Domenica, 07 Aprile 2013

La riscoperta del Giardino della Minerva, l'antico orto botanico della Scuola Medica di Salerno e la ricostruzione di un intero archivio “vegetale”

Mattia Pellecchia
Sezione Studi

Come molti salernitani, non conoscevo bene la storia del Giardino della Minerva, visitato per la prima volta qualche anno fa, grazie a mio padre; sapevo poco di questo luogo così importante, ovvero dell'antico Orto botanico della Scuola Medica Salernitana. Adesso so che si tratta del sito di Salerno più conosciuto e visitato dai turisti stranieri.

Attraverso i racconti di mio padre e delle altre persone che si occupano della preservazione del sito, in primis Luciano Mauro, curatore del Giardino, ho scoperto come un luogo così intriso di storia sia stato per decenni totalmente dimenticato, utilizzato come semplice orto privato, destinato, addirittura, a diventare un giardinetto pubblico nell'ambito di un piano di riqualificazione urbana.

Solo alla fine degli anni Ottanta del '900, a Salerno si concretizzò l'idea di trovare un posto che celebrasse gli antichi fasti della Scuola Medica Salernitana, un posto dove si parlasse e si tornasse a studiare la botanica legata all'antica medicina medievale. Paradossalmente, due persone ebbero questa stessa idea, indipendentemente l'una dall'altra: l'agronomo Luciano Mauro e l'architetto Enrico Auletta, entrambi paesaggisti iscritti all'A.I.A.P. Infatti, i due paesaggisti illustrarono il proprio progetto a degli sponsor e si conobbero: iniziò così la loro collaborazione per la valorizzazione del Giardino della Minerva.

Ma dove realizzare un moderno orto botanico che riportasse alla luce l'antica e complessa storia di una Scuola Medica, quella di Salerno, di cui si sapeva ben poco?

Il problema principale era innanzitutto quello di rintracciare il luogo in cui realmente avessero operato nell'Età medievale gli antichi medici salernitani: senza "prove" storico-archeologiche il progetto “Giardino della Minerva” rischiava di non decollare.

Dopo un'attenta analisi di una serie di documenti da parte degli archeologi Sergio Marino e Paola Valitutti, emerse la localizzazione nel centro storico di Salerno di un antico Viridario di un medico salernitano del XIV secolo, Matteo Silvatico, tra l'altro autore di un importante trattato scientifico sulle erbe e sul loro utilizzo in campo medico, l'Opus Pandectarum Medicinae, più semplicemente chiamato Pandette.

Sia Enrico Auletta che Luciano Mauro, anni addietro, dopo aver scattato molte fotografie, avevano notato proprio nel centro storico di Salerno, nel vecchio quartiere di Plaio Montis1, un giardino con una sorta di scalea pergolata con una grande fontana, il tutto in un grande stato di abbandono, ricoperto da vegetazione: un luogo un po' inaccessibile, che aveva da sempre destato grande curiosità nei due paesaggisti.

Quando Enrico Auletta e Luciano Mauro entrarono per la prima volta nel giardino, si resero conto della qualità paesaggistica del sito, ma la “grande” scoperta fu un'altra: quel giardino era esattamente il Viridario di Matteo Silvatico!

Infatti, fu ritrovata una fontana adornata con un antico mascherone, una Gorgone con dei serpenti in testa, elemento ippocratico, immersa in un grande esemplare di Colocasia, pianta di cui non erano state attestate presenze a Salerno alla fine degli anni Ottanta del '900. Scrive Matteo Silvatico nel suo manoscritto Liber cibalis et medicinalis Pandectarum:

“Et ergo ipsam (culcasiam) habeo Salerni in viridario meo, secus spectabilem fontem”2.

Dunque, singolare coincidenza, attestata da successivi studi archeologici.

La “riscoperta” del Giardino della Minerva riportò alla luce, soprattutto dal punto di vista botanico, una storia poco conosciuta, quella della Scuola Medica Salernitana, di un centro medico che non ebbe la “sapienza” di affermarsi a livello istituzionale, un centro medico che fu crocevia di una cultura “mediterranea”, in cui si fondono le conoscenze latine, greche, arabe ed ebraiche, come dimostra la leggenda di fondazione della Schola, un centro medico che nel 1231 fu “derubato” da Federico II del suo “primato” di prima università nel mondo occidentale!

