneggiatura: alcune sequenze erano dedicate al personaggio di Amedeo Nazzari, alla Magnani che figurava come diva di Cinecittà nelle vesti di famosa gattara e al direttore di produzione Glori, che faceva il galante con una mamma delle concorrenti.

La sceneggiatura seguente, serie archivistica C20-17 ricalca la precedente specificando però il tema del film del concorso cinematografico: il regista spiegava che la protagonista  doveva impersonare la figlia di due divorziati. Inoltre il fotografo si vantava con Maddalena di aver ritratto tante celebrità e mostrando una foto della Bertini esclamava con un po’ di rammarico: «Io ho lavorato tanto per il cinema, sa… la Bertini non voleva che me… poi… eh… si fanno tanti sbagli nella vita…. Eccoci qua. Dunque piccina»[23].

Un’altra sceneggiatura, serie archivistica C20-18, presenta al suo interno varianti di sequenze per esempio troviamo sia la vecchia che una nuova versione dell’incontro fra la maestra di recitazione e Maddalena nella quale è eliminato il viaggio di Tilde Sperlanzoni sull’autobus e  sia la vecchia che la nuova versione del fotografo nella quale scompare la figura di Annovazzi e compare quella della moglie del fotografo. Compare una  scena di Maddalena che fa un’iniezione a una donna, che poi nella sceneggiatura definitiva diverrà la puntura alla mantenuta. Veniva poi descritto un appartamento piccolo borghese, sede dell’Istituto per la rieducazione della voce, dove una maestra adottava un banale e controproducente metodo di correzione della balbuzie.

Nella sceneggiatura C20-19 comparivano alcuni divi cinematografici: Totò, Silvana Mangano e Silvana Pampanini. Venivano introdotte celebri sequenze che poi confluiranno definitivamente nel film, ossia quella a casa della sarta e a casa dell’avvocato bisognoso di iniezioni. Un’altra sequenza  vedeva Maddalena recarsi dal marito, sul posto di lavoro, nel cantiere di una fiera in costruzione, a portargli uno sfilatino. Tale sequenza che si concludeva con un litigio fra i due coniugi sarà poi cancellata.

 La satira sul mondo cinematografico era ben presente in un colloquio fra il produttore del film e il regista Camerini in cui il produttore si vantava di aver inventato il neorealismo: «Il neorealismo, caro Zatterin, scrivilo pure, non l’hanno inventato il signor Rossellini o il signor De Sica o Blasetti… Mi fanno ridere. L’ho inventato io quando loro facevano ancora le fotografie con la 6x9…».[24]

Analizziamo a questo punto quelle che possono essere considerate le sceneggiature definitive, anche se poi Visconti apportò numerose modifiche in corso d’opera.

Le sceneggiature C20-20 e C20-21 relative al primo tempo del film, sono fra loro simili e si caratterizzano principalmente per il fatto che il regista diviene Blasetti e per l’introduzione della scena in cui Maddalena si specchia pensando alla sua mancata carriera da attrice. Emergeva sempre il contrasto fra Maddalena e Spartaco, la donna voleva convincerlo della necessità di far prendere lezioni di recitazione alla figlia ma  l’uomo la prendeva in giro per il suo lavoro «Marì tu’ madre fa venì a Roma la spagnola er tifo petecchiale, la febbre gialla. Così a forza de iniezioni…»[25], al marito che prometteva alla figlia di acquistare in futuro una lavapiatti Maddalena rispondeva irritata «Lei non ce l’avrà mai da lava’ i piatti, lascia fare a me… Lei non sarà una disgraziata come su’ madre.»[26].

Le sceneggiature C20-22 e C20-23 relative al secondo tempo, vedevano delinearsi un primo incontro fra Annovazzi e Maddalena che insieme accompagnavano la bimba dal parrucchiere e la loro successiva passeggiata a Villa Borghese. Veniva solo abbozzata la sequenza in cui Maddalena e Spartaco vedono il film nell’arena estiva, mentre veniva scritta la celebre scena del litigio fra Spartaco e Maddalena davanti alla maestra di recitazione. Il rapporto fra il “cinematografaro” Annovazzi e la sua fiamma Mimmetta era molto più articolato: Annovazzi chiedeva a Mimmetta di far raccomandare la bimba dal direttore di produzione Glori. Dopo un litigio, Mimmetta raccomandava la bimba ed Annovazzi, con i soldi estorti a Maddalena, si comprava la lambretta dei suoi sogni. Maddalena invitava Annovazzi a pranzare alla trattoria della suocera e veniva introdotta la sequenza sul greto del fiume, la scena  si concludeva con un violento litigio fra Maddalena e la suocera Agnese, nella quale la donna rovesciava in testa alla madre di suo marito un fiasco di vino, ferendola. Nel finale, disgustata dal mondo cinematografico, Maddalena giungeva a tirare uno schiaffo a De Sica che, incontratala a Cinecittà, le aveva proposto seriamente di fare l’attrice[27].

Il mondo di Cinecittà con le sue illusioni veniva messo in luce attraverso le battute di un attore di nome Coop che a un altro collega attore diceva amaramente «Non troverai un cane che ti faccia lavorare… Non imparerai mai a recitare… o ti diranno come dicono a me. Mi dispiace caro Coop non sei vero capisci? Non sei vero… mi dispiace proprio tanto… io ho bisogno di uno stagnaro….Tu non sei uno stagnaro. Eh, bella scoperta… no che non sono uno stagnaro. Posso imparare il mestiere se crede… . Non sarai mai vero, mai…»[28].

Le illusioni alimentate dalla macchina dei sogni risuonavano nelle dichiarazioni che Maddalena faceva ad Annovazzi «Nun è mica che volessi fa’ il cinema pure io… Quand’ero ragazza nun ce se pensava che poteva capitatte… o, se ci pensavi, pensacce e rinunciacce era tutt’uno. Te contentavi de spera»[29].

In un’altra sequenza, poi scomparsa, Spartaco si recava allo stadio e incontrava una conoscente da cui apprendeva casualmente che Maddalena aveva ritirato i soldi dal libretto dei risparmi.

Si inseriva la sequenza dell’incontro con la moviolista Iris e quella in cui Maddalena assisteva ai commenti impietosi sul provino della figlia con Nazzari.

Come già detto, Zavattini partecipò saltuariamente al lavoro di sceneggiatura, ma nell’archivio Cesare Zavattini sono conservate una scaletta con note manoscritte di Zavattini e un trattamento[30], che ricalca l’impianto della precedente sceneggiatura analizzata. In particolar modo,  nella scaletta compare la sequenza in cui Maddalena accompagnata da Annovazzi va all’ufficio della cooperativa per rinviare di otto  giorni il pagamento della rata di 50.000 lire per l’appartamento e la scena in cui Maddalena schiaffeggia De Sica[31].

 

Visconti e il personaggio femminile di Maddalena

Da questo rapido ma spero esaustivo confronto fra le quindici versioni delle sceneggiature e la sceneggiatura definitiva del film[32] si può senza ombra di dubbio affermare che nel delinearsi del film, Visconti tagliò molte scene relative al cinema e ai suoi personaggi, Totò, la Mangano, Nazzari… per concentrarsi maggiormente sull’introspezione psicologica della protagonista e sull’analisi della natura umana. Per avvalorare questa ipotesi  si può sottolineare che la  sequenza in cui Maddalena si riflette nello specchio, o  quella in cui incantata guarda il film nell’arena del cortile di casa erano precedentemente solo accennate.

La lettura attenta della documentazione cartacea permette di cogliere un aspetto che la sola visione del film non ci restituisce, nel lavoro che si svolse in fase di sceneggiatura è presente una dimensione metanarrativa, una riflessione amara sul cinema stesso. Figurano degli espedienti metanarrativi quali l’introduzione di personaggi del mondo di Cinecittà, il produttore del film, il regista, gli attori… che si abbandonano a commenti negativi sul microcosmo a cui appartengono o si dilettano in sterili discussioni sul neorealismo. Questa dimensione metanarrativa si affievolì molto quando il film fu girato e può sicuramente sfuggire al pubblico meno consapevole e attento agli  strumenti narrativi di cui si servì il regista, ma  per tutto il film serpeggia sottilmente  uno sguardo caustico sul divismo e sui cliché del mondo cinematografico. In particolar modo la figura del regista Blasetti appare allo stesso tempo ironica e drammatica, il regista crede di essere il deus ex machina di Cinecittà ma allo stesso tempo è circondato da gente cinica che gravita intorno a lui.

