Venerdì, 31 Maggio 2013

Note per una politica dei beni culturali

Marco Carassi, Presidente Anai
Sezione Primo piano

Note per una politica dei beni culturali, aprile 2013 

1. Per far fronte alla situazione di degrado in cui si trovano il patrimonio culturale italiano e le strutture destinate alla sua tutela, risultano urgenti iniziative di carattere politico e normativo. E’ necessario che le strutture del Mibac siano affidate a personalità di alto profilo che intendano dedicarsi pienamente alla cura di questo settore. I direttori generali, di cui si dovrebbe garantire a priori che siano tecnici competenti e personalità integerrime, dovrebbero avere maggiore stabilità e durata nelle rispettive cariche, per non dipendere troppo dagli andamenti sussultori della politica e per poter lavorare su progetti di lungo periodo. Questo richiederebbe, almeno per il settore dei Beni Culturali, una revisione della normativa in tema di spoil system, che ha minato l’autonomia scientifica e operativa dei dirigenti tecnici anche a livello periferico, con effetti deleteri sul corretto svolgimento delle funzioni istituzionali. 

2. Occorre con urgenza garantire un regolare ricambio generazionale ricominciando ad assumere personale mediante concorsi rigorosi e severi, tenendo presente che la disponibilità di adeguato personale scientifico negli istituti centrali e periferici del Mibac fornisce un volano moltiplicatore per attività di conoscenza, tutela e fruizione dei beni sul territorio. Ciò consentirà di evitare che l’attività istituzionale sia prevalentemente affidata a personale precario esterno, pur talora indispensabile per interventi specifici. Il Mibac è in via di estinzione a causa della politica perseguita nell’ultimo ventennio di non assumere personale (o assumerne con il contagocce), mentre si largheggiava in consulenze esterne e nell’utilizzo di lavoro precario. Questa politica ha favorito sprechi e clientelismi, ha prodotto sfruttamento, ha messo l’Amministrazione nella situazione di utilizzare progetti temporanei che in realtà mascheravano lavoro parasubordinato e determinavano periodicamente la dissipazione di un prezioso patrimonio di esperienze e conoscenze. 

3. Malgrado la presente situazione di grave difficoltà economica del Paese, poichè i Beni Culturali sono una risorsa insostituibile e non delocalizzabile che rende l’Italia senza paragoni al mondo, occorre aumentare e rimodulare il finanziamento per le attività di tutela e conservazione di tale patrimonio, presupposto indispensabile per il miglioramento della loro fruizione. Come noto, le risorse finanziarie del Ministero sono state tagliate brutalmente negli ultimi dodici anni, tanto da rendere in molti casi impossibile assolvere ai compiti istituzionali. Ma oltre al taglio delle risorse, ciò che ha messo in ginocchio gli istituti tecnici del Ministero è la volatilità e l’incertezza dei finanziamenti (non si sa in tempi utili di quanti fondi si potrà disporre e quindi non si ha la possibilità di programmare). L’accreditamento agli istituti periferici del Ministero ormai spesso avviene in autunno, mettendo gli istituti nell’impossibilità di utilizzare i pochi fondi assegnati, che per questo motivo spesso finiscono in perenzione. Il luogo comune secondo cui i finanziamenti ordinari sono improduttivi, mentre solo i fondi straordinari permettono investimenti produttivi è falso.  L’esperienza insegna che i finanziamenti straordinari sono stati fonte di colossali sprechi, mentre i finanziamenti ordinari vengono in genere oculatamente utilizzati per attività di tutela. I beni culturali si salvaguardano con una efficace manutenzione ordinaria dei beni e con una continua attività di studio e ispezione sul territorio, peraltro poco costosa. Va rivalutata inoltre l’importanza delle risorse per la gestione corrente degli istituti culturali, che in tempi di crisi costituisce investimento per il futuro. 