Dunque, il ricordo di un medico e botanico salernitano, Matteo Silvatico, vissuto a cavallo tra il tredicesimo e quattordicesimo secolo, ha dato l'avvio ideale a uno studio e alla successiva proposta della restaurazione a Salerno del suo orto botanico. Partendo dall'opera del Silvatico, risalente al primo ventennio del 1300, è nato il progetto, allo stesso tempo, della creazione di un luogo di ricerca sull'evoluzione del paesaggio e del giardino mediterraneo.

L'obiettivo è stato quello di creare un orto botanico composto da due sezioni, di cui una dedicata specificamente alle piante officinali conosciute e utilizzate dal grande medico salernitano, un'altra con lo scopo di diffondere la conoscenza dei caratteri dell'ambiente mediterraneo, sia naturale che antropico, finalizzata sia alla conservazione, che alla sperimentazione e riproposizione di piante in ambiti e scale diverse.

Scrive Luciano Mauro nella sua proposta progettuale esposta nel convegno Pensare il giardino svoltosi a Salerno nel 1991:

“[…] Bisognerà quindi – a nostro avviso – lavorare su alcune <idee guida> quali ad esempio l'individuazione e lo studio di specie spontanee che abbiano caratteristiche tali da arricchire il catalogo delle opportunità vegetali. Nel diciannovesimo secolo, il prof. Michele Tenore (1780-1861), celebre botanico napoletano, intravedendo la enorme potenzialità d'arredo di molte delle nostre essenze vegetali, predispose un elenco numerosissimo di specie da poter utilizzare come ornamentali. Un simile lavoro, arricchito e reso attuale, stimolerebbe le migliori ditte vivaistiche meridionali a diversificare la produzione di piante, garantendo un maggior assortimento vegetale.

Un'altra destinazione di attività per il centro potrà essere il censimento e lo studio dei siti caratteristici dell'ambiente mediterraneo. Se si superano gli angusti limiti dello spazio disponibile e della concezione classica dell'Orto Botanico quale luogo di catalogazione delle piante, il centro potrebbe avviare una campagna di segnalazione dei biotipi e dei paesaggi significativi del territorio mediterraneo […]”3.

Oggi, il Giardino della Minerva si trova nel cuore del centro antico di Salerno, in una zona denominata nel Medioevo Plaium montis, a metà strada di un ideale percorso che si sviluppa lungo l'asse degli orti cinti e terrazzati che dalla Villa comunale salgono, intorno al torrente Fusandola, verso il Castello di Arechi: ci troviamo in una zona che, per diversi motivi, e non per ultimo per l'orografia, non permette facili accessi e che ha conservato i suoi spazi verdi, al contrario del resto della città antica e storica. Una zona quindi che si è salvata dalla recente urbanizzazione selvaggia, forse scoraggiata dalle devastazioni dell'alluvione del 1954, che pure ha aggredito con violenza la vicinissima zona di Madonna del Monte.

A tal proposito, afferma Enrico Auletta durante il citato convegno Pensare il giardino:

“[…] Una zona di verde storico, dunque, di giardini storici e di persistenza dell'hortus conclusus. L'area, già vincolata nella parte al di sopra della linea ferroviaria secondo la legge 1497/39, ha in atto una richiesta alla Soprintendenza BAAAS, presentata dal gruppo di studio mediante un fascicolo di documentazione, di estendere il vincolo, alla parte propriamente <storica>, secondo la legge 1089/39. Una zona, dunque, per la quale, secondo le indicazioni delle Carte sui giardini storici, e soprattutto secondo le leggi del buon senso, bisogna ricercare usi compatibili che, mentre permettano alla collettività di goderne i benefici, al contempo ne rispettino e salvaguardino, con spirito propositivo, le caratteristiche più proprie. Siamo infatti in presenza di risorse, in atto o potenziali, a cominciare dalla semplice risorsa territorio, che una volta sprecate non concederanno ripensamenti: in rapporto ad altre parti della città, le potenzialità di tali aree sono infatti ragguardevoli, ed evidente è la vocazione a divenire contesto storico-didattico-scientifico, legato alla botanica e al ricordo della Scuola Salernitana […]”4.

