Giovedì, 09 Gennaio 2014

L’Archivio Storico Diocesano di Alghero: storia, sede e complessi documentari

Alessandra Derriu
Sezione Studi

 

1. La diocesi di Alghero

La villa di Alghero, pievania[1] dell’archidiocesi di Sassari, fu elevata a sede vescovile da Giulio II (1503-1513), che, nel 1503, con la bolla Aequum reputamus[2]  decretava il riassetto territoriale delle diocesi della Sardegna, da tempo auspicato e sollecitato dai reali di Spagna. Ferdinando II, che regnò dal 1479 al 1516 sulla regno di Sardegna, conferiva in quegli stessi anni ad Alghero il titolo di città regia, a conferma che la decisione papale faceva parte di un articolato e più ampio disegno politico. Il provvedimento, predisposto e formalmente concluso dal predecessore di Giulio II, Alessandro VI, (1492-1503), ma vanificato dalla sua morte, disponeva la riduzione delle diocesi sarde da sedici a nove, e la creazione della diocesi di Alghero. Si trattava di unanuova diocesi di fatto, anche se formalmente era il risultato della traslazione ad Alghero della sede della diocesi di Ottana, alla quale venivano unite le diocesi di Castro e Bisarcio, che da quel momento risultavano soppresse come sedi vescovili autonome[3].

La diocesi era geograficamente molto vasta: si estendeva dalla costa occidentale dell’isola al centro della Sardegna e i suoi confini si spingevano fino a comprendere i territori di Ardara, Monti, Macomer, Borore, Orune, Nuoro, Sarule, per un totale di quarantacinque parrocchie e una popolazione di almeno trentamila anime a fronte di centosessantamila stimate in tutta la Sardegna. Fino al XVIII secolo la diocesi ebbe quindi una grande estensione territoriale che poi nei secoli successivi venne pian piano ridotta.

Nel 1779 fu costituita la diocesi di Nuoro che inglobò buona parte delle parrocchie appartenenti all’antica diocesi di Ottana. Nel 1803 fu costituita la diocesi di Ozieri con quasi tutto il territorio delle due diocesi soppresse di Castro e Bisarcio. Nel 1804 poi, furono accorpate ad Alghero le parrocchie di Mara, Monteleone, Padria, Pozzomaggiore, Romana e Villanova Monteleone, appartenenti alla diocesi di Bosa. Nel 1939 anche le parrocchie di Orotelli, Ottana, Orani, Sarule e Oniferi passarono alla diocesi di Nuoro. Nel 1972 la Santa Sede decise l’unione personale della diocesi di Alghero e di Bosa, affidandole entrambe all’allora vescovo di Bosa Francesco Spanedda (1956-1979)[4]. Nel 1986, durante l’episcopato di Giovanni Pes (1979-1993)[5], la Santa Sede decretò la piena unione delle due diocesi nella nuova diocesi di Alghero-Bosa, con sede ad Alghero, con cattedrale Santa Maria, mentre la cattedrale di Bosa assunse il titolo di concattedrale[6].

  

2. La sede

L’Archivio storico diocesano di Alghero occupa i locali al pian terreno del palau del bisbe (palazzo vescovile). Originariamente casa privata, il palazzo fu acquistato alla fine del XVI secolo dal vescovo Andrea Baccallar (1578-1604)[7] che lo sistemò trasformandolo in sede vescovile. Riguardo questo palazzo, sono scarse le informazioni per il XVII secolo, mentre si ha notizia di restauri e ristrutturazioni effettuati dal vescovo Gioachino Domenico Radicati (1772-1793)[8] alla fine del XVIII secolo. Nella seconda metà del XIX secolo il vescovo Pietro Raffaele Arduino (1843-1863)[9] lo ingrandì e ne modificò la facciata in stile neoclassico. Il palazzo venne danneggiato nella seconda guerra mondiale durante il bombardamento che colpì la città nel maggio del 1943[10].