Sicuramente il soggetto di Zavattini fu modificato anche perché Visconti voleva distanziarsi dal neorealismo e da quello che considerava il difetto di eccessivo lirismo. Alla domanda rivoltagli da Michele Gandin «Pensa di appartenere alla corrente neorealista italiana? E se sì, cosa la distingue da un De Sica o da un Germi?» Visconti replicava:

 

«Penso che sarebbe meglio parlare di realismo, semplicemente. Senza dubbio io lavoro in questa direzione. Secondo me, il grosso errore di Germi e anche di De Sica, con tutta la stima che ho per loro, sta nel fatto che essi non partono da una realtà sociale effettiva. I barboni esistono e pure Lambrate, e gli emigranti clandestini. Ma finali come quello di Miracolo a Milano o Il cammino della speranza,  nella realtà sociale non esistono. Secondo me si tratta di un pericoloso miscuglio fra realtà e romanticismo. Nella fine di La terra trema c’è più speranza, più promesse che nel volo a cavallo di una scopa. Non si può, non si deve uscire dalla realtà. Io sono contro le evasioni»[33].

 

Il critico cinematografico Renzo Renzi parla proprio di incomunicabilità fra i due cineasti del neorealismo, di un conflitto dialettico fra due diverse visioni del neorealismo: quello di Zavattini era un neorealismo basato sul pedinamento del personaggio e attingeva alla  cronaca e ai fatti quotidiani, viceversa quello di Visconti era un neorealismo sublimato dalla riflessione estetica[34].

Se nel soggetto originario di Zavattini la tematica principale era la fragilità e la vacuità del mondo cinematografico che incanta le folle delle persone semplici, il vero tema di Visconti divenne l’analisi della complessità umana di un personaggio calato in un ambiente estraneo ed ostile. In un’intervista a Jacques Doniol Valcroze, Visconti dichiarò di aver voluto tratteggiare il ritratto di una donna, di una madre moderna, la raffigurazione ironica dell’ambiente del cinema era stata una semplice conseguenza[35].

Gli sceneggiatori lavorarono modificando il soggetto di Zavattini in base alle esigenze di Visconti, che era interessato ad un’esperienza cinematografica con la Magnani[36], quale personaggio autentico. Visconti cercava di far emergere l’istinto negli attori e anche nel film lasciava agli attori un grande margine di battute e d’azione[37].

La Magnani rappresentava una grande opportunità non solo come maggiore interprete del neorealismo, ma anche per le sue grandi capacità di improvvisazione. Visconti, intervistato, dichiarava che le principali modifiche strutturali che aveva introdotto rispetto alla sceneggiatura in parte erano state sollecitate dalla presenza della Magnani, visto che l’attrice consentiva di lavorare per improvvisazione.

 

«L’Anna Magnani di Bellissima è e vuole essere un personaggio-attrice-diva, in cui i vari elementi di ciascuna di queste categorie drammaturgiche tendono a fondersi fra loro e a integrarsi nella donna Anna Magnani»[38].

 

Nella sequenza in cui Maddalena, ormai sconfitta nella sua battaglia, esce sconvolta da Cinecittà, la Magnani si era per esempio fatta scappare un “aiuto” non previsto dal copione, ma efficacissimo nel restituire la disperazione della donna dinanzi al crollo del suo sogno.

 La presenza della famosa attrice non contrastava con quella della bambina, Tina Apicella e dell’operaio Gastone Renzelli alla loro prima esperienza di attori perché, come affermava Visconti:

 

«la Magnani  ha una recitazione piena d’istinto popolare che non ha niente a che fare con il teatro di mestiere. Sa mettersi al livello degli altri, e in un certo qual modo sa portare gli altri al suo. Io ho puntato essenzialmente su questo particolare aspetto della sua personalità»[39].

 

Il rapporto con la Magnani fu intenso anche se costellato di litigi. Il regista desiderava che la stessa Magnani inventasse il suo personaggio  e per questo la obbligava a essere sempre presente sul set, anche quando girava scene a cui lei non partecipava.[40]

Visconti esponeva il suo peculiare metodo di lavoro, che prevedeva una collaborazione con gli attori, ai quali suggeriva  gli argomenti che dovevano provare ad esprimere a modo loro per centrare e mettere a fuoco la scena. La sceneggiatura era la base, l’ossatura del film, ma poi bisognava riuscire a portare gli attori a recitare anche le battute più difficili:

 

«Né l’azione, né il dialogo definitivi si possono predisporre. Nei film realisti i personaggi non possono dire cose che in un certo modo: bisogna trovarlo. Del resto io penso che l’autore del film deve essere uno solo: il regista. Con questo mio metodo di lavoro il “vero” film nasce sul posto».[41]

 

Il regista esponeva il suo metodo di lavoro che escludeva di far doppiare gli attori, perché col doppiaggio tutto perde di senso, si doveva riuscire a far uscire il talento cinematografico anche da attori non professionisti, per far recitare bene anche le battute più complicate.

Visconti dichiarava che l’esperienza gli aveva insegnato che la presenza dell’essere umano è la sola cosa che veramente colma il fotogramma: «Potrei fare un film davanti ad un muro se sapessi ritrovare i dati della vera umanità degli uomini posti davanti al nudo elemento scenografico: ritrovarli e raccontarli»[42].

Sicuramente il carattere indomabile di Anna Magnani influì nella costruzione del personaggio di Maddalena. Quando si analizza la  caparbietà di Maddalena nel voler far vincere alla figlia il concorso, non ci si può non domandare quanto la personalità di Annarella abbia contribuito a realizzare questo personaggio così vivace. Nel 1953, al regista sarà proposto di partecipare ad un film ad episodi, Siamo donne[43], film animato dall’intento del suo ideatore, Cesare Zavattini, di smitizzare la figura della diva. Visconti chiamerà nuovamente Anna Magnani ad interpretare uno degli episodi. Si ispirerà a un fatto del 1943  che aveva visto la litigiosa Anna Magnani discutere con un tassista che pretendeva una lira di supplemento per il suo cagnolino. In un ambiente questa volta dominato da uomini, il tassista, i carabinieri, Annarella irrompe con la sua esuberanza e testardaggine. Tale temperamento rammenta molto da vicino la spontaneità caparbia della popolana Maddalena.

 

Analisi di Maddalena e delle altre figure femminili

 

La protagonista di Bellissima, Maddalena, è una donna disposta a tutto pur di far divenire la figlia una piccola diva del cinema. Vuole la celebrità per sua figlia perché in fondo è ciò che desidera per se stessa.

Come riferì Visconti in merito a Bellissima, in un’ intervista:

 

«si tratta in sostanza della storia di una donna, o meglio di una crisi: una madre che ha dovuto rinunziare  a certe aspirazioni piccolo borghesi, tenta di realizzarle attraverso la figlia. Poi si convince che, se un miglioramento si può raggiungere, è in tutt’altra direzione. E alla fine del film torna a casa pulita come è partita. Con la consapevolezza di aver amato male la sua bambina e con in più l’amarezza per certe pratiche attraverso le quali è stata costretta a passare per arrivare a un mondo che credeva meraviglioso, e che in sostanza non era che deplorevole»[44].

 

Nella storia di una crisi si esprime la crisi della donna italiana in una specifica prospettiva storica e sul piano del costume. I valori, le aspirazioni, le ambizioni della protagonista sono specchio dell’Italia degli anni Cinquanta. Analizzando questo personaggio è possibile cogliere lo spirito di quel momento: per molte famiglie afflitte dalla disoccupazione e dalla miseria il cinema appariva come una fascinosa chimera di riscatto. Come testimoniato da numerosi film de «la Settimana INCOM», negli anni Cinquanta, Cinecittà era meta di molte persone che sognavano un futuro da star del cinema.

Lino Micciché nel suo saggio su Visconti vede nel desiderio del regista di affrontare questo specifico argomento una metafora sul cinema:

 

«ciò cha ha spinto Visconti verso quel soggetto.. è stata la volontà di far filtrare tramite un personaggio robustamente costruito ed interpretato, una verità di ben altra portata storica: che il cinema italiano aveva cessato di essere il portatore e l’interprete della coscienza  nazionalpopolare… che il rapporto fra popolo e cinema era ormai soltanto il rapporto fra un’illusione irrealizzabile e una macchina inesorabile»[45].

 

Anche Fernaldo Di Giammatteo individua, quale nucleo principale del film, la satira umana dell’ambiente cinematografico:

 

«Lo schifo che prova Maddalena e che la respinge dall’ambiente cinematografico, si tramuta in più punti troppo facilmente nello schifo che prova lo stesso Visconti: ecco allora l’insistenza, la perdita del controllo, il compiacimento, la contemplazione stridente, gli episodi… della iniezione della mantenuta, della visita di Maddalena all’atélier della sarta fiorentina e della lezione di ballo. Siamo al grottesco fine a se stesso»[46].

 

Inoltre: 

«Quella Cinecittà vista fra impalcature e polvere, con il sudore dell’estate, la confusione degli operai, la trascuratezza degli artisti sempre pronti a ridere delle miserie degli altri, ha un valore di testimonianza e di polemica»[47]. 