4. Risparmiare è possibile, se si mette in campo una energica politica di riallocazione delle sedi. Attualmente, ad esempio, la Direzione generale per gli archivi e gli istituti che da essa dipendono (Archivi di Stato, Soprintendenze archivistiche, Archivio centrale dello Stato e Istituto centrale per gli archivi) spendono  complessivamente circa 20 milioni di euro l’anno in affitti (si tratta di circa i 4/5 dell’intero budget annuale dell’Amministrazione archivistica). Negli ultimi anni si è molto parlato di dismissione del patrimonio immobiliare pubblico, come mezzo per risanare le finanze pubbliche: con le dovute eccezioni, ciò rischia di essere una occasione di lauti affari per grandi immobiliaristi e un pessimo affare per la Pubblica amministrazione, posto che molti uffici pubblici hanno sede in edifici che sono proprietà di privati. Si pensi che l’Archivio centrale dello Stato paga 5 milioni di euro l’anno di affitto. L’Amministrazione archivistica negli ultimi anni, per acquisire nuovi depositi non troppo costosi, ha dovuto prendere in affitto magazzini in località decentrate. Senza creare una rigida regola generale, occorrerebbe verificare in quali casi concreti sarebbe utile ed economico creare dei poli archivistici, incentivando i soggetti diversi che intendessero mettere in comune risorse edilizie, finanziarie ed umane per conservare correttamente grandi archivi storici o di deposito. Gli Archivi di Stato potrebbero sovente proporsi come il fattore decisivo in tali progetti, ipotizzabili forse anche mettendo in rete più sedi aperte a turno. Certo occorre incentivare la massima collaborazione tra persone, istituti e amministrazioni diverse in base a criteri di funzionalità, autonomia e complementarietà, in un quadro programmatico concordato. 

5. Altri risparmi possibili potrebbero derivare al Ministero dall’assunzione di informatici che acquisiscano una specializzazione nello sviluppo dei sistemi informativi archivistici. Per lo sviluppo dei sistemi informativi sono stati spesi milioni di euro, senza che l’amministrazione avesse esperti interni che le dessero la capacità di contrattare adeguatamente e controllare la qualità dei prodotti e dei servizi. Risparmi e razionalizzazioni potrebbero derivare dall’istituzione di depositi pubblici consortili di archivi digitali, cui versare in tempi brevi enormi quantità di documenti che a distanza di tempo dalla creazione diventano molto difficili da salvare e gestire. Questi versamenti tempestivi fungerebbero anche da copie di sicurezza per i soggetti produttori degli archivi e consentirebbero economie mediante scarti (cancellazioni) più controllati e sicuri. 

6. Sul piano normativo una riforma a costo zero che potrebbe migliorare la produzione, gestione e conservazione degli archivi della PA ex art. 61 DPR 445/2000, sarebbe l’inserimento obbligatorio, in ogni bando di selezione del personale pubblico impiegatizio e dirigenziale, della materia “Organizzazione e gestione dell’archivio pubblico come risorsa per l’efficienza amministrativa, l’economicità, la trasparenza, la tutela dei diritti e della testimonianza storica”. Effetti positivi potrebbero derivare anche dall’inserimento del tema tra gli obiettivi di tutti i dirigenti della PA. 

7. È necessaria una riforma del Ministero di ampio respiro, che valorizzi le competenze tecniche; per idearla è necessario un ampio scambio di idee che coinvolga i tecnici del Ministero, esperti esterni e le associazioni che rappresentano il mondo dell’utenza. L’esperienza insegna che le riforme (1998, 2004, 2007, 2009) partorite nel chiuso di qualche ufficio legislativo, rifiutando qualsiasi forma di dibattito pubblico, producono guasti che non sono più ammissibili. È necessario ricostituire i comitati tecnico scientifici e riformare il Consiglio nazionale, in modo da farlo essere la sede in cui i migliori tecnici dell’amministrazione, esperti esterni davvero di alto livello, rappresentanti dell’associazionismo del settore e vertici politici collaborino alla elaborazione delle linee di politica culturale del Ministero. Si dovrebbero sfruttare di più anche le consultazioni con le associazioni professionali, che possono segnalare aspetti e considerazioni che la struttura gerarchica non può far giungere con sufficiente franchezza in alto loco. E si dovrebbe comunque dare risposta alle lettere indirizzate al Ministero sulle questioni di sua competenza. 