L’Archivio della diocesi di Alghero è a tutti gli effetti un archivio post-tridentino: l’impulso di rinnovamento dato alla chiesa dal concilio si riflette anche attraverso alcuni decreti sulla conservazione degli archivi[11]. Il sinodo diocesano celebrato dal vescovo Frago, (1566-1572)[12], nella chiesa cattedrale, entro gli anni 1567-1570, è uno dei primi documenti che testimonia l’istituzione di fatto dell’Archivio diocesano di Alghero[13]. Il vescovo, nell’undicesima costituzione, denunciava che vi era stato un danno inestimabile, che non era mai stato rimediato, e per il quale nella cattedrale e nella diocesi erano state persi molti scritti e strumenti pubblici, o per furto commesso da persone che non volevano pagare quanto spettava alla chiesa, o per negligenza di chi avrebbe dovuto conservarli; questo aveva causato un grave diminuzione dei beni che alla chiesa servivano per il sostentamento dei propri ministri. Per evitare quindi future dispersioni mons. Frago disponeva che la documentazione fosse riposta in un Archivio, o luogo sicuro, da individuarsi nella sacrestia della cattedrale dove dovevano confluire sia i documenti della curia vescovile che quelli del capitolo cattedrale[14]. Dalla sua creazione era dotato di tre chiavi tenute una dal vescovo, l'altra dal capitolo, la terza dai curati con divieto d'accesso per qualunque altra persona[15].

Il Fondo della curia venne quindi istituito assieme a quello del capitolo. Successivamente il Fondo della curia e il Fondo del tribunale ecclesiastico, vennero trasferiti nell’episcopio negli stessi locali che ora ospitano la sede dell’Archivio diocesano di Alghero[16]. Dagli anni ’70 del secolo scorso gli stessi ambienti hanno custodito anche il Fondo del capitolo cattedrale, accogliendo, negli anni, altri fondi minori.

I locali dell’Archivio sono stati oggetto di un impegnativo progetto di restauro e riqualificazione, dal 1995 al 2002, anno nel quale sono state inaugurate le nuove sale[17].

Nel 1995 il vescovo monsignor Antonio Vacca, (1993-2006)[18], per garantire una migliore conservazione e un'adeguata fruizione della documentazione, decise di destinare a sede definitiva dell’Archivio, dopo un radicale restauro e un’adeguata ristrutturazione, gli ambienti già utilizzati e altri locali. Il progetto della nuova sede, seguito e realizzato dall’allora direttore dell’Ufficio diocesano dei beni culturali e direttore dell'Archivio Storico Diocesano, don Antonio Nughes, beneficiò dei finanziamenti della Regione Sardegna, della Conferenza episcopale italiana e del Comune di Alghero.

Durante i lavori di restauro, a destra dell'entrata è stata recuperata ed evidenziata una cisterna di m. 7 di profondità e m. 5,5 di larghezza, dove per secoli si è raccolta l'acqua piovana, e che ora, illuminata, si può ammirare attraverso un vetro. La cisterna è riconducibile alla fine del XV secolo quando nell’area dove adesso si trovano i locali dell’Archivio vi era una casa privata e un cortile; a testimonianza di ciò durante gli stessi lavori sono emersi i segni delle finestre dei palazzi che davano sul patio che ospitava la cisterna.

Fondamentali furono l’intervento attuato per normalizzare la presenza di umidità nei locali quali iniezioni di materiali deumidificanti per il risanamento delle strutture murarie in arenaria e creazione di un nuovo sistema di aerazione sotto il pavimento. Successivamente gli ambienti vennero dotati di una nuova illuminazione, di porte blindate, della linea informatica e degli impianti di allarme e antincendio.

L’Archivio è stato poi arricchito con arredi in legno di castagno che riportano i pali della Corona d’Aragona, gli stessi che figurano anche nel gonfalone della città. L’illuminazione delle sale è stata realizzata utilizzando, per la schermatura delle luci, plafoniere a forma di tegola in massacà, la pietra tipica del territorio algherese usato come materiale da costruzione, impiegato, in passato, in buona parte del centro storico[19].

L'ingresso, con la sua grande vetrata su struttura di rovere, si presenta imponente e di grande eleganza grazie anche alle pitture realizzate in piombo su vetro che rappresentano lo stemma della città, la bandiera catalana, lo stemma di Giovanni Paolo II (1978-2005) e quello di Antonio Vacca (1993-2006)[20], rispettivamente sommo pontefice e vescovo diocesano al momento dell’inaugurazione dell’Archivio. Completano l’arredo pittorico un’immagine del campanile con la strada dove si trova l'Archivio e la riproduzione di un affresco ottocentesco della volta della sala di rappresentanza dell’episcopio, distrutto durante la seconda guerra mondiale, che documentava l'antica facciata della cattedrale prima della costruzione, a metà '800, dell’attuale pronao[21].