Visconti aveva precedentemente parlato di cadaveri che si ostinavano a credersi vivi nei quali ci si imbatteva spesso andando per certe società cinematografiche e in un certo senso è come se di questi cadaveri il regista sentisse ancora l’odore[48].

Con Bellissima il cinema offre un ritratto veridico e convincente di se stesso[49]; ma al di là di quella che può essere la polemica di Visconti che riguarda la macchina di una Cinecittà popolata da uomini sciocchi e meschini, i cosiddetti cinematografari, il tema era all’epoca una sorta di Leitmotiv: in quel momento numerosi sono gli autori che disegnano personaggi femminili  affascinati dal mondo del cinema basti pensare a La signora senza Camelie (1953) di Michelangelo Antonioni o La fortuna di essere donna (1956) di Blasetti, storie dove nuovamente emerge il carico di illusione di cui si fa portavoce il cinema. Maddalena può essere considerata come l’immagine di una femminilità popolare dai modi schietti e simpatici, l’emblema di una donna italiana della classe piccolo borghese romana, che se da un lato cerca una sua emancipazione dall’altro, per il forte attaccamento alla famiglia, denota la permanenza di valori ancestrali. La protagonista ricalca perfettamente lo stereotipo della brava madre di famiglia, generosa, fedele e coraggiosa, donna capace di grandi tenerezze, al di là di qualche scatto d’ira.

Quello di Maddalena è anche un cammino verso la libertà di accesso al lavoro, è fiera di contribuire al ménage familiare facendo l’infermiera a domicilio, ma il suo non è un lavoro istituzionalizzato e spesso è contenta dei disturbi di salute altrui perché le consentiranno di lavorare e di raggiungere una piccola indipendenza economica. Con spirito pratico, Maddalena calcola che con cinque iniezioni al commendatore potrà comprare il vestito da ballo alla bambina senza disturbare il marito. Per Maddalena il lavoro è soprattutto un mezzo per sentirsi utile, come lascia intuire una battuta della suocera che mette in dubbio il ritorno economico di effettuare punture in luoghi lontani da casa.

Analizzando il suo rapporto col marito, Spartaco, possiamo rintracciare un ritratto tipico della famiglia degli anni Cinquanta che, anche se mutata (quella dei Cecconi è una famiglia nucleare, con un solo figlio), rimane comunque una famiglia dove dominano rapporti  di tipo  patriarcale. La famiglia è uno dei principali luoghi d’osservazione per scorgere i mutamenti che hanno segnato lo sviluppo sociale del Novecento, all’interno della famiglia nasce il conflitto  fra uomo e donna ed ecco perché reputo basilare analizzare il rapporto coniugale fra Maddalena e suo marito Spartaco.

Spartaco ci viene presentato come un uomo mite, che adora la sua bambina, è  appassionato di calcio, un operaio dalle miti pretese che sogna di comprarsi una casa propria come socio di una cooperativa di operai. Spartaco è però indubbiamente il capofamiglia e tale rapporto di dominanza viene subito specificato all’inizio del film, quando l’uomo qualifica la moglie come una matta, mentre il fratello e la madre lo rimproverano di non farsi rispettare dalla consorte. Nella sequenza successiva, davanti al ritorno concitato e raggiante di Maddalena da Cinecittà, Spartaco la rimprovera «Ma che dici? Che ti sei impazzita?»[50] e non la ascolta. Maddalena vorrebbe accompagnarlo alla partita, ma Spartaco, da padre padrone, le ordina di andare a casa in modo perentorio e non accondiscende ai desideri della moglie che la sera vorrebbe essere portata al cinema.

Spartaco è un uomo capace di grandi tenerezze con la bambina, la mette a dormire, la coccola accarezzandole le treccine e facendole il solletico  ma pur amando la moglie non riesce ad ascoltarne e a  capirne fino in fondo le aspirazioni. Memorabile è la sequenza in cui nell’arena del cortile di casa si proietta Il fiume rosso di H. Hawks, mentre Maddalena è a dir poco incantata «Guarda che bei posti… guarda noi’ndo vivemo» «Ao’ an vedi tutti nell’acqua i cavali, se fanno er bagno… nto è bello eh», Spartaco la richiama con forza alla realtà : «Ah Maddale’, e lascia sta’ il cinema” “Maddale’ so’ tutte favole».

Altra sequenza in cui emerge un rapporto di dominanza è la sequenza della  sceneggiata col marito di ritorno dal parrucchiere, che ha sciupato i capelli di Maria facendole un taglio alla garconne. Spartaco batte i pugni sul tavolo nel tentativo di cacciare la maestra di recitazione, la Sig.ra Sperlanzoni, alza le mani come per schiaffeggiare la moglie Maddalena, che si protegge il volto  per ripararsi da eventuali colpi.

Spartaco  afferra il pacco contenente il vestito da ballo che Maddalena ha commissionato in sartoria perché è preoccupato delle spese folli della moglie e urlando la rincorre in camera, mentre Maddalena lo prega di non sciupare l’abito.

Maddalena implora Spartaco: «Nun fa il grave, nun fa il materiale… ti prego non fare uno scandalo! Nun fa la carogna che te ne approfitti perché so’ più debole!»

In questo litigio emerge il marito padrone che infatti rivendica una serie di servigi da parte della moglie che incantata dal cinema sembra aver perso di vista i suoi doveri quotidiani di madre e moglie «Qui nun se magna, nun se dorme, nun s’attacca un bottone… Nun comando più niente qui!» e addirittura aggiunge «Maddale' che t’ammazzo sa’!» A sedare il litigio accorre la portinaia richiamata dalla commessa del negozio che aveva appena consegnato l’abito e subito dopo una schiera di vicine attirate dalle grida.

Quello che mi  colpisce della sequenza è che tale prevaricazione non avviene nell’ombra, ma davanti ad altre donne e questo aspetto  suscita  la solidarietà femminile. Molte donne del caseggiato accorrono in difesa di Maddalena per proteggerla e sostenerla, di fronte a ciò e alle lacrime della moglie, Spartaco è costretto a capitolare.

Mentre Spartaco minaccia di portar via la bambina Maddalena rivendica urlando con ostinazione ciò che desidera per la figlia «Si voglio che mia faja diventa qualcuno. Ce l’avrò si o no stò diritto no, … O è un delitto secondo te? Non deve diventà ‘na disgraziata mi fija, non deve dipende da nessuno, non deve pijà le botte come le pijo io, non le deve pijà».

Questa sequenza è in parte caratterizzata da “esigenze bozzettistiche”[51] visto che, andato via Spartaco, Maddalena  scoppia a ridere e cambiando tono di voce e rivolgendosi al coro delle donne presenti sospira: «Eh, gl’avemo fatta, Nì… Aho, s’in facevamo così il provino mica lo facevamo». 

Tale sequenza è comunque una rappresentazione di piccola prevaricazione domestica, ambientata in un contesto in cui la violenza di genere era un fenomeno tollerato come normale in quanto coincideva con valori dominanti e con tradizioni consolidate, quasi naturale, dal momento che il marito era ancora un marito padrone soprattutto per la legge.

Gli anni Cinquanta hanno da  un lato rappresentato uno scenario di emancipazione femminile costruita sul quotidiano, sulla definizione di sé e delle proprie aspirazioni, sulla frequentazione scolastica, ma sono anni in cui per la legge la donna è ancora subordinata all’uomo. A tal proposito si può ricordare che il fascismo non aveva aiutato la donna nel processo di emancipazione, semmai  aveva ribadito nuovi doveri della donna nei confronti della famiglia e dello stato.

Il 21 aprile 1942 sotto il fascismo entrava in vigore il nuovo Codice civile che stabiliva l’inferiorità della donna coniugata rispetto al marito per quanto riguardava la potestà maritale, la diversa valutazione dell’adulterio e l’educazione dei figli. Anche se le donne fecero la loro prima esperienza elettorale alle elezioni politiche del 1946, molti articoli del codice civile fascista furono abrogati solo dalla riforma del diritto di famiglia del 1975.

Sicuramente i rapporti di sudditanza rientrano pienamente nel rapporto matrimoniale di quegli anni e quindi Spartaco forse più che come un marito padrone appare come un bravo uomo,  dai modi un po’  rudi che richiama la moglie sempre all’interno di un ordine costituito da difendere; anche nel finale, quando Maddalena piange abbracciando il marito, per un momento viene rapita dalla voce di Burt Lancaster e allora Spartaco  irritato esclama «Maddale', e mo’ te gonfio davvero eh!».

            «Maddalena è femmina moderna e antica, agisce assiduamente dall’interno di una relazione accettata con l’uomo: un vincolo investito di giovane furore … ma è un vincolo che la donna sembra accettare anche, o soprattutto per la rissa che c’è in esso e per questo vivo, e viva, lei, solo dentro la rissa»[52].

