Da tempo la nostra Società si interessa di Archivi e biblioteche pubbliche. Una commissione ad hoc è stata istituita nel giugno 2009 per studiare la questione nei dettagli. Nell’aprile 2011 ha organizzato il Convegno “Il pane della ricerca”, i cui atti sono stati poi pubblicati con l’editore Viella. Nel frattempo, oltre a partecipare a molte iniziative del mondo degli archivi e della loro associazione principale, Anai, è stata promotrice di un Coordinamento nazionale per gli archivi e le biblioteche, nato ufficialmente nel giugno 2014, a cui hanno aderito progressivamente tutte le associazioni principali di storia. Il coordinamento, oltre a emettere comunicati, ha organizzato un’attività di studio sui vari aspetti legati allo spettacolo deprimente di istituti che si svuotano di personale e, nonostante sia largamente prevalente lo spirito di servizio e la professionalità dei funzionari e del personale, offrono servizi sempre meno efficienti per l’utenza.
Ha così inteso richiamare le forze politiche, nel gennaio 2013, alla necessità di compiere passi avanti verso settori che hanno subito tagli lineari progressivi, non fermandosi a posizioni di protesta ma proponendo anche una correzione di rotta. Alle forze politiche venivano sottoposti 5 punti da realizzare: la demanializzazione delle sedi di studio, onde ridurre l’impiego di risorse verso indirizzi improduttivi (la sola amministrazione archivistica nel 2011 aveva impegnato 18 milioni su 25 di budget per il pagamento dell’affitto delle sedi; nel 2014 la spesa è rimasta sostanzialmente invariata: 17.7 su un budget ridotto a 24 milioni). Il secondo punto era la creazione di poli archivistici, bibliotecari e di natura mista in località che consentissero in tal modo l’ottimizzazione delle risorse e del personale in decrescita numerica. Considerando il mancato turn over e le misure palliative poste in essere a fronte di un invecchiamento del personale, la terza proposta consisteva nella messa a bando di posti per mezzo di concorsi pubblici, onde selezionare un personale qualificato e stabilizzato. L’assegnazione di risorse adeguate per il sistema prima del collasso di istituti bibliotecari e archivistici e tali da poter predisporre piani di intervento per la digitalizzazione di una varia tipologia di documentazione. Il documento si chiudeva poi chiedendo una più adeguata distribuzione di risorse per la ricerca presso gli Atenei, poiché tra i tagli di quella voce e la riduzione del personale e dei servizi presso le Biblioteche e gli Archivi pubblici, era diventato finanziariamente insostenibile poter svolgere attività di ricerca storica. Sono arrivate risposte da parte di qualche forza politica, ma nessuna azione concreta è stata posta in atto. Nel dicembre 2014 la nostra società, insieme ad altre società storiche, ha presentato al Ministero il quadro complessivo di un progressivo disservizio e indicato in 10 punti le criticità principali, che qui vengono riportate: 1) Il sistema bibliotecario e archivistico negli ultimi anni ha subìto continui tagli di risorse; 2) Il personale in servizio è in numero progressivamente decrescente poiché non c'è stata una politica di turn-over rispetto ai pensionamenti; 3) Alcuni istituti archivistici e bibliotecari sono in una grave e cronica condizione di sotto-organico; 4) La condizione delle Biblioteche più importanti e di alcuni Archivi di Stato è tale da costringere i responsabili a una continua riduzione di orari all'utenza; 5) Per gli studiosi è diventata un'impresa poter consultare quotidiani poiché le emeroteche principali (bastino gli esempi della Biblioteca nazionale di Firenze e della Biblioteca nazionale centrale di Roma) o sono chiuse o non hanno strumentazioni funzionanti; 6) Il più importante archivio per la storia dell'Italia contemporanea, e cioè l'Archivio Centrale dello Stato, subisce da anni una continua restrizione degli spazi per ospitare il materiale documentario; 7) I locali di molte biblioteche e di molti archivi versano in uno stato di degrado e le risorse non sono sufficienti a consentire minimi interventi; 8) il sistema di conservazione e di manutenzione non è sostenuto da risorse congrue e la digitalizzazione di giornali, documenti a stampa e documenti a foglio non ha avuto un incremento sufficiente; 9) Il budget destinato agli archivi è "eroso" per la sua massima parte dal pagamento di affitti e non si è mai posta concretamente una politica di riuso di strutture pubbliche in abbandono (come molte caserme, per esempio); 10) l'esternalizzazione di molti servizi non ha comportato, nella sua applicazione, un beneficio sicuro (un esempio: in molte biblioteche non è possibile fare fotocopie perché il concessionario non ha ricevuto il rinnovo dell'accordo).
