La notizia è che un decreto ministeriale sta per peggiorare, in relazione agli istituti archivistici, la riforma del Ministero che è stata disegnata dal DPCM dell'estate scorsa sotto il perverso vincolo della Spending review, con drastica ulteriore riduzione di risorse dopo anni di disinvestimento, proprio in un settore dove bisognerebbe investire massicciamente per salvare e valorizzare un patrimonio unico al mondo.
Sul DPCM l'associazione degli archivisti ha dato il 24 settembre scorso un giudizio cautamente positivo in relazione specialmente al mantenimento delle Soprintendenze archivistiche, nonostante i ventilati tagli massicci in ordine ai livelli dirigenziali degli istituti del settore archivistico.
La nostra associazione ha il compito di difendere le condizioni di efficacia e di decoro del lavoro degli archivisti, ovunque operanti, e il funzionamento adeguato dell'amministrazione archivistica nelle sue articolazioni centrali e locali non è solo un interesse evidente degli archivisti che in essa lavorano e con essa collaborano, ma è anche un interesse pubblico, in quanto è necessario che il numero e la distribuzione delle sedi degli istituti e uffici archivistici di livello dirigenziale sia adeguato ai compiti che deve svolgere. Infatti nella organizzazione attuale della pubblica amministrazione italiana al dirigente sono riconosciuti ambiti di autonomia decisionale e di spesa che non sono possibili per un semplice funzionario, inoltre la presenza di un dirigente costituisce una spesso insostituibile risorsa operativa.
Le dichiarazioni del Ministro (26 luglio a La Stampa) facevano sperare in un atteggiamento meno punitivo verso un settore dei Beni Culturali, decisivo per la tutela e la valorizzazione di tutte le tipologie di beni, per la riflessione critica sulla memoria della comunità e per la difesa dei diritti testimoniati nei documenti con valore giuridico.
La bozza di decreto ministeriale in preparazione contiene invece alcuni micidiali colpi per il settore degli archivi, già pesantemente depauperato da anni di tagli che hanno ridotto i 70 posti dirigenziali dell’anno 2000 ai 41 attuali.
La bozza di DM prevede infatti di scendere ancora radicalmente da 41 a 22 posti, con un taglio del 48%, più che raddoppiato a fronte dell’obbligo di riduzione del 20% contenuto nella Spending review. Appare deprecabile ad esempio portare a due soli Servizi la Direzione Generale degli archivi (come peraltro anche le altre direzioni di carattere tecnico-scientifico, cui sono equiparate Cinema e Spettacolo che si limitano essenzialmente alla distribuzione di incentivi, mentre maggiori sono i posti dirigenziali assegnati alle direzioni di tipo amministrativo).
La bozza del DM prevede altresì che in talune importanti sedi allo stesso dirigente vengano conferite la direzione dell’Archivio di Stato e la Sovrintendenza per la tutela degli archivi non statali: vi si stabilisce, infatti, che i direttori degli Archivi di Stato di Torino, Genova, Bologna e Palermo svolgano anche funzioni di soprintendente. Tale accorpamento è soluzione da considerarsi deleteria perché nelle città sedi di Archivi con grandi tradizioni storiche e grandi masse documentarie (un esempio lampante è Torino, prima capitale dell’Italia unificata, 13 secoli di accumulo documentario e 83 km lineari di scaffali, con intense attività di acquisizione di archivi contemporanei) risulta velleitario svolgere correttamente le due delicate e impegnative funzioni, ove siano concentrate nella stessa persona. Il DPCM di cui il decreto è l’attuazione prevede d’altra parte che archivi di Stato e soprintendenze archivistiche sono organi distinti ovunque e non consente quindi tali accorpamenti; ciò fa presumere che il DM possa essere anche impugnato sotto tale profilo per mancanza di fondamento giuridico nella norma di livello superiore. Il nodo cruciale, infatti, è quello di tenere distinto il concetto di dirigenza dal concetto di direzione: le due funzioni di soprintendente e di direttore d’archivio di Stato debbono rimanere affidate a persone diverse, in grado di dedicarsi completamente alla loro specifica funzione, anche nel caso in cui non fosse possibile garantire il livello dirigenziale dell’Archivio di Stato. Al funzionario cui fosse attribuito un incarico già di livello dirigenziale sarebbe evidentemente giusto riconoscere adeguate indennità di funzione.
Il timore è però che si voglia aprire la strada a tagli ulteriori da estendere progressivamente ad altre regioni, poiché l’art. 3, c.4 del DM prevede la possibilità di “accorpamento di istituti e luoghi della cultura, quali musei, archivi e biblioteche, operanti nel territorio del medesimo comune”.
DPCM e DM sembrano sposare per gli archivi una strategia di drastico ridimensionamento, opposta a quella seguita per il settore Arti, dove risultano invece assai moltiplicate le strutture dirigenziali museali, a fronte del caso eclatante della soppressione delle soprintendenze ai beni storico-artistici.
Le novità sono davvero scoraggianti poichè in controtendenza ai segnali di voler difendere, se non già potenziare, una rete preziosa e omogenea di autonome soprintendenze archivistiche addette alla tutela e un complesso non meno prezioso di grandi istituti culturali di conservazione e valorizzazione degli archivi.
Alla luce di tali sviluppi recenti, nell’ambito della comunità professionale taluni si domandano se abbia ancora un senso che l’Amministrazione archivistica rimanga all’interno di un Ministero che per anni sembra averla sopportata a stento riducendone progressivamente le risorse di personale dirigenziale e tecnico e quelle economiche ad essa necessarie, viste come lussi superflui e contate con il contagocce. In tale contesto ministeriale peraltro non si è mai potuta sviluppare adeguatamente nemmeno l’altra metà del lavoro degli archivisti, che attiene al controllo degli archivi in via di formazione, ormai prevalentemente su supporti elettronici, con i loro problemi organizzativi, concettuali, giuridici, tecnologici, di trasparenza e riservatezza, di selezione razionale e di conservazione temporanea o illimitata e di garanzie di imparzialità nell’accesso.
Con che cosa si possono fare infatti le politiche di Open data, la tutela della privacy, le riflessioni di lungo periodo sui maggiori problemi politici e sociali (come affrontare l’immigrazione o la fuga dei cervelli o la corruzione senza conoscerne i dati?), economici (niente da imparare dalla crisi del rapporto tra finanza ed economia reale?) e ambientali (siamo sempre stupiti che i disastri si ripetano negli stessi luoghi?), se non con archivi correttamente cioè professionalmente prodotti, gestiti, selezionati e conservati per rimanere accessibili in modo affidabile?
Roma, 24 novembre 2014
Approvato a maggioranza dal Consiglio direttivo nazionale dell’ANAI