 

In questo film il personaggio femminile non appare più l’angelo del focolare dei telefoni bianchi, è una donna imprevedibile, non conforme alle regole e spesso è proprio  questa irrequietudine femminile che disorienta e confonde le certezze maschili.

Anche nei confronti della suocera, quello di Maddalena è un rapporto conflittuale, la donna  si sente osteggiata dalla suocera padrona e davanti ai suoi rimproveri non si fa scrupoli a lanciarle dietro una scarpa rompendo un vetro della trattoria.

Tramite la figura di Maddalena, Visconti è comunque riuscito a creare un personaggio a tutto tondo, una donna che lotta per esprimere la sua personalità e le sue ambizioni. Soprattutto nel rapporto con sua figlia Maria  si specifica forse nel modo migliore il personaggio e vengono fuori quelle contraddizioni che caratterizzano il mutamento sociale di quegli anni.

Maddalena come mamma desidera il meglio per la bambina ed è questo che la porta a far partecipare la figlia al concorso, ma quello della donna è: 

«un sentimento materno portato al parossismo, tanto da confondersi con le aspirazioni egoistiche della madre, con le sue frustrazioni, con le sue ambizioni insoddisfatte, in una società in cui l’affermazione personale e familiare non ha altro limite che la capacità di superarsi, con qualunque mezzo, a vicenda»[53].

 

            Maddalena ha con la figlia un atteggiamento esclusivista e più volte le ripete «tu devi dar letta solo a mamma… se no staressimo freschi», spesso iperprotettivo; per esempio protesta con la maestra di danza, rea di tenere troppo la figlia alla sbarra, o col fotografo che forse l’ha fotografata con gli occhi chiusi[54].

            Maddalena  trasferisce sulla figlia le sue aspirazioni mancate e sottopone la bambina ad innumerevoli sforzi pur di inseguire il suo sogno, dal suo punto di vista opera per il bene della bambina visto che si affanna per garantirle un futuro migliore del suo. Nel fare questo Maddalena non accetta la timidezza della figlia che non è animata dalla civetteria come le altre partecipanti al concorso, anzi spesso appare molto impacciata.

            Il film si apre con le note dell’ "Elisir d’Amore” di Doninzetti, che accompagnano la prima scena del film con l’annuncio del concorso. Mentre si dissolvono le parole dell’opera Non fate strepito, aumenta il brusio della folla di donne che si accalcano a Cinecittà[55].

 

«I legami tra l’opera di Donizetti e il film sono più forti sono più forti di quanto non appaiano estranei i loro temi. Il melodramma buffo dal finale felice ha un sottofondo drammatico nel risvolto grottesco dall’inganno collettivo: Tutti credono al potere dell’elisir, mentre il vero artefice dell’amore e del successo è il potere del denaro»[56].

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sequenza XXVI, Archivio fotografico Cineteca di Bologna[57]. 

 

Anche alla fine del film, mentre Maria dorme finalmente serena nel suo lettino, ritorna un'altra aria di Doninzetti «Quanto è bella, quanto è cara, più la vedo e più mi piace».

            Fin dall’inizio si comprende come la piccolina subisca passivamente la frenesia della madre per il cinema, si perde a Cinecittà  e quando Maddalena la ritrova seduta e sporca  presso una piscina la brontola e la schiaffeggia suscitando un pianto a dirotto. Poco dopo, davanti al regista Blasetti, la bambina, anche se baciata e rassicurata dalla mamma, balbetta un po’ per la timidezza e l’emozione.

            Maria non si fa problemi a stressare la bimba facendole prendere lezioni di recitazione e di danza, portandola dal fotografo, dalla sarta  e dal parrucchiere. Colpisce il fatto che la bambina non ha voce in capitolo, subisce passivamente i diktat della madre e non le viene mai chiesto se è felice di andare a lezione di danza o di  recitazione. Solo dal fotografo, di fronte all’ennesimo pianto della bambina, Maddalena tenta di consolarla e rassicurarla: «Cocca de mamma, te fammo ‘na bella fotografia , qui, nun sei contenta?»

            In un’altra occasione, nel salone del parrucchiere, Maria trova il coraggio di ribellarsi « Nun ce voglio sta’ qua, nun ce voglio sta’ qua! … Mamma, voglio andà da mamma, voglio andà da mamma…».

Il film Bellissima può essere considerato un prezioso documento anche per analizzare quella che è la condizione dell’infanzia, in particolar modo delle bambine negli anni Cinquanta. Nel dopoguerra i figli non sono più considerati forza lavoro, sono subentrati nuovi legami affettivi, basti pensare al fatto che Maddalena spesso bacia ed abbraccia la figlia, ma ancora c’è una difficoltà per quanto riguarda la capacità di ascolto dei minori. Maddalena è una fra le tanti madri che accorrono a Cinecittà e si affannano a pettinare, vestire ed istruire le figlie per far vincere loro il concorso cinematografico; molte bimbe sono schiave dei modelli materni; al provino una bambina imita Betty Grable, un’altra canta “Arrivano i nostri”. Nessuna madre si interroga seriamente se un futuro da star del cinema davvero corrisponda agli effettivi desideri delle bambine.

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sequenza XVI, Archivio fotografico Cineteca di Bologna.

 

   Il film è una perfetta rappresentazione di quelli che sono i nuovi modelli sociali di successo personale che si stanno imponendo con l’abbandono della società rurale: molti genitori, che da adolescenti hanno subito le miserie del conflitto mondiale rincorrono attraverso i figli quei sogni che essi hanno visto distruggere dalla follia della  guerra, trasferiscono su di loro le loro ambizioni mancate, vedendo in essi una reale possibilità di riscatto sociale.

            Questa operazione di transfert è ben visibile in una sequenza del film in cui mentre Maddalena invita la figlia a lavarsi le manine col sapone per andare bella pulita  dal fotografo, si guarda nello specchio e con un pizzico di vanità esclama «In fondo che è recità? Eh? E se io mo’ me  credessi d’esse n’altra…” ed esortando la figlia ad impegnarsi a recitare continua sospirando “Tu sì che puoi fare l’attrice, Nì. Tu la puoi fa l’attrice, sa? Io pure, s’avessi voluto…».

Questa sequenza è particolarmente significativa anche per la tipologia di inquadratura adottata da Visconti. Se fino a questo punto del film il regista non ha adottato piani sequenza, ma long takes, inquadrature lunghe che quasi spiano la protagonista, adesso la Magnani si pettina allo specchio e il volto sensuale viene raddoppiato da uno specchio più piccolo, questo gioco di specchi che serve a parcellizzare i campi visivi è presente anche nella sequenza dal fotografo quando appare un’interessante inquadratura della bambina capovolta dalla lastra fotografica e nella scena dal parrucchiere.[58]

            Per inquadrare il personaggio di Maddalena dal punto di vista della sua femminilità è importante metterlo in rapporto con la figura del millantatore Annovazzi. L’uomo riesce a estorcere alla donna i suoi risparmi, sessantamila lire, con la promessa di far vincere alla figlia il provino. Maddalena porta Annovazzi nella trattoria della suocera, poi i due si allontanano raggiungendo le sponde del Tevere. Entrambi sono soddisfatti: Annovazzi per l’acquisto della lambretta, Maddalena perché convinta di avere in mano il contratto cinematografico per la figlia. Anche se la donna è ormai consapevole che i soldi non sono serviti  a spese di rappresentanza, tipo mandar fiori alla moglie del produttore o profumi alla moglie dell’operatore, ma a comprare una lambretta, accetta comunque di farsi corteggiare dall’uomo che le accarezza un braccio e la invita a lasciarsi andare «come i ricchi quando buttano via il denaro». Nella scena sul greto del fiume si ha l’impressione che Maddalena, pur rimanendo ferma nel respingere il corteggiamento di Annovazzi, apprezzi il fatto di sentirsi desiderata al di fuori del matrimonio, forse perché da troppo tempo è disabituata ai complimenti maschili.

Fra i due personaggi si verifica una forte empatia quando, ormai svelate le carte, Annovazzi rivela la propria filosofia: la madre gli ha detto di darsi da fare e lui cerca di non farsi sfuggire niente, «Maddalena sembra persino intenerita… in fondo Annovazzi è anche il frutto di una spregiudicatezza materna, analoga alla propria nei confronti di Maria»[59].

Anche nel personaggio di Annovazzi, ideato dalla Suso Cecchi d’Amico con grande finezza psicologica, torna il tema delle madri che proiettano le proprie ambizioni sbagliate sui figli e tale tematica questa volta coinvolge un personaggio maschile: anche Annovazzi è in fondo una vittima della frustrazione materna[60].