Il Viridario, oggi in parte localizzato nell'area che costituisce il Giardino della Minerva, fu proprietà della famiglia Silvatico sin dal XII secolo, come testimoniato da una serie di documenti, conservati nell‘archivio della Badia di Cava de’ Tirreni, e da un manoscritto del XVIII secolo, presente nella Biblioteca Provinciale di Salerno: il luogo si può identificare nel quartiere di Plaio Montis, dove maggiormente operava la famiglia dei Silvatico, in uno scorcio comprendente circa tre secoli di vita vissuta, tra incarichi pubblici e attività privata.

Infatti, le fonti che concorrono a far luce sulla localizzazione del Viridario, cinque pergamene che provengono dalla Badia di Cava de' Tirreni, confermano la presenza dei Silvatico:

  • nella prima del 1114, arca XXV n. 110, compaiono Pietro il Giovane, Giovanni e Gaita;

  • lo stesso Pietro ricompare in un atto del 11395;

  • dalla terza del 11476, abbiamo nuovamente notizie di Pietro, Giovanni e Gaita “quae dicitur Salvatica” convenuti dinanzi al giudice Giovanni per una traditio medietatis di alcune case lignee situate in una terra di pertinenza del monastero di Cava, al di fuori di Salerno, “in loco Bosanola”;

  • nel 1152 ancora Pietro alla Badia di Cava “integram mediatatem […] de omnibus lignaminibus et edificiis que constructa sunt in terri ipsi monasterio pertinentibus foris hac predicta civitate in loco Bosanola” a ovest di una via pubblica7;

  • nel 1158 Pietro ricompare come Pietro Silvatico detto Giovine, in una vertenza di carattere possessorio tra i coniugi Ioannaccio e Gaita per una terra sita “intra Salernum in Plaio Montis, subsus et prope Monasterium San Nicolai, quod de la Palma dicitur”8.

Inoltre, sappiamo che Matteo Silvatico fu autore nel 1340 di una donazione al monastero di S. M. della Porta di una casa in città, nella piaggia del monte9.

Altra notizia interessante è reperibile nel Codex Diplomaticus Salernitanus del secolo XIII10, dell'anno 1298, in cui in un censimento delle rendite della curia, voluto dal re, compare tra le botteghe “apotheca una heredum Mathei Selvatici”, in Ruga Corbiseriorum.

Difficile precisare la destinazione di questa bottega, ma potremmo farcene un'idea tenendo presente come il titolo apothecarius passasse a indicare, dal XIV secolo, la figura del farmacista11, se Goffredo da Nucco, anch'egli medico salernitano, è citato con il doppio titolo di apothecarius et speciarius. Del resto, nello stesso periodo, nei registri angioini compare la figura dell'herbuarius, ben distinta da quella di speciarius, a proposito di Pietro da Salerno12. Il De Renzi, a riguardo, compara la figura dell'herbuarius con quella del “botanico de' tempi posteriori”, raccoglitore e coltivatore di erbe13.

Dunque, nel primo ventennio del 1300, il maestro Matteo Silvatico, istituì a Salerno un Giardino dei Semplici, antesignano di tutti i futuri Orti botanici d’Europa.

Dalla citata opera del Silvatico, Opus pandectarum medicinae, ricaviamo la prima descrizione del Giardino:

“[…] Ed io ho una colocasia, a Salerno, nel mio giardino, presso una fonte cospicua”14.

In questo spazio di straordinario valore culturale, oggi identificabile, appunto, nell’area del Giardino della Minerva, erano coltivate alcune delle piante da cui si ricavavano i principi attivi impiegati a scopo terapeutico. Matteo Silvatico vi svolgeva, inoltre, una vera e propria attività didattica per mostrare agli allievi della Scuola Medica le piante con il loro nome e le loro caratteristiche (Ostensio Simplicium). Il giardino medievale, nel corso d’una recente campagna di indagini archeologiche, condotte da Sergio Marino e Paola Valitutti, è stato rinvenuto a circa due metri di profondità sotto l‘attuale piano di calpestio.

