Qui di seguito, il testo di un mio articolo scritto insieme alla dottoressa Luisa Bastiani, bibliotecaria e archivista, pubblicato su: Notiziario CNEC. Mensile del Centro Nazionale Economi di Comunità, n. 5, maggio 2013, pp. 13-17.
Con questo articolo si dà l’avvio a una serie di piccole lezioni di archivistica volte ad aiutare gli Istituti religiosi nel compito di gestire, conservare e valorizzare i propri patrimoni documentari.
1. Definizione di archivistica
«Le definizioni sono in genere sempre discutibili, astratte, inevitabilmente riduttive e quindi parzialmente false; ma possono riuscire utili come base per condurre un certo tipo di discorso». Con questa frase Filippo Valenti[1] in uno dei suoi saggi raccolti nella pubblicazione Scritti e lezioni di archivistica, diplomatica e storia istituzionale si riferiva ai numerosi tentativi – compreso il suo – di fornire una definizione del termine «archivio»[2]. Molti, infatti, sono coloro che si sono cimentati in tale ricerca fin da quando la dottrina archivistica ha iniziato a muovere i primi passi. Dare conto di tutte le definizioni che sono state elaborate nel corso dei secoli non è qui possibile e non risponde agli intenti di questo intervento. Tuttavia può riuscire utile «come base per condurre un certo tipo di discorso» dire brevemente che nel termine «archivio» convergono più significati in quanto con esso si indica il complesso dei documenti, il luogo di conservazione degli stessi ed infine anche l’ente o l’istituzione che si occupa della loro tenuta. Soffermandoci per ora sul primo dei tre aspetti diremo, parafrasando e sintetizzando alcune delle definizioni più note, che un archivio è il complesso dei documenti prodotti e/o acquisiti (in qualsiasi forma, contenuto e supporto materiale) da un ente o un istituto, un individuo o una famiglia durante lo svolgimento delle proprie funzioni e attività e/o per il raggiungimento delle proprie finalità pratiche. Tali documenti, come avremo modo di approfondire meglio nelle prossime lezioni, sono legati da un vincolo necessario che fa sì che ciascun documento assuma un significato ben preciso in funzione del contesto formato dai documenti che lo precedono e che lo seguono. Il «vincolo archivistico» – così si definisce – si esplica in modo naturale e involontario ed è ciò che distingue un archivio da una semplice raccolta di documenti[3].
Con questa definizione abbiamo quindi individuato il principale oggetto di studio dell’archivistica, ma non abbiamo certo esaurito la nostra riflessione su questa disciplina.
Così come per il concetto di «archivio», anche per l’«archivistica» le definizioni si contano numerose e non è semplice trovarne una che non sia in realtà un’accurata descrizione di tutti gli aspetti che riguardano un archivio. Eugenio Casanova, uno dei massimi esponenti dell’archivistica[4], nel redigere il lemma «Archivio e archivistica» per l’Enciclopedia Italiana dice: «il complesso delle norme, che un’esperienza secolare ha suggerito per custodire, ordinare e far funzionare gli archivi, prende il nome di archivistica»[5]. Lo stesso autore nel suo celebre manuale definisce l’archivistica come «scienza degli archivi [...] che non è soltanto la disciplina della tenuta degli archivi, come molti, per non dire tutti, hanno sinora ritenuto, ma quella che abbraccia l’ampissimo campo della costruzione e manutenzione dei locali e della suppellettile racchiusavi, dell’ordinamento di questa suppellettile e della comunicazione di essa nel presente e nel futuro»[6]. Se volessimo qui fornire una sintesi semplice ma efficace diremmo che l’archivistica è quella disciplina che si occupa della natura degli archivi, dei metodi per il loro ordinamento e per la loro corretta conservazione, della loro struttura e funzione, della loro legislazione e storia.
2. Ambiti di applicazione
Tradizionalmente si distinguono all’interno di questa disciplina alcune grandi partizioni anch’esse riscontrabili ed espresse nel sopra citato manuale[7] del Casanova:
- Archivistica pura (o teoria archivistica)
Individua i principi fondamentali della disciplina, definisce i caratteri di un archivio per trarne le norme e le indicazioni per ordinare, conservare e inventariare nel modo più corretto possibile la documentazione, definisce le fasi di vita di un archivio, le sue funzioni e le principali operazioni e attività caratterizzanti ciascuna fase.