            La caduta degli inganni si verifica quando Maddalena, nascosta nella cabina di proiezione, assiste alla visione dei provini da parte della troupe. Quando Maddalena scopre che al provino la bambina si è messa a piangere suscitando l’ilarità di tutti i presenti, ferita nel suo orgoglio di madre irrompe nella sala del regista pronta a vendicare l’ingiustizia che la bimba ha subito: «Ma ve fa tanto ride sta ragazzina? E guardatela, è una ragazzina come le altre ho sentito pure dire uno che è una nana, ma come… Non c’avete rispetto degli sentimenti degli altri proprio, non c’avete nessun rispetto per i sacrifici che uno fa».

            Maddalena esce da Cinecittà amareggiata, il suo dolore contrasta con le luci e la musica del Luna park, si siede con la bambina su una panchina e scoppia a piangere, il suo pianto ristora però il suo cuore visto che ha realizzato che quello dello spettacolo è un mondo crudele e spietato, non adatto all’innocenza dei bambini.

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sequenza XLV, Archivio fotografico Cineteca di Bologna.

 

La protagonista ha ormai raggiunto quel processo di maturazione e consapevolezza che la farà rinunciare senza rimpianti a un futuro da star per sua figlia. Quando gli assistenti di Blasetti si presentano a casa sua per farle firmare un contratto per la bambina, Maddalena indignata si rifiuta «E vabbè!  E come la volete la ragazzina? Coi capelli ricci, j’à da fischià l’esse, e ha da zagajà?[...] Come ve fa ride di più? Non ve siete divertiti abbastanza[…] Quanto me dispiace… perché … perché mi fija ce la tenemo. Nun l’ho messa al mondo pe’ fa divertì nessuno.»

Il film si chiude con il rapporto ritrovato fa i due coniugi che ristabiliscono in  parte i ruoli familiari; Maddalena fa ricondurre il gioco al marito «Ah Spartaco, che aspetti a dì a ‘sti sgnori… che tu fija non lo farà mai il cinematografo[…] Cacciali via.»

La sconfitta della donna è  benefica perché la fa maturare e ritornare ad apprezzare  un mondo familiare sicuramente più autentico. Nel finale è quindi presente un intento morale, un monito del regista che vuole far aprire gli occhi sulla vanità del mondo cinematografico.

La riappacificazione fra Maddalena e Spartaco e il ristabilimento dell’equilibrio familiare vengono suggellati da un forte abbraccio accompagnato da lacrime e da un’inquadratura che ritrae la piccola Maria che finalmente dorme tranquilla nel suo lettino.

Maddalena però non è l’unica donna lavoratrice che compare nel film, oltre alla suocera che gestisce una trattoria, alla moglie del fotografo, alle sarte, alle donne che lavorano in un settore per così dire di artigianalità, spiccano tre figure femminili molto significative ai fini dell’indagine. Visconti si concentra su alcune figure femminili per descrivere quel mondo di impostori e di falliti gravitante attorno al mondo dello spettacolo.

La prima è la maestra di recitazione che si presenta affamata a casa Cecconi per impartire lezioni di recitazione alla bambina e con uno spillo fora tre uova di cui beve il contenuto. L’anziana donna appare vittima di quel mondo patinato di cui ha fatto parte, ora che ha una certa età non è più adatta per il cinema e si deve arrangiare impartendo lezioni di recitazione a domicilio.

La seconda figura è la maestra di danza con cui la protagonista ha da ridire in merito al metodo di insegnamento che impartisce alla figlia. Nelle parole della maestra si intuisce il suo destino di donna frustrata per i sacrifici non ripagati: «Io le dico assolutamente che qui bisogna studiare, studiare e studiare; vede io, quarant’anni che ballo però …se non studiassi tutti i giorni… vede…».

Infine, quando Maddalena si reca a Cinecittà per vedere in anteprima il provino di Maria incontra Iris una donna che lavora alla moviola e la riconosce come attrice interprete di Sotto il Sole di Roma (film del 1948 diretto da Renato Castellani), ma scopre che adesso non recita più e che per lavorare è costretta ad occuparsi di montaggio. Maddalena incuriosita la interroga e rimane sorpresa dalle risposte della giovane donna: «Signora mia, io non sono un’attrice. M’hanno presa una volta, du’ volte, così, perché ero il tipo che serviva a loro. Francamente m’ero pure un po’ illusa. E c’ho rimesso l’impiego, col fidanzato che c’avevo. Ma sa che le dico, o essere attori  sul serio de professione, o è meglio non illudersi per niente, e avere un mestiere». 

«Nelle parole della ragazza, insomma, c’è una riflessione di Visconti sugli stereotipi del neorealismo, come quello degli attori presi dalla strada, la presa diretta sulla realtà che porta invece a un’illusione (“ne so’ venuti tanti de disgraziati, co’ ‘stillusione del cinema…) se non  ad un cinico sfruttamento della gente»[61]. 

 

Sequenza XLII, Archivio fotografico Cineteca di Bologna. 

Anche la fisicità di Maddalena dovrebbe essere oggetto di analisi nel momento in cui fortissima è la contrapposizione con quella delle altre figure femminili presenti nel film. Maddalena è sicuramente una popolana dai “modi simpatici”, ma ha un fisico snello e scattante, le altre figure femminili sono quasi tutte donne grasse, quasi deformi e la loro opulenza contrasta con la figura della protagonista, come se il suo aspetto diverso, non conforme alla stazza delle altre donne, servisse a sottolineare la sua diversa curiosità e spregiudicatezza.

 

La rassegna stampa 

 

Numerosi furono gli articoli che trattarono del film Bellissima e la loro analisi è molto utile per comprendere come fu recepito il film.

Molta critica cinematografica si concentrò sul personaggio della protagonista e sulla superba interpretazione della Magnani, per esempio, Gianni Scalia parlava di un nuovo umanesimo cinematografico in merito alla “forza unica di esprimere sentimenti elementari e  profondi con un vigore senza enfasi”[62], un cinema con una rinnovata dignità letteraria e morale. Corrado Alvaro scrisse che “sin dalle prime battute di Anna Magnani si ha l’impressione di trovarci di fronte a una protagonista che ci condurrà dove vuole” e che il merito del film andava rintracciato nell’esser riusciti a rappresentare un personaggio vero “in un piccolo romanzo delle illusioni e delusioni quotidiane”[63]. Anche Giorgio Santarelli elogiava l’alto livello di recitazione degli attori che entravano nei personaggi tanto da confondere in essi la propria personalità[64].

Luigi Chiarini vedeva in Bellissima una crisi del neorealismo, crisi intesa come confronto dialettico derivante dal contrasto fra il mondo dello spettacolo e il film “il film… pone un problema di stile e un’esigenza a mio avviso irraggiungibile: la riduzione del neorealismo a spettacolo”[65].

Renzo Renzi, pur criticando qualche eccesso naturalistico di Bellissima inteso come eccessiva preoccupazione fotografica nei riguardi della realtà, vedeva nell’aristocratico Visconti lo sforzo di «affrontare minuziosamente problemi e drammi dell’attuale società italiana rifiutando decisamente l’evasione, il sogno, tutto ciò, insomma che serve a distrarre dagli impegni morali e civili»[66].

Qualche detrattore accusava il film di bozzettismo per la parlata romanesca, il gusto per il pittoresco vedendo in tutto questo un’involuzione del neorealismo italiano[67].

Qualche altro scorgeva nel film un tentativo di inserirsi nel filone del neorealismo italiano ma con un’impronta di natura esteriore e decorativa[68].

Anche Alberto Moravia sulle pagine de «L’Europeo» elogiava  il film per la capacità di commuovere «senza sdolcinature per la sola virtù di semplice verità» e per il ritratto di una «madre memorabile per forza, sobrietà, complessità e vivezza»[69]. È sintomatico questo intervento dello scrittore perché Moravia nel suo romanzo La romana (1947) aveva tracciato un analogo ritratto di madre disposta a tutto per la figlia. Anche la madre di Adriana, la protagonista del suo romanzo, prova il gusto di un mondo felice e proibito  e spingerà la figlia a prostituirsi perché questo sarà il suo modo di allontanarla dalla povertà credendo di fare il suo bene.

Dalle pagine de «l’Unità», Tommaso Chiaretti elogiava la capacità di Visconti di porre continuamente e dialetticamente in contrasto i due mondi del cinema e il quartiere del popolo, «se da un lato v'è del marcio, dall'altro vi è una bella sanità, la pulizia delle coscienze, che traspare anche dalla angustia, dalla indigenza degli ambienti, dai panni stesi ad asciugare, dall'opprimente caldo romano. Questo è il senso di Bellissima»[70].

Interessante è anche riportare il giudizio morale del Centro Cattolico Cinematografico «è un lavoro pregevole e convincente, malgrado qualche esuberanza. La vicenda è sostanzialmente positiva; ma alcune sequenze con costumi succinti impongono serie riserve», quest’ultimo commento era riferito alla sottoveste nera utilizzata nelle scene domestiche come principale capo di vestiario dalla Magnani[71].