Dichiara Paola Valitutti in un'intervista del 2009, tratta dal film documentario “Il Giardino della Minerva”:

“[…] Prima che iniziassero i restauri del Giardino, abbiamo operato dei saggi archeologici sotto la direzione della locale Sovrintendenza. La tecnica utilizzata è stata una tecnica propriamente di archeologia dei giardini, per cui sono state fatte poi analisi dei micro e macroresti vegetali; anche, poi, le tecniche adoperate sono particolarmente legate allo scavo del giardino e abbiamo avuto delle interessanti risposte: il muretto e queste aiuole erano coperte perché il livello si era innalzato di parecchio. Bisogna considerare che a Salerno il livello della città romana è a otto metri sotto l'attuale piano di calpestio […]. All'interno del Giardino, abbiamo trovato all'inizio, subito dopo lo <scotico> superficiale dei primi cinquanta centimetri, il sistema delle aiuole, così come frammenti della pavimentazione, che è stata poi ripristinata, in coccio-pesto. Il livello medievale, diciamo il livello di Matteo Silvatico, è apparso a due metri e mezzo al di sotto dell'attuale piano di calpestio. Quali sono stati gli indicatori? Gli indicatori sono stati i ritrovamenti di materiale e, soprattutto, di ceramica, riconducibili alle classi ceramiche prodotte tra il tredicesimo e quattordicesimo secolo. E quindi quelle ci hanno aiutato a datare lo strato […]. Nei vari livelli, lungo tutti i cinque livelli del Giardino, abbiamo operato dei saggi archeologici, abbiamo trovato in vari punti canalizzazioni precedenti: una prima canalizzazione, che è comparsa subito, quindi, più o meno a quaranta-cinquanta centimetri sotto il piano di calpestio, canalizzazioni in coppi, che collegavano un po' tutto il Giardino. A un livello più profondo, invece, è uscita una canalizzazione, sempre realizzata in coppi di cotto, però, completamente rivestita in malta, che collegava e portava acqua, probabilmente, in varie parti del Giardino. L'analisi, invece, dei micro e macro-resti, da cui speravamo di avere indicazioni sulle piante, in realtà, non ha dato grandi risultati perché il Giardino, oltre alla diverse <frequentazioni>, di cui l'ultimo proprietario è Capasso, ma, precedentemente c'è il Barone del Plato, insomma, varie persone che hanno operato all'interno del Giardino, ha avuto gli ultimi due utilizzi che hanno sconvolto molto la situazione: come ospizio e, poi, come serre comunali [...]”15.

Nel 1666 don Diego del Core:

“[…] Fe compra libera di una casa palazziata con giardini... la casa con giardinetto fu restaurata e accomodata e resa abitabile”16.

Dall‘atto notarile si ricava, inoltre, una delle prime descrizioni del terrazzo e del giardino:

“[…] Vi è una loggia parte coperta a lamia a vela sostenuta da pilastri e parte scoperta e pavimentata attorno, coi suoi pezzi d’astrico del quale si gode il mare e i monti circonvicini, con una fontana in destra di essa con acqua perenne […] vi è un muro che regge la fontana, ma che è malmesso e potrebbe crollare danneggiando la loggia […] in esso vi è una porta che con sette gradi si cala nel giardino il quale consiste in un luogo piano, ha due piedi di fico, due di cetrangolo e vite che facevano pergola sopra otto pilastri di fabbrica, ma presente si vedono per terra perché sono marciti i legnami che formavano la medesima, altri pilastri parte sono cascati e parte lesionati”17.

Viene menzionata anche la peschiera e la scala che conduceva al secondo livello del giardino. In questo vi sono altri alberi di fico ed una fontana che alimenta la vasca sottostante. La proprietà, quindi, alla metà del seicento, nonostante i molti guasti, mostrava già l‘aspetto che attualmente connota il luogo.

Ultimo proprietario fu il professor Giovanni Capasso che, grazie all‘interessamento dell’avvocato Gaetano Nunziante, presidente dell‘Asilo di Mendicità, donò nell’immediato secondo dopoguerra l’intera proprietà a tale benefica Istituzione.

Nel novembre del 1991, a Salerno, durante i lavori del simposio Pensare il giardino18, fu presentato il progetto per la realizzazione di un Orto botanico dedicato a Silvatico ed al suo Giardino dei Semplici. Tale progetto è stato poi finanziato e realizzato nel 2000 dall’Amministrazione Comunale, attuale proprietaria del bene, utilizzando le provvidenze del programma europeo Urban.