8. È necessario riconoscere che l’esperienza delle Direzioni regionali Mibac non ha dato i risultati sperati e dovrà essere superata. Le direzioni regionali erano infatti state istituite dopo la riforma costituzionale di decentramento regionale, come interlocutore unico del Mibac in ciascuna regione. Esse però hanno prodotto – oltre a una moltiplicazione a dismisura dei posti da direttore generale – disfunzionalità e inefficienze: i tempi dei procedimenti si sono allungati e gli istituti periferici si trovano a dipendere contemporaneamente da due strutture gerarchiche sovraordinate (direzioni regionali e direzioni generali di settore). Un caso esemplare, in negativo, sono i ritardi talora insostenibili provocati dalla centralizzazione a livello regionale della corresponsione delle indennità accessorie al personale. Un altro grave inconveniente è quello della compressione della autonomia culturale degli istituti da parte di una Direzione locale priva di competenze scientifiche, talora influenzata da consulenti esterni concentrati sull’eco mediatica di tutte le iniziative e non sul lorocontenuto culturale. Ciò non significa che non si debbano utilizzare in comune certi servizi a livello regionale, come potrebbero essere un gruppo di lavoro intersettoriale sulle pratiche di pensione, o un ufficio unico per le gare d’appalto di lavori edilizi. A coordinare quei servizi che risulti effettivamente utile gestire in comune, potrebbe essere scelto in modo automatico (per evitare politicizzazioni) il dirigente più anziano, nel ruolo di presidente di una rinnovata Conferenza dei capi d’istituto. La struttura del Mibac andrebbe comunque burocraticamente semplificata e ripensata in funzione dei mutati assetti dell’amministrazione pubblica. 

9. Occorre ripristinare i consigli d’istituto (organi consultivi all’interno degli istituti periferici) soppressi di fatto dalla normativa emanata dal ministro della funzione pubblica Brunetta. 

10. Per far fronte creativamente anche a problemi nuovi, occorre potenziare la formazione e l’aggiornamento professionale permanente integrando l’indispensabile bagaglio di conoscenze teorico-disciplinare e multidisciplinare, con la messa a frutto del grande patrimonio di esperienza che i migliori operatori hanno accumulato in una vita di lavoro. 

11. Sarebbe peraltro opportuno che il Mibac si facesse carico di una campagna per sviluppare nell’opinione pubblica la consapevolezza che il patrimonio culturale italiano è una risorsa da difendere e rendere correttamente fruibile, innescando meccanismi virtuosi di sussidiarietà e di collaborazione volontaria dei cittadini, senza che ciò costituisca concorrenza con gli operatori professionisti. 

12. Sarebbe assai utile un accordo quadro tra il Mibac e le Autonomie scolastiche per favorire le collaborazioni tra gli istituti periferici del Ministero e gli istituti scolastici ai fini del miglioramento della didattica di molte materie (non solo la storia dell’arte) e per coltivare nelle giovani generazioni una più profonda sensibilità culturale. 

13. Per quanto riguarda in particolare il settore degli archivi, uno dei problemi più evidenti è il rischio della perdita di gran parte della documentazione della seconda metà del Novecento. Occorre affrontare urgentemente il nodo della selezione e conservazione di un patrimonio la cui mole e natura (non solo documenti cartacei, ma fotografie, registrazioni sonore, audiovisivi, documenti informatici) richiede strumenti, strutture e competenze specialistiche e un cospicuo investimento di risorse, che creerebbe occasioni di lavoro. Per tutte le pubbliche amministrazioni sarebbe fonte di risparmio e di razionalizzazione poter fruire del sostegno tecnico disinteressato di Soprintendenze archivistiche e Archivi di Stato nel gestire i propri archivi non solo sotto il profilo della selezione e dello scarto. In materia, sarebbe utile sviluppare la collaborazione (già teoricamente possibile) tra Archivi di Stato e Soprintendenze archivistiche per l’esercizio delle funzioni di vigilanzasorveglianza sugli archivi pubblici e su quelli privati notificati. Pur controllando l’adempimento dell’obbligo di destinare personale stabile e adeguato ai servizi d’archivio di tutte le Pubbliche Amministrazioni, occorrerebbe favorire altresì – con specifiche norme sui rapporti di lavoro e fiscali - l’utilizzo sussidiario degli archivisti libero professionisti, in servizi e progetti cui il singolo Ente non possa far fronte con le risorse interne. 

14. Occorrono strategie ad hoc per la conservazione dei documenti digitali, che stanno via via sostituendo quelli cartacei. Il Mibac deve dotarsi – come in Gran Bretagna l’Archivio Nazionale - delle strutture e del personale per affrontare la conservazione nel lungo periodo di questo patrimonio. Negli anni è stata elaborata una cospicua normativa in materia, in parte confusa e contraddittoria (per certi aspetti lo stesso Codice dell’Amministrazione Digitale), mentre il Mibac rimaneva al di fuori di questo processo, rinunciando al suo ruolo istituzionale di emanare linee guida per la gestione degli archivi digitali. La conservazione dei documenti digitali, come noto, è estremamente complessa, necessita di tecnici di altissima specializzazione, con competenze sia informatiche che archivistiche, nonché strutture di conservazione ad hoc, di cui l’Amministrazione archivistica italiana dispone solo in teoria.

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