Interessante è anche ripercorrere la storia del film dal punto di vista della censura. Il film passò alla  prima  udienza della commissione di revisione cinematografica tenutasi il 12/12/1951 ed ottenne il visto n° 11073 lo stesso giorno. La cosa curiosa è che la commissione impose una condizione per la proiezione per tutti: la soppressione di un dialogo da una scena. La scena è quella in cui la Magnani, prima di fare un'iniezione ad una ragazza piuttosto formosa, le dà una pacca sul sedere ed esclama «ma chi se la gode tutta questa grazia di Dio?». Questa battuta non piacque alla commissione che chiese l’eliminazione. L’episodio è singolare, ma assolutamente non inusuale, tenuto conto che Visconti era preso di mira non poco dalla censura.

La documentazione  più preziosa in tal senso è uno scambio di lettere, nel 1951, fra Visconti e De Pirro. Visconti scrisse al funzionario De Pirro una lettera abbastanza infuocata per protestare contro l'assurdità del taglio e soprattutto per chiedere di evitare questa misura, perché un taglio avrebbe portato via troppo tempo (per sincronizzare nuovamente il film)  pregiudicando l'uscita in sala prevista di lì a qualche giorno. De Pirro a sua volta scrisse ad Andreotti, allora sottosegretario allo spettacolo, spezzando una lancia in favore del regista (una lancia assai debole...) ma a questa lettera non ricevette risposta, venne semplicemente letta e siglata, restituita a fine gennaio del '52.

Nel fascicolo allegato al visto di censura n. 11073, assieme alla lettera autografa di De Pirro, c'è un'annotazione nella quale si dice che la "battuta incriminata" è stata sostituita e dunque si può procedere alla proiezione per tutti, ma questa annotazione non è datata, dunque non è possibile sapere di quanto la modifica sia successiva allo scambio di lettere. La battuta fu modificata in «Guarda qui che grazia di Dio…». In ogni caso, sempre nel fascicolo sono presenti delle annotazioni per il rilascio del materiale pubblicitario che sono relative alle date tra il 18 e il 20 dicembre, quindi la battuta fu cambiata in tempo per l’uscita prevista del film[72].

In conclusione, sicuramente Bellissima è un film anche sulla condizione femminile nelle varie sfaccettature sociali e familiari, un documento prezioso, insieme a tutti gli altri documenti, di diverse tipologie, correlati al film finito, sulle aspirazioni e le cocenti delusioni delle persone povere e disagiate nell’Italia del secondo dopoguerra. Un “complesso filmico” che riesce a restituirci un ritratto interessante dello spirito “complicato” ed errante delle donne del tempo, secondo il punto di vista e lo sguardo di un regista quale Luchino Visconti e uno sceneggiatore quale Cesare Zavattini, donne che erano incantate dalla macchina dei sogni perché vi vedevano lo strumento per soddisfare i loro desideri inappagati. Molte di loro, come Maddalena, per affermare la propria individualità ricorrevano ad astuzie e a piccole civetterie per difendersi da un mondo dominato dai maschi.

Maddalena è senz’altro interprete di quel cambiamento antropologico che caratterizza la realtà degli anni Cinquanta scardinando  tradizioni e costumi secolari[73].                                      

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Sitografia 

Website  di Luchino Visconti interamente dedicato alla sua opera.

<www.luchinovisconti.net/visconti_sc_film/bellisima.htm> u.c. dicembre 2013 

Sito dell’Associazione culturale “Luchino Visconti”

<www.luchinovisconti.org>u.c. dicembre 2013 

Sul sito dell'Istituto Gramsci di Roma storia della documentazione di Visconti:

<http://www.fondazionegramsci.org/3_archivi/archivi_lv.htm> u.c. dicembre 2013 

Sul portale GEA (Archivi del Novecento, la memoria in rete) l’inventario delle unità archivistiche relative a Visconti:

http://91.212.219.215/archividelnovecento/fond_gramsci_roma.htm u.c. dicembre 2013 

Sul sito dedicato ad Anna Magnani recensione del film di Elisa Pratolongo:

<http://www.annamagnanisito.com/bellissima-1951.html > u.c. dicembre 2013 

Serena Cara, La Roma di Luchino Visconti  articolo del maggio 2010:

http://www.ezrome.it/qui-si-fa-il-cinema/la-roma-di-luchino-visconti-bellissima-1710.html u.c. dicembre 2013 

Banca dati della revisione cinematografica:

<www.italiataglia.it> u.c. dicembre 2013 

Fondo Taddei

<http://www.cinetecadibologna.it/biblioteca/patrimonioarchivistico/taddei> u.c. dicembre 2013 

Su Cesare Zavattini:

www.cesarezavattini.it. u.c. dicembre 2013                                                    

 



[1] Luchino Visconti di Modrone  conte di Lonate Pozzolo (Milano, 2 novembre 1906-Roma 17 marzo 1976) è stato un regista e sceneggiatore italiano. Per la sua biografia e attività di regista cinematografico e teatrale si rimanda a A. BENCIVENNI, Luchino Visconti, Editrice Il Castoro, Milano, 1994.

[2] Cfr. L. VISCONTI, «Il cinema antropomorfico», in Cinema n 173-174, sett-ottobre 1943, pp.8-9.

[3] Nel 1990, grazie a una convenzione tra la Regione Emilia-Romagna, gli eredi dello sceneggiatore e il Comune di Reggio Emilia, la Biblioteca Panizzi ha potuto  acquisire l’Archivio Cesare Zavattini. Cesare Zavattini non fu solo sceneggiatore, ma anche scrittore, giornalista, pittore e la sua straordinaria vena creativa si riflette nell’archivio che conserva svariata documentazione quale per esempio soggetti, sceneggiature, lettere, diari, poesie e molti altri materiali. Tutti i materiali appartenenti agli epistolari e i soggetti cinematografici sono stati inventariati e collocati in una sala della torre libraria, intitolata allo scrittore. Ma data la rilevanza del materiale zavattiniano, gran parte della documentazione archivistica è stata invece collocata in un ampio spazio nel seminterrato adiacente la sala telematica, più facilmente accessibile alla consultazione. L’archivio è costituito da un fondo principale composto da numerose serie archivistiche, strutturate per argomenti: le serie “Cinema”, “Le lettere e i carteggi”, “Letteratura”, “Poesia e teatro”, “Giornalismo e Pubblicistica”, “Pittura”, “Cultura e società”, “Cooperazione culturale”, “Zavattini all’estero”, “Fumetti”, “Fotografia” e “Radio e Televisione”. All’interno di questo nucleo centrale per la loro vastità si segnalano i tre fondi speciali (o sub-fondi) monotematici: l’Epistolario, la Raccolta dei lavori cinematografici e la cosiddetta Raccolta degli “Echi della stampa”, un insieme di articoli di giornali e riviste di e su “Za” dagli anni Trenta ad oggi. L’archivio oltre che cartaceo è multimediale grazie alla  corposa sezione di documenti “audio e video” riconducibile all’opera zavattiniana. Fa idealmente parte dell’Archivio anche una collezione di dipinti collocata presso i locali Musei civici, che illustra  il percorso pittorico di Zavattini. L’Archivio si consulta previa prenotazione. Per informazioni sull’archivio e sull’enorme lascito culturale di Cesare Zavattini cfr. sito Biblioteca Panizzi  <www.panizzi.comune/re.it >, u.c. dicembre 2013. 