Ciò che oggi, al termine dei lavori di restauro, partiti nel 1999 e terminati nel 2000, appare evidente al visitatore è un’interessante serie di elementi ascrivibili tra il XVII ed il XVIII secolo. Tra questi, il più caratterizzante è una lunga scalea, sottolineata da pilastri a pianta cruciforme, che sorreggono una pergola di legno.

La scalea, che collega ed inquadra visivamente i diversi livelli del giardino è costruita sulle mura antiche della città e permette un’ampia e privilegiata visione del mare, del Centro storico e delle colline. Un complesso sistema di distribuzione dell’acqua, composto da canalizzazioni, vasche e fontane, una per ogni terrazzamento, denota la presenza di fonti cospicue che hanno permesso, nei secoli, il mantenimento a coltura degli appezzamenti. Il sito è inoltre dotato di un particolare microclima, favorito dalla scarsa incidenza dei venti di tramontana e dalla favorevole esposizione, che, ancora oggi, consente la coltivazione di specie vegetali esigenti in fatto d’umidità e calore.

Il microclima particolare del Giardino della Minerva è reso possibile da quattro fattori fondamentali, come sostiene Luciano Pellecchia, giornalista esperto nel settore floreale:

  • L'esposizione. L'orto è esposto a sud, quindi direttamente verso il sole per catturare l'energia. La particolare posizione e l'abbondanza d'acqua fanno sì che l'orto abbia un microclima particolarissimo;

  • La protezione dai venti freddi. A nord l'orto è protetto dal monte Bonadies e ogni muro dei terrazzamenti è un ulteriore paravento che evita al vento freddo di arrivare alle piante;

  • L'inclinazione. L'inclinazione del Giardino della Minerva permette, soprattutto d'inverno, la cattura di energia da restituire sotto forma di calore alle piante durante la notte. Si creano zone che raccolgono i benefici del sole e si allargano, quindi, gli spazi di coltivazione. I raggi arrivano così prima alla vite, poi al limoneto e alle pergole di castagno. Il principio ricalca quella che è la condizione in cui si ritrovano gli agrumi coltivati nella Costiera Amalfitana. D'estate i raggi del sole cadono perpendicolari al terreno e coprono una data superficie; d'inverno, invece, i raggi solari cadono in modo meno perpendicolare, quindi, la stessa quantità di energia viene distribuita su una superficie maggiore: vuol dire che, a parità di energia che arriva, in inverno abbiamo il doppio della superficie irradiata rispetto all'estate e, quindi, il calore risulta dimezzato. Le pergole di castagno, poi, non hanno altra funzione che creare una zona coperta, oltre ad avere una produzione sulla pergola stessa. Tutto ciò che succede al di sotto è mutuato, assolutamente, dalla cultura araba: quando in estate il sole è alto, la pergola funziona da ombreggiamento e, quindi, al di sotto si possono avere coltivazioni con poco impiego d'acqua; invece, in inverno, quando il sole è molto basso,i raggi riescono a penetrare fino in fondo e, quindi, al di sotto della pergola c'è una produzione orticola continua. Un altro fatto importante sono i muri che in inverno,come le superfici piane in estate, prendono e catturano il calore del sole. Quindi, in inverno, durante il giorno il sole basso carica di calore le pareti retrostanti ogni terrazzamento, invece, di notte, questo calore viene ceduto alle piante;

  • La presenza di acqua. Quarto e ultimo fattore, che rende particolarmente felice la coltivazione di una gamma così estesa di piante, è la presenza di molta acqua. La particolarità architettonica e paesaggistica di questo giardino è data proprio dal sistema delle acque: ogni livello ha una sua peschiera che anticamente serviva, oltre che come arredo ed elemento di arredamento, per irrigare i vari terrazzamenti. Su ogni livello ci sono peschiere e sistemi di canalizzazione per terra e nei muri delle aiuole, tali sistemi rimandano ai modelli di canalizzazione orientale, in particolar modo del mondo arabo, in quanto Salerno aveva molti contatti con l'Oriente. Tutta l'acqua, che è a disposizione del giardino, è superficie evaporante quindi,quando altrove in estate si ha aria asciutta, qui c'è quella quantità di umidità necessaria anche a piante che altrimenti d'estate non potrebbero sopravvivere,almeno alle nostre latitudini. Basta fare una passeggiata nel Giardino della Minerva e guardare con occhi da botanico quello che c'è a livello vegetale: ci si rende conto che deve fare più caldo rispetto alla media in inverno ed essere meno asciutto rispetto alla media in estate.