La prima sala, intitolata al canonico archivista Antonio Michele Urgias, (1771-1826), studioso della storia algherese[22], è destinata agli utenti. Ospita la biblioteca moderna di complemento alla ricerca d'archivio, due lettori di microfilm e le postazioni informatiche per la consultazione dell’Archivio digitale[23].

La seconda sala, è predisposta per ospitare archivisti e tirocinanti nonché per alloggiare, in parte la documentazione archivistica, in parte quella bibliografica e di corredo. Essa è dedicata ad Andrea Baccallar, (1578-1604), il vescovo che ha lasciato la documentazione più abbondante e più curata[24]. Questa sala di recente è stata collegata ad una sala adiacente, facente sempre parte del palazzo vescovile, che ospita l’Archivio di deposito e l’antica biblioteca del seminario tridentino di Alghero.

La terza sala, che ha la funzione di deposito dei documenti è dedicata a Pietro Frago, (1566-1572)[25], il vescovo al quale si deve l'istituzione dell'Archivio nel 1570. 

 

3. Il patrimonio documentario

L’Archivio storico diocesano riunisce diversi fondi: il Fondo della curia vescovile (XVI-XX sec.), il Fondo del tribunale ecclesiastico (XVI-XX sec.) e il Fondo del capitolo della cattedrale (XV-XX sec.)[26]. A questi si aggiungono altri fondi minori, come quello della confraternita del Rosario (XVII-XX sec.), e fondi di archivi privati, come quello della famiglia Adami (XIX-XX sec.)[27].

Abbiamo visto nel paragrafo precedente come mons. Frago aveva individuato la sede dell’Archivio nella sacrestia della cattedrale, nello stesso momento, inoltre, aveva indicato quali dovessero essere i documenti da conservare all’interno dell’Archivio, oltre agli atti pubblici e alle scritture inerenti all’amministrazione e le rendite delle mense episcopali e capitolari, un memoriale dei benefici, i documenti con pene e censure ecclesiastiche, e in generale tutte le scritture riguardanti la chiesa cattedrale e la mensa episcopale per beni mobili e immobili. Il vescovo aveva così tracciato la corretta sedimentazione dei documenti e individuato i Fondi e le serie principali. La produzione della documentazione ebbe inizio nel secolo XVI quando venne creata la diocesi e gli uffici cominciarono a funzionare, a produrre e a ricevere documenti.

Le lingue utilizzate nei secoli furono il latino, il catalano, il castigliano, il sardo e l'italiano: il latino è la lingua più diffusa indistintamente impiegata per i documenti presenti dal XVI al XX secolo, negli atti pubblici e in quelli privati; l’uso del catalano è da ricondurre alla dominazione catalano-aragonese che lo introdusse in Sardegna dal XIV secolo, affiancato, e poi solo in parte sostituito, almeno per il caso di Alghero, dal castigliano a partire dal XVI ma soprattutto dal XVII secolo; l’italiano è stato introdotto tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo a seguito della dominazione sabauda e permane poi con l’unità d’Italia. Sono presenti, sebbene in numero inferiore, documenti in sardo di provenienza delle aree interne della diocesi.

Nei cinque secoli seguenti alla sua istituzione il Fondo della curia si è arricchito della documentazione che reca testimonianza della vita religiosa e sociale della diocesi che, nata per motivazioni soprattutto di natura politica, aveva come riferimento territoriale una vasta porzione del centro della Sardegna, precisamente buona parte del Logudoro, del Marghine e della Barbagia[28].

Le serie del Fondo sono state prodotte principalmente durante l'attività svolta dal nuovo soggetto produttore, la diocesi di Alghero appunto, nell'espletamento delle proprie funzioni.