[4]  L’archivio di Luchino Visconti fu donato alla Fondazione Istituto Gramsci di Roma su suggerimento di Suso Cecchi d’Amico e Antonello Trombadori, in ragione principalmente dell’amicizia che aveva legato il regista all’allora direttore della Fondazione Franco Ferri fino dai tempi della comune militanza antifascista. Giunto materialmente in Istituto nel 1987, nel 1988 l’archivio fu corredato da un “Elenco di documentazione” a cura di Caterina d’Amico e Bruna Conti e, nel maggio dello stesso anno, dichiarato “di notevole interesse storico” dalla Soprintendenza ai Beni Archivistici del Lazio. La donazione venne formalizzata soltanto il 16 marzo del 1989, in calce all’atto notarile le firme di Ferri e di Uberta Visconti di Modrone, sorella minore del regista. L’archivio depositato presso il Gramsci non esaurisce il patrimonio documentale appartenuto a Visconti, ma raccoglie parte dei documenti che erano conservati  nella casa di via Salaria, nella quale Visconti non volle più abitare dopo la malattia. Trasferiti per sua volontà nella casa in costruzione di Castelgandolfo, dopo la sua morte furono raccolti da Uberta Visconti con l’aiuto di Caterina d’Amico che si interessò anche di dar loro un’organizzazione intelligibile. Per questo motivo, al momento di riordinare i materiali, non fu possibile definire un criterio riconducibile con certezza al loro proprietario. I molti furti che interessarono i documenti tra il 1972 e il 1976 rendono inoltre oggi assai difficile farsi un’idea della consistenza originale dell’archivio che, tuttavia, già al momento della donazione aveva dimensioni ragguardevoli. Ulteriori incrementi fatti dai familiari, oltre che da collaboratori e studiosi del regista, hanno accresciuto nel corso degli anni il già cospicuo corpus iniziale. Oggi il Fondo Archivistico Luchino Visconti conta circa 10.000 documenti cartacei originali, 5.000 lettere ricevute dal regista, 180 tra copioni, soggetti, scalette, sceneggiature, che si sommano ai contratti e al materiale amministrativo, calendari di lavorazione, dialoghi, appunti vari. 12.000 sono le immagini, per la gran parte fotografie di sopralluoghi, set, allestimenti, prove e spettacoli, alle quali si aggiungono figurini, bozzetti, schizzi dei movimenti di scena, acquarelli, tempere, disegni. Oltre ai materiali di competenza archivistica, il lascito originale comprendeva una parte della biblioteca appartenuta a Visconti, 1.044 volumi di argomento letterario, cinematografico e teatrale e 128 riviste, oggi raccolti in fondo bibliotecario. La presenza di questa sezione ha inoltre dato impulso alla creazione di una raccolta dedicata a studi viscontiani, che conta allo stato attuale circa 200 titoli a  disposizione degli utenti della biblioteca. Nell’insieme il Fondo Visconti appare quantomeno singolare per la completezza dei materiali conservati e per la loro varietà tipologica; eccezion fatta per le rare tracce di tipo privato, documenta l’attività del regista nel teatro e nel cinema lungo tutto l’arco della sua carriera professionale, movendo dai primi tentativi e testimoniando anche di molti progetti non realizzati.  L’importanza della figura e dell’opera di Luchino Visconti hanno dato fin dall’inizio l’impostazione ad un progetto di ampio respiro che, contando sul supporto delle nuove tecnologie, è stato articolato in quattro fasi: la realizzazione di una banca dati del Fondo; l’acquisizione su disco ottico delle immagini (documenti e fotografie) e il loro collegamento alle schede descrittive; la redazione e l’informatizzazione di una guida archivistica del Fondo, la realizzazione di un portale interattivo che permettesse l’interrogazione a distanza della banca dati. L’ordinamento del Fondo ha dato luogo alla creazione di 14 serie archivistiche: “Corrispondenza”, “Teatro lirico”, “Balletto”, “Rivista”, “Teatro di prosa”, “Cinema”, “Manoscritti”, “Scritti di Luchino Visconti”, “Compagnie teatrali”, “Materiale iconografico vario”, “Materiale fotografico vario”, “Fascicoli raccolti e ordinati da Visconti”, “Rassegna stampa” e  “Carte aggregate”. (Descrizione del Fondo tratta integralmente dalla "Guida alla consultazione al Fondo Luchino Visconti" a cura di Caterina d’Amico de Carvalho e Alessandra Favino). L’archivio si consulta su prenotazione.

[5] In realtà l’Istituto Gramsci nel Fondo Luchino Visconti conserva altre serie archivistiche la cui consultazione sarebbe stata molto  utile ai fini del presente studio, in particolar modo la serie 1 “Corrispondenze” contenente accordi produttivi relativi al film Bellissima e la serie 13 “Fascicoli ordinati e raccolti da Luchino Visconti” che contiene nel fascicolo 9 lettere relative a Bellissima. Purtroppo non è stato possibile, all’epoca della presente ricerca (dicembre 2012), esplorare tali serie archivistiche, perché non accessibili, a causa dei lavori di trasferimento del magazzino della Fondazione  nella nuova sede romana in Trastevere.

[6] Cesare Zavattini (Luzzara, 20 settembre 1902- Roma, 13 ottobre 1989) è stato un narratore, sceneggiatore cinematografico italiano, nonché poeta e pittore. Per scoprire la biografia di questa personalità poliedrica si consiglia di visionare il sito Internet a lui dedicato http://www.cesarezavattini.it, u.c. dicembre 2013.

[7] Cfr. L. VISCONTI, Bellissima, sceneggiatura con introduzione di Cesare Zavattini, trascrizione di Enzo Ungari, Cappelli, Bologna, 1978, p.7.  Nella lettera a Renzo Renzi erroneamente Zavattini confonde l’anno 1958 col 1951.

[8] Ibidem.

[9] Il progetto sarà realizzato da Carlo Lizzani, che nel 1954 dirigerà Cronache di poveri amanti tratto dall’omonimo romanzo di Vasco Pratolini.

[10] Il film fu poi realizzato dal maestro di Visconti, Jean Renoir, col titolo La carrozza d’oro (1952).

[11] M. GANDIN,« Storia di una crisi in “Bellissima” di Visconti», in Cinema, IV, 75, dicembre 1951, pp. 292-293. Il desiderio di Visconti di girare con la Magnani risaliva ai tempi di Ossessione, di cui la Magnani doveva essere l’interprete. Fu sostituita perché incinta da Clara Calamai.

[12] Cfr. Soggetto conservato presso Biblioteca Panizzi, Archivio Cesare Zavattini, Serie Cinema, segnatura Za Sog R10/2, del soggetto esistono due versioni: versione A, 10cc. e versione B, 10cc..

[13] Soggetto conservato presso la Biblioteca Panizzi, Archivio Cesare Zavattini, Serie Cinema, segnatura Za Sog R 10/2, del soggetto esistono due versioni: versione C, 10cc., versione D, 13cc..

[14] Cfr. Soggetto conservato presso Biblioteca Panizzi, Archivio Cesare Zavattini, Serie Cinema, segnatura Za Sog R 10/2, 2cc.

[15] Cfr. Soggetto conservato presso Biblioteca Panizzi, Archivio Cesare Zavattini, Serie Cinema, segnatura Za Sog R 10/2, 3cc.

[16] Cfr. Soggetto conservato presso Biblioteca Panizzi Archivio Cesare Zavattini, Serie Cinema, 10cc., segnatura Za Sog 10/2, e Soggetto, 15 cc., conservato presso l’Istituto Gramsci di Roma, Fondo Visconti, Serie Cinema, fascicolo Bellissima, segnatura C20-1.

[17] M. GANDIN, «Storia di una crisi in “Bellissima” di Visconti», in Cinema, IV, 75, dicembre 1951, pp. 292-295.

[18] Francesco Rosi (Napoli, 15 novembre 1922) è un regista e sceneggiatore italiano. Per la biografia si rinvia a <http://it.wikipedia.org/wiki/Francesco_Rosi>, u.c. dicembre 2013.

[19] Suso Cecchi D’Amico, pseudonimo di Giovanna Cecchi (Roma, 21 luglio 1914- Roma 31 luglio 2010) è stata una sceneggiatrice cinematografica italiana che ha lasciato una forte impronta nel cinema italiano del dopoguerra collaborando a stretto contatto con Visconti. Per una sua biografia si veda Suso Cecchi D'Amico, Storie di cinema (e d'altro) raccontate a Margherita D'Amico, Milano, Garzanti, 1996.

[20] L. DE GIUSTI, I film di Luchino Visconti, Roma,Gremese Editore,1985,p.55.

[21] Istituto Gramsci, Fondo Luchino Visconti, Serie Cinema, fascicolo Bellissima, sceneggiatura C20-13.

[22] Sceneggiatura, cit., c.143.

[23] Istituto Gramsci, Fondo Luchino Visconti, Serie Cinema, fascicolo Bellissima, sceneggiatura C20-17, c. 167.

[24] Istituto Gramsci, Fondo Luchino Visconti, Serie Cinema, fascicolo Bellissima, sceneggiatura C20-19, c.32.

[25] Istituto Gramsci, Fondo Luchino Visconti, Serie Cinema, fascicolo Bellissima, sceneggiatura  C20-20, c.146.

[26]  Ibid., c.147.

[27] Questa sequenza è presente anche nel trattamento del film, conservato presso la Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia, Archivio Cesare Zavattini, Serie Cinema, segnatura Za sog R10/2.

[28] Istituto Gramsci, Fondo Luchino Visconti, Serie Cinema, fascicolo Bellissima, sceneggiatura  C20-22, c.101.

[29] Istituto Gramsci, Fondo Luchino Visconti, Serie Cinema, fascicolo Bellissima, sceneggiatura  C20-23 c.31.

[30] Anche nel Trattamento, segnatura Za SOG R10/2, sono presenti note manoscritte, in un colloquio telefonico Arturo Zavattini ha escluso che siano di suo padre, essendo la calligrafia maschile forse si può ipotizzare che siano di Francesco Rosi che insieme alla Cecchi d’Amico collaborò con Zavattini.