Questa è la spiegazione del perché, in maniera consapevole o inconsapevole, questo sito sia stato scelto a suo tempo per la coltivazione di una gamma così ampia di erbe”19.

Dunque, nell'ambito della Scuola Medica Salernitana nacque un Orto Botanico che sarebbe il più antico orto universitario, se le vicende umane non ne avessero decretato una precoce fine.

La più vetusta testimonianza di orto universitario è oggi rappresentata dall'Orto di Padova, nato per decreto del Senato della Repubblica Veneta il 29 giugno 1545. Nel suo atto di fondazione si legge che l'Orto fu voluto da studenti e docenti per avere “in Padoa un luogo idoneo” nel quale poter acquisire più facilmente e approfonditamente la “scientia” delle piante medicinali “con il senso et con la investigazione”. Coltivazione, ostensione, osservazione, studio, sperimentazione sono dunque le funzioni che fin dal loro nascere caratterizzarono gli orti botanici, stupende espressioni, tipicamente italiane, di un rinascimento filosofico-scientifico-naturalistico.

Ma ancor più stupefacente è che, considerando le attività dei mille e più orti botanici sparsi per il mondo, inequivocabilmente appare che caratteristiche e funzioni non siano cambiate dopo oltre quattro secoli dalla loro ideazione.

Ma, cos'è diventato oggi il Giardino della Minerva?

Sin dall'inizio, la rivegetazione dell'orto botanico di Salerno è stata realizzata seguendo l'elenco delle specie vegetali dei semplici, utilizzati nella medicina galenica medievale ed elencati nello specifico nell'opera principale del maestro Silvatico, le Pandette (Opus Pandectarum Medicinae): un lessico sui semplici per lo più d’origine vegetale. Il manoscritto fu completato nel 1317 e dedicato al re di Napoli Roberto d’Angiò. Un secolo e mezzo dopo, Angelo Catone Sepino, medico personale di Ferdinando I d'Aragona re di Napoli, reputò l’Opera estremamente interessante, tanto da curarne la prima edizione, stampata a Napoli nel 1474. Nel secolo successivo le Pandette furono ripubblicate più volte con l'aggiunta di indice e additio.

Le Pandette, nell’edizione a stampa veneziana del 1523, sono composte da 721 capitoli: di questi 487 trattano di vegetali, 157 di minerali, 77 di animali e 3 descrivono semplici dei quali non siamo stati in grado di dare una definizione. I 487 vegetali sono denominati con 1972 nomi (tra latini, arabi e greci), con una media di 4 sinonimi per pianta. I capitoli delle Pandette si aprono con il nome del semplice, segue poi l'elenco dei sinonimi (latini, arabi e greci), la descrizione morfologica desunta da autori illustri (per lo più Dioscoride e Serapione il giovane) o dall'esperienza personale, la complessione (cioè la “natura” del semplice) e si chiudono con l’elencazione delle proprietà terapeutiche. La denominazione del capitolo è un primo indizio evidente di quanto la cultura orientale abbia influenzato l‘opera di Silvatico: dei 487 capitoli che riguardano le piante, 233 (il 42,9%) sono definiti con un nome di origine araba, 134 (il 27,6%) con uno di origine greca e soltanto 120 capitoli (il 24,6%) sono denominati tramite un termine latino.

Quest’influenza risulta ancora più chiara se si considera il significativo numero di capitoli dedicati alle specie di origine esotica. Su di un totale di 484 piante identificate, 67 (il 13,8%) sono esotiche. Tale influsso è uno degli aspetti più singolari e irripetibili dell‘Opera. Nessun altro trattato europeo compendierà tanti nomi arabi per definire piante di origine mediterranea.