Il Fondo della curia, trasferito successivamente dalla cattedrale nel palazzo vescovile appare assai depauperato per le devastazioni subite dall’episcopio durante il bombardamento del 1943. Resta ugualmente una copiosa documentazione di cui ci limitiamo a menzionare le serie più antiche ossia: i registri dei vescovi (1528-1928), le visite pastorali (1539-1953), gli atti di costituzione di patrimoni sacerdotali (1527-1882); e ancora le serie relative all'amministrazione della curia vescovile e della mensa episcopale (1593-1966), all’amministrazione delle parrocchie e alla corrispondenza con le stesse (1564-1984). Infine è da segnalare la serie dei Quinque Libri della città di Alghero, battesimi (1546-1958); cresime (1600-1964); matrimoni (1574-1960); defunti (1677-1952). Recentemente sono state acquisite le digitalizzazioni, approntate dalla Regione Sardegna, dei Quinque Libri di tutte le parrocchie della diocesi di Alghero e di quella di Bosa. Gli stati delle anime mancano completamente per Alghero e per quasi tutte le parrocchie della diocesi, fanno eccezione Birori, Bosa, Dualchi, Lei, Montresta, Sedilo e Suni.

Tra la produzione documentaria dei vescovi che si sono succeduti nel secoli al governo della diocesi, merita una menzione particolare quella prodotta da Andrea Baccallar (1584-1595), che ha costituito le prime serie del fondo e ha dato una chiara impostazione alla sedimentazione degli atti, dei provvedimenti, delle ordinazioni sacerdotali e delle visite pastorali. Non solo, il vescovo, uomo di grande cultura e fine letterato, curò i registri prodotti anche esteticamente caratterizzandoli tutti con frontespizi riccamente miniati ed ornati che riportano le sue insegne vescovili.

Il Fondo del tribunale ecclesiastico, ancora da ordinare ed inventariare, conserva le cause criminali (1602-1860), le cause civili (1605-1933) e quelle matrimoniali (1625-1767). Le cause sono inerenti non solo alla città di Alghero ma all’intera diocesi che si estendeva fino all’interno della Sardegna, inglobando numerosi paesi e villaggi molto distanti dalla sede vescovile, un tesoro di notizie fondamentali per gli studi giuridici, antropologici, sociali ma anche toponomastici e genealogici, e che ci restituiscono la vita quotidiana di tante piccole e grandi comunità.

Il Fondo del capitolo, che nel 1651 subì un rovinoso incendio, comprende quanto resta della documentazione prodotta dal capitolo, la cui attività trova riscontro nei registri delle Juntas Capitulares, compilati a partire dal 1605, nei numerosissimi volumi degli Auctos (1475-1970),raccolte di atti notarili di varia natura, tra cui testamenti, inventari di beni, capitoli matrimoniali, censi; nel gran numero di fogli cartacei sciolti e nei registri di amministrazione, tra cui quelli relativi all’amministrazione del seminario tridentino (1601-1960). Di notevole interesse sono inoltre i volumi di Autos sueltos (1492-1701) e quelli di Noticias antiguas (1420-1879) nei quali venne raccolta tutta una serie di rari documenti antichi, in copia e in originale. Non va trascurata inoltre l’importanza della cosiddetta “Raccolta Urgias” (1541-1820), serie di volumi comprendenti documentazione abbondante e variegata, (spogli dei vescovi; carte reali;   brevi apostolici; editti e pregoni; lettere) ordinata e suddivisa per materie ai primi dell’800 dal canonico archivista Antonio Michele Urgias.

Fa parte del Fondo del capitolo il sub-fondo relativo all’amministrazione del Santuario di Nostra Signora di Valverde (1625-1959), luogo di culto di origine medievale che è diventato nei secoli simbolo della religiosità e della devozione della comunità algherese e dei paesi limitrofi.