L’emorragia di personale racconta di una situazione in cui l’organico del settore archivistico del 1997, l’ultimo stilato prima del 2015, aveva in forze 69 funzionari e 950 archivisti; oggi sono in servizio 23 funzionari e 586 archivisti. Il mancato turn-over è anche alla base di un invecchiamento del personale e della prossima emorragia derivante dai pensionamenti: il 66% del personale in servizio ha superato i 60 anni; solo il 5% del personale ha un’età sotto i 50 anni, nella fascia d’età tra i 40 e i 49 anni sono infatti in servizio 29 unità; tra i 30 e i 39 solamente 4 (lo 0,6%).
Ciò spiega come alcuni archivi siano costretti a ridurre l’orario all’utenza e a ridurre i pezzi in distribuzione (l’Archivio di Stato di Roma, per un periodo, è stato costretto a chiudere il servizio per 2 pomeriggi a settimana e a dare in distribuzione un solo pezzo alla volta; i suoi organici sono 1/3 in meno della pianta organica prevista: 50 su 75). Alcuni sono a rischio di chiusura, altri hanno un’unità di personale che già presta servizio in più sedi (Sassari-Nuoro). A Cagliari, oltre alla direttrice, sono rimasti in servizio due soli archivisti che andranno in pensione nell’anno 2016. Come si comprende, non è questione che possa essere sottovalutata da chi, come noi, ha negli archivi una fonte indispensabile per il proprio lavoro.
La Sissco è tra i promotori di un’interrogazione parlamentare, proposta ai membri della Commissione cultura della Camera e del Senato e da rivolgere al ministro dei beni culturali, circa lo smantellamento dei magazzini laterali dell’Archivio Centrale dello Stato. La decisione del Segretariato generale è volta a “far posto” al Museo Nazionale d’Arte orientale, senza curarsi delle conseguenze della consultabilità dei 23 km di fondi archivistici che trovano posto in quella parte dell’Archivio. Peraltro non è stata ancora resa nota ufficialmente la destinazione né quell’organo del Ministero ha ritenuto di dover ragguagliare archivisti e utenti circa gli sviluppi prossimi delle carte da trasferire. Si ricorda che l’Archivio Centrale già deposita una serie di documenti presso magazzini siti in Pomezia e che quei magazzini sono già saturi.
Inoltre ha ritenuto di dover aderire a un contro-emendamento predisposto dall’Associazione degli archivisti, che sarà appoggiato da alcuni deputati, per il ripristino dei titoli necessari per la partecipazione ai concorsi da funzionario presso il Ministero dei beni culturali di prossimo svolgimento, titoli che prevedono la laurea magistrale e la considerazione di ogni titolo ulteriore congruo con la funzione (master, dottorato, specializzazioni ecc.). Un emendamento di 5 deputati, infatti, al momento consente anche ai possessori di sola laurea triennale di poter accedere al concorso e, se vincitori, ai ruoli. Tale emendamento è peraltro improprio per la sede normativa, in quanto presentato nella legge di stabilità. Se rimanesse in vigore una norma con tale emendamento si verificherebbero condizioni di potenziale perdita di competenze e di professionalità che non appaiono accettabili dal punto di vista dell’utenza.
Le condizioni di consultazione presso l’Archivio storico del Ministero degli affari esteri consentono la presa di 3 buste al giorno. Le criticità, quindi, non riguardano tanto la consultabilità dei fondi, quanto l’arco cronologico fermo agli inizi degli anni Sessanta del Novecento. A molti studiosi di relazioni internazionali, oltre che a chi pratica una storia contemporanea volta alla conoscenza di aspetti diplomatici, appare decisamente in ritardo la pubblicazione dei Documenti diplomatici italiani. L’edizione dei volumi, giunta alla serie XI, si conclude alla data 25 luglio 1951. La pubblicazione della XII serie, comprendente gli anni 1953-1958, non è alle viste.
Per ciò che riguarda gli archivi militari, dopo aver preso contatto con l’Ufficio storico dello Stato maggiore, gli appuntamenti presi per discutere la possibilità di migliori condizioni per la consultabilità del materiale, sono slittati. Il cambio al vertice degli uffici storici dello Stato maggiore e dell’esercito non ha finora segnato novità. Si conta di stabilire nuovi e, auspicabilmente, più positivi contatti.
La Sissco segue con attenzione anche la sorte di Archivi storici delle disciolte Province. In tal senso ha partecipato il 3 dicembre u. s. a un incontro promosso dalla Città metropolitana di Roma capitale e dall’Anai Lazio in merito al destino della documentazione storica provinciale, non solamente relativa alle Province laziali. Per ciò che riguarda la tipologia di archivi locali, si ha in programma la presa di contatto con l’Anci, per comprendere l’attuale quadro e gli interventi che potranno risultare utili da parte della nostra associazione.