La descrizione morfologica è quasi sempre ricca di particolari, spesso ripresa dai classici: le parti del vegetale vengono o descritte o paragonate a organi simili di piante molto note o già illustrate. C‘è molto dell’esperienza di Silvatico in queste minuziose descrizioni. Tra i meriti che vanno riconosciuti al lavoro di Silvatico, va sottolineato il rigore scientifico adoperato nella descrizione e nella elencazione delle proprietà dei semplici vegetali: nulla traspare della tradizione magico-superstiziosa propria di altri testi.

E' interessante, infine, notare la grande attenzione dedicata dall'autore agli organi ipogei della pianta (radici, rizomi, bulbi, tuberi ecc.). Nelle descrizioni essi sono sempre citati e la loro forma spesso influenza il nome stesso della pianta, così come, da Linneo in poi, sarà il fiore ad influenzare la nuova nomenclatura binomia.

Dunque, con la scrupolosa opera di rivegetazione, condotta dal curatore del Giardino, Luciano Mauro, e dal capo-giardiniere, Mauro Pellecchia, è stato realizzato una sorta di “archivio” vegetale, con un lavoro di ricollocazione vegetale dei semplici elencati dal Silvatico con relative targhette informative e descrittive, culminata nella realizzazione, nel primo terrazzamento del Giardino, di un'aiuola che riporta lo schema galenico delle complessioni e delle gradazioni, tutto completato con la disposizione dei vegetali in base alla propria classificazione.

Infatti, il Giardino della Minerva, oltre ad essere stato frutto di un progetto di recupero di un'area di importanza storico-scientifica, è stata la concretizzazione di una “raccolta” vegetale a scopo didattico, che sicuramente annovera tra il proprio catalogo come fiore all'occhiello esemplari di specie della Mandragora.

Gli esemplari di Mandragora furono prelevati con una spedizione nell'isola di Mozia (Trapani), antica colonia fenicia. 

Ma, nel 2011, si è rischiato di distruggere in poco tempo anni di lavoro e di ricostruzione storico-botanica: dopo una fase “controversa” iniziata nel 2011, dovuta ad un periodo ricco di “incomprensioni” di carattere gestionale tra il comune di Salerno e il gruppo di lavoro dell'orto botanico, nel 2013, dopo un lungo “braccio di ferro”, è stata concessa la gestione autonoma al direttore Luciano Mauro, “libero” di tornare a dedicarsi alla sua “creatura” e di ricostruire il gruppo di lavoro che ha fatto del Giardino della Minerva il luogo più conosciuto di Salerno a livello internazionale.

Il lungo lavoro di rivegetazione “chirurgica” per completare il catalogo vegetale redatto nelle Pandette del Silvatico è ripartito con altri progetti, come afferma Luciano Mauro in un'intervista rilasciata al quotidiano La città:

“E' forte in me e nel gruppo di lavoro da poco ricostruito il desiderio di stupire, di far vedere a tutti quelli che varcheranno il cancello del Giardino cose particolari, ma c'è da tener conto della storia e della tradizione del luogo che fece da laboratorio ai luminari della Scuola medica salernitana e quindi le specie che vogliamo aggiungere devono rispondere a criteri ben precisi. Devono rientrare nel tracciato già segnato più di mille anni fa”21.

Dunque, non solo ricerca e sperimentazione alla base dell'immediato futuro del Giardino, ma anche grande attenzione e cura per gli eventi che esso dovrà ospitare per ampliare ancor di più il suo bacino d'utenza, come la grande mostra divisa in quattro sezioni che andrà ad indagare, volta per volta, tutte le parti di una pianta, dalle radici ai fiori passando per il fusto e le foglie.

Conclude Luciano Mauro nella medesima intervista:

“Stiamo stringendo rapporti con altri orti botanici internazionali e possiamo dire che in meno di un mese abbiamo piantato sessanta nuove specie che erano andate perse negli ultimi anni e siamo sicuri che già a metà aprile potremo mostrarci al meglio”22.

La storia del Giardino dimostra che il Medioevo fu, come propone Giovanni Tabacco, una “età di sperimentazione”, ossia della ricerca, in tutti i campi e in tutte le direzioni, di molte soluzioni possibili ai problemi dell'esistenza e della convivenza civile23. Il Medioevo fu innanzitutto età di incontri e di contaminazioni fra culture diverse, che tendeva a non separare, ma a tenere insieme, ad assimilare, in una sorta di vocazione “sincretistica”, esperienze lontane e apparentemente contrastanti, sul piano dell'organizzazione sociale e istituzionale, degli ordinamenti economici e giuridici, dei modi di vivere e di sentire24.