- Archiveconomia (o tecnologia archivistica)
Questa branca dell’archivistica affronta i problemi relativi alla conservazione e salvaguardia degli archivi e quindi del patrimonio documentario in essi custodito. Il primo interesse e la principale attenzione dell’archiveconomia riguarda l’edilizia archivistica, cioè la progettazione di strutture destinate ad accogliere un archivio, oppure, come accade frequentemente in Italia, l’adattamento a sede di archivio di immobili – spesso storici – nati per altri scopi. Oltre all’aspetto progettuale, l’archiveconomia si occupa anche dell’individuazione dei mezzi migliori per la manutenzione dei locali di un archivio e conseguentemente fornisce le principali regole da seguire circa l’arredamento (scaffalature), gli impianti di sicurezza e condizionamento, la salvaguardia da agenti esterni (biologici e chimici) che possano provocare danni alla documentazione.
- Legislazione archivistica (archivistica giuridica)
Come facilmente intuibile questa branca dell’archivistica si occupa del corpo legislativo che riguarda gli archivi ma anche gli enti che sono preposti alla loro tutela e conservazione. È importante sottolineare che nella normativa italiana in materia di archivi, soprattutto negli ultimi anni, si è accentuato un doppio filone – non sempre ben distinto – che vede da una parte le norme che riguardano gli archivi intesi soprattutto come «bene culturale»[8] e norme invece che regolamentano la formazione e gestione degli archivi correnti. La larga introduzione delle nuove tecnologie della comunicazione e dell’informazione ha inciso sulle modalità di accesso alle fonti tradizionali e ha aperto nuove prospettive che, non senza difficoltà e criticità, ci ha condotti progressivamente da una gestione informatica dei documenti alla produzione diretta (e di conseguenza alla gestione e conservazione) di documenti nativi informatici.
Concludendo la disamina delle aree di intervento dell’archivistica non possiamo tralasciare altre due branche molto importanti di questa disciplina e – vedremo perché – strettamente connesse tra loro. Si tratta della Storia dell’archivistica e dell’Archivistica speciale. Prima di lasciare spazio alla successiva e più ampia trattazione sull’argomento, diremo che la storia dell’archivistica concentra la sua analisi sulle riflessioni teoriche e metodologiche relative alla gestione e tenuta degli archivi che si sono susseguite nel corso dei secoli. Come vedremo i principi teorici sulla base dei quali sono state eseguite, negli archivi, operazioni di ordinamento sono mutati nel tempo riflettendo l’epoca che li ha prodotti. Cito come unico esempio il «metodo per materia» che si diffuse, non a caso, nel XVIII secolo ispirandosi alla mentalità illuminista e razionalista del periodo. L’applicazione di questo metodo ha purtroppo portato all’alterazione e allo smembramento di interi complessi documentari al fine di poter ricreare un ordinamento allora ritenuto più efficace. Infatti, sulla base di nuove articolazioni create dagli ordinatori dell’epoca la documentazione veniva scompaginata (con relativa perdita di vincolo archivistico) e accorpata in base alla materia senza tener conto della provenienza. In Italia il caso più rilevante di ordinamento per materia è rappresentato dall’Archivio di Stato di Milano presso il quale Luca Peroni, tra il 1798 e il 1832, attuò questo metodo che da lui prese appunto il nome di «peroniano»[9].
Altri metodi sono stati applicati con risultati diversi ma quello ormai universalmente riconosciuto come valido è il «metodo storico», definito tale in Italia da Francesco Bonaini, che prevede la ricostruzione dell’ordine originario delle carte basata su un attento studio del soggetto che le ha prodotte e del contesto storico-istituzionale[10]. In considerazione di questo aspetto si è poi determinato un nuovo approccio alla storia delle istituzioni che ha assunto i lineamenti di una disciplina specifica: l’archivistica speciale. Essa, presente come materia di insegnamento nei corsi universitari e nelle scuole degli Archivi di Stato, studia infatti la storia di un’istituzione rapportata alla documentazione prodotta e conservata. Per dirla con le parole di Lodolini è «la storia delle istituzioni considerate non in se stesse, ma nella traduzione della loro organizzazione e della loro attività in sedimentazione documentaria di serie e fondi di archivio»[11].