Per ciò che riguarda le biblioteche, a fronte di proposte come la “biblioteca degli inediti” o ipotesi di pagamento per l’accesso, le emeroteche delle due Biblioteche Nazionali Centrali, di Roma e di Firenze, sono di fatto azzerate: presso la prima sono in funzione solo 2 macchinari su 12 per la visione dei microfilm e le testate digitalizzate sono un numero davvero ridotto; ancora peggiore è la condizione presso la seconda sede, in cui l’Emeroteca è chiusa a tempo indeterminato.
Il quadro è dunque devastante. La nostra Società non è rassegnata al silenzio: con iniziative proprie e insieme alle altre società unite nel Coordinamento nazionale per gli archivi e per le biblioteche, ha intenzione di continuare a fare opera di pressione affinché si trovi una via d’uscita alla situazione che sta portando al collasso settori così vitali per la nostra professione.
Sono stati avviati contatti positivi con la Commissione cultura della Camera dei deputati, mentre le porte del Ministero sembrano ancora sbarrate. Dalla messa a bando di 500 posti tramite concorso pubblico si può trarre un cautissimo ottimismo. Da un lato, infatti, sembrano scongiurate ipotesi di selezioni tramite società “in house”, che non danno garanzie di selezione di qualità e di continuità, così come ipotesi di “ope legis” per chi si trovasse a operare come volontario in questo periodo negli istituti bibliotecari e archivistici. Solo un concorso pubblico, senza limiti di età può garantire all’utenza, la selezione delle migliori competenze e offrire la possibilità di direzione di quegli istituti a una fascia d’età che ha comunque esperienza. Si auspica, ovviamente, che tutto il lavoro volontario compiuto da persone più giovani sia comunque riconosciuto e trattato come punteggio, garantendo così da un lato la varietà di esperienze e di tratti generazionali, senza perdere l’occasione di avere un personale selezionato. La questione dirimente, comunque, sarà, nei prossimi tempi, conoscere quanti dei 500 posti messi a bando, spetteranno ai due settori che hanno vissuto in questi decenni senza conoscere un’alternanza tra generazioni. Sarà inoltre necessario conoscere se la politica di “rinsanguamento” degli organici potrà avere continuità nei prossimi anni, con scadenze concorsuali sistematiche. Gli ultimi grandi concorsi per i due settori risalgono alla metà degli anni Ottanta. Dopo quel periodo, gli organici sono andati continuamente scemando.
Le richieste già avanzate due anni fa, in occasione delle elezioni politiche e le criticità rilevate alla fine dello scorso anno, dunque, rimangono e rimangono anche le nostre proposte. Siamo convinti che un’azione comune con le altre Società nel Coordinamento nazionale citato possa arrivare a far sentire la propria voce ed è in gestazione un’iniziativa da tenere nei prossimi mesi sulla questione dello stato delle sedi della ricerca. La Sissco ritiene che il miglioramento delle condizioni e delle potenzialità degli archivi di carattere storico e delle biblioteche pubbliche risponda a un interesse generale e continua a chiedere una politica che segni una forte inversione di tendenza rispetto agli ultimi decenni di tagli di risorse e di emorragia del personale come un preciso dovere pubblico delle forze politiche.
La Sissco intende seguire poi più dappresso le modalità di applicazione della direttiva Renzi circa i documenti desecretati, attualmente versati presso l’Archivio Centrale dello Stato. Si ricorda, inoltre, che la Sissco, fin dal settembre 2012, ha aderito alla proposta di adottare un Freedom of information act italiano. L’iniziativa è stata promossa da associazioni di diversa ragione sociale. Come molti soci sapranno l’iniziativa è andata avanti e al momento è stata accolta nella riforma della pubblica amministrazione. Nel mese di agosto sono state assegnate deleghe al governo per emanare, entro sei mesi, un decreto sulla libertà di accesso all’informazione. Attualmente manca la stesura del decreto attuativo. Alcune perplessità nascono dall’attuale art. 5 in cui è scritto: “Decorsi inutilmente trenta giorni dalla ricezione della richiesta di accesso da parte dell’amministrazione, questa si intende respinta”. Si fa strada, insomma una modalità anomala del silenzio-dissenso, mentre in caso di rigetto, la Pubblica amministrazione dovrebbe motivare le ragioni della negazione all’accesso. Si tratta di una incongruità rispetto al resto del decreto che dovrebbe suggerire un ripensamento. Infine, si sta seguendo con attenzione il disegno di legge che consente la libera riproduzione di documentazione presso archivi e biblioteche pubbliche.
Immagine di apertura: ALA, New York Library, WWI