[31] Cfr. Scaletta, 10cc., Archivio Cesare Zavattini, Serie Cinema, segnatura Za Sog R 10/2, con note manoscritte conservata presso la Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia. Fra le altre quattro scalette conservate presso l’Istituto Gramsci a Roma, segnalo quella  scritta a mano da Franco Zeffirelli: Fondo Luchino Visconti, Serie Cinema, fascicolo Bellissima, segnatura C20-5.

[32] Cfr. L. VISCONTI, Bellissima, trascrizione a cura di Enzo Ungari, op. cit.

[33] M. GANDIN,« Storia di una crisi in “Bellissima” di Luchino Visconti», in Cinema, nuova serie, IV, 75, dic. 1951, p. 293.

[34] R. RENZI, Visconti segreto, Laterza, Roma, 1994,p.75.

[35] Cfr. Intervista a cura di Jacques Doniol- Valcroze e Jean Domarchi, in Cahiers du cinéma, Parigi, n. 93, marzo 1959, p. 6.

[36] Anna Magnani (Roma, 7 marzo 1908- Roma, 26 settembre 1973) è stata un’attrice cinematografica e teatrale italiana. Per la biografia e filmografia dell’attrice si rinvia al sito Internet a lei dedicato: <www.annamagnani.sito.org >, u.c. dicembre 2013.

[37] Cfr. G. ARISTARCO, «Bellissima», in Cinema, V, n. 78, gennaio 1952, p. 8.

[38] G. RONDOLINO, Visconti, Torino, Utet, 1981, p. 279.

[39] M. GANDIN,  «Storia di una crisi in “Bellissima” di Luchino Visconti», in Cinema, nuova serie, IV, 75, dic. 1951, p. 293.

[40] Cfr. G. SERVADIO,  Luchino Visconti, Milano, Mondadori, 1980, p. 223.

[41]M. GANDIN, «Storia di una crisi in “Bellissima” di Luchino Visconti», in Cinema, nuova serie, IV, 75, dic. 1951, p. 295.

[42] Cfr. L. VISCONTI, «Il cinema antropomorfico», in Cinema n 173-174, settembre-ottobre 1943, pp. 8-9.

[43] Gli altri episodi del film furono filmati da Alfredo Guarini, Armando Francioli, Roberto Rossellini e Luigi Zampa e si incentrarono sul contrasto fra la donna e l’attrice.

[44] M. GANDIN, «Storia di una crisi in “Bellissima” di  Luchino Visconti», in Cinema, nuova serie, IV, 75, dic. 1951, p. 293.

[45] L. MICCICHÉ, Visconti e il neorealismo. Ossessione, La terra trema, Bellissima, Venezia, Marsilio,1998, p. 201.

[46] F. DI GIAMMATTEO, «Bellissima»,  in Rassegna del film, I, 2, marzo1952, p. 119.

[47] E. BRUNO,  «“Bellissima” di Luchino Visconti», in Filmcritica, n 11, gennaio 1952, pp. 30-31.

[48] Cfr. L. VISCONTI, «Cadaveri», Cinema, vecchia serie, VI, n 119, 10 giugno 1941, p. 336.

[49] Cfr. G. SIBILLA,  «Tre registri di fronte al cinema», in Cinema, VII, 128, febb. 1954, p. 103.

[50] Cfr. L. VISCONTI, Bellissima, trascrizione a cura di Enzo Ungari, op. cit. Le successive citazioni dei dialoghi sono tratte dalla medesima trascrizione della sceneggiatura pubblicata. 

[51] Cfr.  P. BALDELLI, Luchino Visconti, Milano, Mazzotta, 1973, p.119.

[52] Cfr. G. CINTIOLI, «Visconti e altre ragioni», in Rivista del cinema italiano, II, n 1-2, gennaio- febbraio 1953, p. 49.

[53] Cfr. F. DE SANCTIS, «Alcuni significati di Bellissima» in L’opera di Luchino Visconti, atti del convegno di studi, Fiesole 27-29 giugno 1966, a cura di   M. SPERENZI, Firenze, 1969, p. 282.

[54] Ibid., pp. 279-280.

[55] Gran parte delle apparizioni del regista Blasetti sono ironicamente accompagnate dal tema del ciarlatano dell’Elisir d’amore di Donizetti.

[56] L. DE GIUSTI, I film di Luchino Visconti, Roma, Gremese Editore,  1985,p. 53.

[57] Per la lista delle sequenze cfr. L. MICCICHÈ, Visconti e il neorealismo,Venezia, Marsilio Editore, 1990.

[58] Cfr. V. ZAGARRIO, «La recita del Neorealismo» in Il Cinema di Luchino Visconti, a cura di V. PRAVADELLI, Venezia, Marsilio, Biblioteca di Bianco e Nero, 2000, pp. 92-94.

[59] F. M. DE SANCTIS, «Alcuni significati di Bellissima»in L’opera di Luchino Visconti: atti del convegno di studi Fiesole, 27-29 giugno 1966, a cura di M. SPERENZI,  Firenze, 1969, p. 287.

[60] A. BENCIVENNI,  Luchino Visconti, Milano, Editrice Il Castoro, 1994, p. 29.

[61] V. ZAGARRIO,  «La recita del Neorealismo» in Il Cinema di Luchino Visconti, a cura di V. PRAVADELLI, Venezia, Marsilio, Biblioteca di Bianco e Nero, 2000, p. 89.

[62] Cfr. G. SCALIA, «Un vero umanesimo cinematografico», in Il Mulino, n 7, novembre 1951, pp. 344-349.

[63] Cfr. C. ALVARO, «Ritratto di donna», Il Mondo, Roma, IV, n2,  12 gennaio 1952, p. 11.

[64] Cfr. G. SANTARELLI, «Note sul regista di Bellissima», in Rivista del cinematografo, anno 1952, p. 27.

[65] Cfr. L. CHIARINI, «Soggetti buoni e cattivi», in Cinema, V, 78, gennaio 1952, pp. 8-9.

[66] Cfr. R. RENZI, «Una tendenza sedentaria contro gli impegni del neorealismo», in Cinema Nuovo,I, 1, 15  dicembre 1952, p. 9.

[67] Cfr. F. VENTURINI, «Una deviazione del cinema italiano: il bozzettismo», in Bianco e Nero, XV, 6, giugno 1954, pp.39-44 e C. VARESE,« Questa la donna italiana del cinema del dopoguerra», in Cinema Nuovo, III, 30, marzo 1954, pp.107-109.

A  causa del dialetto romanesco la prima di Bellissima a Milano riscosse scarso successo di pubblico e fu accolta da un marea di fischi all’atto della sua presentazione. Il film incassò centosessanta milioni di lire e nelle classifiche dell’ANICA si piazzò al cinquantanovesimo posto.

[68] Cfr. D. PERSIANI,« Cinematografo Italiano», in  Lo spettatore italiano, V, 3, marzo 1952, p.143. Sempre sulle pagine de Lo spettatore italiano, Pio Baldelli rispondeva alle pesanti accuse di Persiani nell’intervento «Più fantasia, cioè più realtà» rimarcando come il neorealismo rappresentasse ancora il solo mezzo espressivo artisticamente valido.

[69] Cfr. A. MORAVIA, «Commuoverà le donne italiane Anna Magnani, la madre delusa di Cinecittà?»in L’europeo, n 2, 1952.

[70] Cfr. T. CHIARETTI, «Bellissima di Visconti»,  in l’Unità, 5 gennaio 1952, p. 3.

[71] Cfr. Fondo Taddei, conservato presso la Cineteca di Bologna. Il Fondo di Padre Nazareno Taddei  è una delle collezioni di documentazione cinematografica più ricche in Italia. Padre Nazareno Taddei ( Bardi 1920- Sarzana 2006) nel corso della sua attività di studioso e regista ha  raccolto un giacimento di informazioni su carta stampata  sulla storia del cinema e dello spettacolo dagli anni Trenta agli anni Settanta. Il Fondo è composto da uno schedario di circa quarantamila voci. Sull’Archivio di Padre Nazareno Taddei  cfr.: <http://www.cinetecadibologna.it/biblioteca/patrimonioarchivistico/taddei>, u.c. dicembre 2013.

[72] Cfr. Italia Taglia, progetto di ricerca sulla censura cinematografica in Italia, promosso da MiBAC (DGC) e Fondazione Cineteca di Bologna, www.italiataglia.it, u.c. dicembre 2013.

[73]A distanza di sessant’anni Bellissima è forse un importante documento anche per analizzare il presente, in particolar modo facendo un parallelo con l’attuale fabbrica dei sogni rappresentata dai  reality show. Ancora oggi sono molte le madri che spingono i bambini ad entrare nel circuito della moda e dello spettacolo sottoponendoli a casting e a book fotografici. I figli continuano ad essere un potente catalizzatore di sogni e, per alcuni genitori, una rivalsa per quei successi che in fondo avrebbero desiderato per se stessi.

 

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