La rilevanza del Fondo del capitolo, di indiscutibile interesse storico, deriva dal fatto che lo stesso è il prodotto, pressoché integro, dell’attività di una delle maggiori istituzioni ecclesiastiche diocesane a partire dal 1503, anno in cui l’antica sede vescovile di Ottana fu traslata ad Alghero. La sua produzione documentaria è più antica di quella della curia e questo è riconducibile al primo cinquantennio di vita della diocesi, caratterizzato spesso dalla non residenza dei presuli. Il fondo è contraddistinto, oltre che dall’antichità, dalla peculiarità dei suoi documenti, fonti primarie per gli studi religiosi, sociali e politici di Alghero: città così profondamente segnata dalla cultura e dalle tradizioni, anche religiose, catalane, da essere considerata ancor oggi come un’enclave catalana nel territorio sardo. Ad impreziosirlo ulteriormente, inoltre, l’esistenza degli atti di ben cinque sinodi, tra cui i tre quattrocenteschi, su sei che si sono salvati dalla dispersione in tutta l’Isola, celebrati nelle antiche diocesi di Castro (1420), Bisarcio (1437) e Ottana (1474), da segnalare per la loro unicità nel panorama delle fonti giuridiche ecclesiastiche sarde. Di notevole interesse anche il sinodo del vescovo Baccallar (1581), unico esemplare in Sardegna di costituzioni in lingua catalana.

Per tutti questi motivi, quindi, il Fondo si può considerare tra quelli più significativi della regione, la cui scarsità di fonti documentarie, per giunta così antiche, è purtroppo nota[29].

 

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[1] Il termine deriva da “pieve” ed indica le parrocchie rurali provviste di battistero, cfr. S. Romani, Enciclopedia del Cristianesimo, Roma 1947, p. 1088.

[2] Il testo al quale facciamo riferimento è una copia della bolla conservata nell’Archivio Storico Diocesano di Alghero, Fondo del Capitolo (d’ora in poi ASDA, FC), Notizie Antiche e Cronache, Noticias Antiguas, III, 1.1.3, doc. 4, cc. 108r-114v. La pergamena originale è scomparsa dall’Archivio. Nel XVI sec. una copia di essa era stata inserita nel Codice A dei privilegi dei re aragonesi alla città e regolarmente censita da A. Era in Le raccolte di carte, specialmente dei re aragonesi e spagnoli (1260-1715) esistenti nell’Archivio del Comune di Alghero, Sassari 1927, p. 160, ma disgraziatamente anch’essa è andata perduta. La copia del fondo capitolare è senza data. Fu tuttavia realizzata tra il 1528 e il 1534, dietro richiesta, come afferma lo stesso notaio, del vicario generale Antonio Ferret e per conto di mons. Domenico Pastorello, che fu appunto vescovo di Alghero in quegli anni. La bolla viene riportata per intero da M. A. Gazano, La storia della Sardegna, II, Cagliari 1777, pp. 155-160; P. Tola, Codex diplomaticus Sardiniae, II, Torino 1868, riedizione anastatica, Sassari 1984, pp. 167-170.

[3] P. Martini, Storia Ecclesiastica di Sardegna, II, Cagliari 1840, p. 220; III, Cagliari 1841, pp. 336, 353, 371; P. Tola, Codex Diplomaticus Sardiniae, II, Torino 1868, pp. 167-170; B. Gams, Series episcoporum, Ratisbona 1873, p. 836; A. Nughes, Alghero. Chiesa e società nel XVI secolo, Alghero 1990, pp. 27-39; D. Filia, La Sardegna cristiana, II, Sassari 1913, p. 218; F. Amadu, La diocesi medioevale di Bisarcio, Cagliari 1963, p. 145; O. Alberti, La Sardegna nella storia dei concili, Roma 1963, p. 97; A. Virdis, «Inedito sinodale algherese del 1567-1570» in Bollettino dell’Archivio Storico Sardo di Sassari, X, 1984, p. 191; R. Turtas, «Erezione, traslazione e unione di diocesi in Sardegna durante il regno di Ferdinando II d’Aragona (1479-1516)» in Vescovi e diocesi in Italia dal XIV alla metà del XVI secolo. Atti del VII convegno di Storia della Chiesa in Italia, Brescia, 21-25 settembre 1987, II, Roma 1990, pp. 717-727 («Italia Sacra». Studi e documenti di Storia ecclesiastica, 44). Sul periodo medievale, R. Turtas, Storia della chiesa in Sardegna dalle origini al Duemila, Roma 1999, p. 328, e pp. 289-329; Idem, «La Chiesa durante il periodo aragonese» in AA.VV., Storia dei Sardi e della Sardegna, II. Il Medioevo. Dai giudicati agli Aragonesi, Milano 1988, pp. 291-292; A. Derriu, «Cerimònia de assignació (1466-1469) Antiga rectoria de l’Alguer. Estudi» in L’Alguer, any XXIV, n. 136, maig-juny 2011, pp. 17-20.