Sperimentazione e rapporti con altri orti botanici internazionali: nelle parole di Luciano Mauro si coglie la volontà di conservare la “dinamicità” caratteristica del Medioevo per rendere questo importante “archivio” vegetale una risorsa storico-culturale fruibile da tutte le tipologie di visitatori.

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1 Tale quartiere era compreso tra l'attuale via T. Tasso, via S. Massimo, via Trotula de Ruggiero, Largo Scuola Salernitana, via Porta S. Nicola.

2 M. FRUIANO, Maestri di medicina e filosofia a Napoli nel Quattrocento, Liberia Scientifica Editrice, Napoli 1973.

3 E. AULETTA, L. MAURO, Idee per il parco botanico paesaggistico salernitano, in Pensare il giardino (a cura di. P. CAPONE, P. LANZARA, M. VENTURI FERRIOLO), Guerini e Associati, Milano 1992, pp. 138-139.

4 E. AULETTA, L. MAURO, Idee per il parco botanico paesaggistico salernitano, in Pensare il giardino (a cura di. P. CAPONE, P. LANZARA, M. VENTURI FERRIOLO), Guerini e Associati, Milano 1992, pp. 137-138.

5 Idex Pergamenarum Cavensis, Archivio Badia di Cava de' Tirreni, arca XVI n. 76.

6 Idex Pergamenarum Cavensis, Archivio Badia di Cava de' Tirreni, arca XXVI n. 79.

7 Idex Pergamenarum Cavensis, Archivio Badia di Cava de' Tirreni, arca XXVIII n. 48.

8 Idex Pergamenarum Cavensis, Archivio Badia di Cava de' Tirreni, arca XXX n. 49.

9 Moscritto Ughelli, Biblioteca Angelica Roma.

10 Codice Diplomatico Salernitano (a cura di C. CARUCCI) XIII. Doc. CCCXXII, anno 1298, vol. III p. 358 e sgg.

11 S. DE RENZI, Storia Documentata della Scuola Medica di Salerno, reg. 1324, lett. D, fol. 55, Napoli 1857.

12 Ibidem, reg. 1324. lett. D, fol. 55.

13 S. DE RENZI, Collectio Salernitana, Napoli 1852, p. 532.

14 Opus pandectarum medicinae, cap. 196, Culcasia ed. 1523, Biblioteca Nazionale di Napoli.

15 Il recupero del Giardino, in Il Giardino della Minerva (documentario), MATTIA PELLECCHIA, Fondazione Scuola Medica Salernitana, Salerno 2011. Consultabile su Youtube.

16 Archivio S. Maria delle Grazie, reg. anni 1681-1739, Salerno.

17 Archivio S. Maria delle Grazie, reg. anni 1681-1739, Salerno.

18 P. CAPONE, P. LANZARA, M. VENTURI FERRIOLO (a cura di), Pensare il giardino, Guerini e Associati, Milano 1992.

19 I quattro fattori fondamentali, in Il Giardino della Minerva (documentario), MATTIA PELLECCHIA, Fondazione Scuola Medica Salernitana, Salerno 2011.

20 La spedizione a Mozia, in Il Giardino della Minerva (documentario), MATTIA PELLECCHIA, Fondazione Scuola Medica Salernitana, Salerno 2011.

21 FIORELLA LOFFREDO, Un tocco d'Oriente nel giardino segreto, quotidiano La città, Salerno, 5 aprile 2013, p. 16.

22 FIORELLA LOFFREDO, Un tocco d'Oriente nel giardino segreto, quotidiano La città, Salerno, 5 aprile 2013, p. 16.

23 G. TABACCO, Il cosmo del medioevo come processo aperto di strutture instabili, in Sperimentazioni del potere nell'alto medioevo, Einaudi, Torino 1993, pp. 3-41.

24 B. GEREMEK, Il Medioevo, questo sconosciuto. Luoghi comuni sulle nostre radici, in Etruria oggi, 28 (1991), pp. 51-56.

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