[4] R. Turtas, Storia della chiesa in Sardegna, cit., p. 870.

[5] Ibidem, p. 874.

[6] A. Nughes, alle voci «Alghero» e «Alghero-Bosa», in Le diocesi d’Italia, diretto da L. Mezzadri, M. Tagliaferri, E. Guerriero, Milano 2008, pp. 52-54.

[7] R. Turtas, Storia della chiesa in Sardegna, cit., p. 872.

[8] Ibidem, p. 874.

[9] Ibidem.

[10] E. Valsecchi - L. Marinaro - L. Zicconi, La notte di San Pasquale, quei difficili anni ad Alghero tra storia e ricordi, Alghero 2003. Sulla storia di Alghero cfr.G. De Napoli, «Oristano e Alghero, città storiche della Sardegna» in Le cento città d’Italia illustrate, Milano 1901; M. Brigaglia, Profilo Storico della città di Alghero, Sassari 1963; E. Toda i Guell, L’Alguer, un popolo catalano d’Italia, a cura di R. Caria, Sassari 1981; I. Principe, Le città nella Storia d’Italia, Sassari-Alghero, Bari 1983; Idem, Sassari, Alghero, Castelsardo, Portotorres, Bari 1983; B. Sechi Copello, Storia di Alghero e del suo territorio, Alghero 1984; M. Brigaglia, Alghero la Catalogna come madre e mito, in I Catalani in Sardegna, a cura di J. Carbonell - F. Manconi, Cinisello Balsamo 1984, pp.171-182; I. Principe, «Alghero», in AA. VV., Italia meridionale ed insulare, Milano 1985; A. Budruni, Breve storia di Alghero, Alghero 1989;AA.VV, Alghero, la Catalogna, il Mediterraneo. Storia di una città e di una minoranza catalana in Italia (XIV-XX secolo), a cura di A. Mattone - P. Sanna, Sassari 1994; AA.VV., Alghero e il suo volto, Sassari 1997; L. Deriu, Alghero la città antica immagini e percorsi, Sassari 2000; A. Nughes, Alghero, Cagliari 2005.

[11] R. Porrà, «Gli archivi «non statali» di Alghero» in Alghero, la Catalogna, il Mediterraneo. Storia di una città e di una minoranza catalana in Italia (XIV-XX secolo), a cura di A. Mattone e P. Sanna, p. 261; A. Tilocca Segreti, «Fonti per la storia di Alghero negli archivi del nord Sardegna» in Alghero, la Catalogna, il Mediterraneo, cit., p. 271.

[12] R. Turtas, Storia della chiesa in Sardegna, cit., p. 872.

[13] A. Virdis, «Inedito sinodale algherese del 1567-1570», cit., pp. 192-325.

[14] Ibidem, p. 262. «El gran descuydo y daño inestimabile con poco remedio del mismo segun sospechamos que havemos hallado en esta nostra cathedral y obispado de muchas scripturas y instrumentos públicos, que o por haverlos tomado algunas personas fraudolentamente instigadas del (…) maligno por no pagar lo que deven a Dios, y a la iglesia, y a personas ecclesiasticas, o por descuydo y negligencia de los que los devian fidelissimamente conservar, se han perdido, a cuya causa los bienes de la iglesia y otros que nostro Señor y siervos suyos havian dado para buena sustentación de sus ministros, han venido en muy gran diminución y detrimento, y las almas con sus complices de los que malignamente han hurtado y supremido las dichas scripturas en grandissimo peligro de su condannacion y no sin gran culpa de los que siendo obligados a conservarlas las han dexado perdee. En remedio de tanto mal como este Santa Synodo aprobante proveemos y mandamos que dentro tres semanas se haga un Archio y se ponga en la sacristía de la iglesia catedral, o en lugar muy tuto y seguro, en que se puedan poner, y realmente se pongan todos los actos públicos y scripturas concernientes a las rentas y cosas de la mensa episcopal y de la mensa capitular».

[15] A. Virdis, «Inedito sinodale algherese del 1567-1570», cit., p. 263.

[16] S. Lippi, Inventario del Regio Archivio di Stato di Cagliari e notizie sulle carte conservate nei più notevoli archivi comunali, vescovili e capitolari della Sardegna, Cagliari 1902, p. 166.

[17] A. Nughes, «Inugurat l’Arxiu Diocesà» in L’Alguer, 80, 2002, pp. 3-6; Idem, «Riapertura dell’Archivio Storico Diocesano di Alghero, 18 gennaio 2002» in Biblioteca Francescana Sarda, X, 2002, pp. 491-495.

[18] R. Turtas, Storia della chiesa in Sardegna, cit., p. 874.

[19] V. Lombardo, «El massacà. La pedra de l’Alguer» in L’Alguer, n. 78, 2001, p. 9.

[20] Ibidem, p.874.

[21] A.C. Deliperi - B.S. Copello, La Cattedrale, Sassari 1976; A. Sari, «Presenze neoclassiche nel Duomo di Alghero» in Nuova Comunità, s. n.,1985, pp. 53-57; B. Corbia, «Come és nada la fatxada de Santa Maria. Il pronao neoclassico della Cattedrale» in L’Alguer, n. 17, 1991, pp. 7-9; A. Nughes, «Quart centenari de Santa Maria. La nova catedral inaugurada el 18 de setembre del 1593» in L’Alguer, n. 30, 1993, pp. 9-16; A. Sari, «La Cattedrale di Alghero, cronologia ragionata» in Nuova Comunità, s. n., 1995; E. Valsecchi, «Alghero, la Cattedrale e le altre chiese della città fortezza» in Nuova Comunità, Sassari 1997, pp. 5-32; A. Sari, «Il paliotto d’argento dell’altare maggiore e la sistemazione definitiva del presbiterio della cattedrale di Alghero nel XVIII secolo» in Sacer, 11, Sassari 2004, pp. 53-66; A. Nughes, La Cattedrale di Santa Maria in Alghero, Cagliari 2001.

[22] P. Tola, Dizionario biografico degli uomini illustri di Sardegna, III, Torino 1837-1838, pp. 281-282; R. Bonu, Scrittori Sardi, II, Sassari 1961, pp. 710-711.

[23] L’Archivio Diocesano ha avviato nel 2011 un progetto di digitalizzazione e metadatazione della documentazione conservata nei propri fondi con i finanziamenti della Regione autonoma della Sardegna e della Conferenza episcopale italiana che ha consentito di digitalizzare documenti importantissimi quali le notizie antiche, le visite pastorali, gli atti notarili, ecc. È stato elaborato un Archivio digitale, un contenitore virtuale in grado di raccogliere il materiale digitalizzato che permette di offrire un servizio in più all’utenza dell’Archivio, agevolando la ricerca e la leggibilità dei documenti attraverso apposite postazioni informatiche. La banca dati di immagini, che è leggibile attraverso il software, è lo specchio dei documenti presenti nell’Archivio, così come sono stati ordinati e descritti.

[24] ASDA, FC, Noticias Antiguas, II, 1.1.2, ff. 46r-96v; A. Nughes, Alghero. Chiesa e società, cit., pp. 111-149; Idem, El sínode del bisbe Baccallar. L’Alguer. Església i societat al segle XVI, Institut d’Estudis Catalans, Barcelona 1991.

[25] R. Turtas, Storia della chiesa in Sardegna, cit., p. 872.

[26] Associazione Archivistica Ecclesiastica, Guida degli Archivi Diocesani d’Italia, III, a cura di V. Monachino - E. Boaga - L. Osbat - S. Palese, collana Archiva Ecclesiae, Napoli 1998, pp. 47-49.

[27] Questi fondi non sono ancora stati ordinati ed inventariati ed è difficile in questa sede fornire ulteriori indicazioni in merito.

[28] A. Nughes, Alghero. Chiesa e società, cit., p. 29.

[29] Così la dott.ssa Giuseppina Usai, già funzionario della Soprintendenza Archivistica per la Sardegna, segnala l’importanza del Fondo del Capitolo, cfr. A. Derriu, Inventario dell’Archivio del capitolo cattedrale di Alghero, Alghero 2013, pp. 18-19.

 
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