3. Cenni storici[12]
Analizzare la storia dell’archivistica può sembrare un semplice esercizio di erudizione storica. Tuttavia, ripercorrere i passi di questa disciplina aiuta a comprendere meglio le attuali teorie archivistiche e il lungo percorso di gestazione. Inoltre potrà far comprendere i numerosi errori commessi nel passato i cui effetti si ritrovano ancora in molti degli archivi ecclesiastici italiani.
3.1 Quando nasce l’archivistica?
La nascita dell’archivistica è immediatamente successiva a quella degli archivi. Come vedremo nei prossimi articoli, gli archivi, a differenza delle biblioteche e dei musei, non nascono per fini storico-culturali (come si pensa comunemente) ma amministrativi. È questo il motivo per cui gli archivi sono addirittura precedenti alla stessa invenzione della scrittura. Un esempio classico in questo senso è il sistema di gestione amministrativa adottato presso alcuni popoli precolombiani costituita da particolari nodi su cordicelle[13]; mentre un altro esempio di area occidentale è costituito dalle cretulae, dei particolari sigilli in creta utilizzati come ricevute per la consegna delle merci[14].
La stessa scrittura, a ben vedere, è nata con fini amministrativi come testimonia il ritrovamento delle tavolette di Ebla[15].
A partire dalla tarda età romana l’archivio venne definito come: «locus in quo acta publica asservantur ut fidem faciant», secondo le definizioni di Servio Mauro e Ulpiano. Questa definizione presenta due aspetti principali:
- pone fortemente l’accento sul luogo fisico di conservazione;
- si considerano archivi solo quelli che conservano la documentazione prodotta da soggetti pubblici (come, ad esempio, la cancelleria imperiale).
Si trovano dunque ad essere esclusi gli archivi prodotti da soggetti privati e persone.
La definizione di Mauro e Ulpiano verrà poi ripresa e lasciata invariata per tutto il Medioevo e la prima Età moderna.
È con il XVI secolo che abbiamo la nascita della moderna disciplina archivistica. Sono tre i principali fattori:
- lo sviluppo delle nuove formazioni statali assolutistiche, fondate su basi patrimoniali e fondiarie, per cui anche il sovrano era tenuto a documentare i propri diritti di esercizio del potere;
- lo sviluppo di una vera e propria burocrazia, con la conseguente produzione di atti e documenti;
- la concentrazione degli archivi. Il sovrano, necessitando di tutta la documentazione dei suoi possessi, procede a farli confluire in un unico luogo di conservazione[16].
3.2 Il XVII secolo e i primi trattati di archivistica
Al XVII secolo risalgono anche i primi trattati “indipendenti” relativi agli archivi. In altre parole fin dal Medioevo si scriveva sugli archivi, ma in trattati di carattere giuridico, proprio perché gli archivi servivano a dimostrare il buon diritto della persona che li possedeva.
Famosi dunque restano i trattati di Baldassarre Bonifacio, De archivis liber singularis (1632)[17], Albertino Barisone, De archivis antiquorum commentarius (concluso nel 1636, ma pubblicato solo nel 1737) e Nicolò Giussani, Methodus archiviorum (1684)[18]. In questi trattati si nota un primo cambiamento nel considerare oltre agli archivi pubblici anche quelli privati e, altro aspetto interessante, l’importanza anche storica delle carte conservate negli archivi. In ogni caso è importante sottolineare come ancora in questa fase si consideri l’archivio come luogo fisico o ente di conservazione e mai come complesso documentale, in quanto ogni documento ha valore di per sé e non in relazione agli altri, come particolare certificazione di un diritto o di un possesso.
3.3 Il XVIII secolo e la Rivoluzione francese
Con il XVIII secolo si accentua l’attenzione per il valore storico della documentazione. Nel 1747, ad esempio, il benedettino Oliver Legipont nel suo Dissertationes philologico-bibliographicae scriveva che i documenti d’archivio fungono sia da armi legali per la difesa dei diritti, sia per conservare la memoria delle res gestae.
Inizia inoltre a farsi strada l’idea dell’archivio come insieme dei documenti e non soltanto come luogo fisico di conservazione.
Sulla scorta dell’illuminismo e del positivismo e, soprattutto, sulla classificazione delle scienze elaborata da Linneo, si sviluppò il cosiddetto «ordinamento per materia», per mezzo del quale si procedeva al riordinamento dell’archivio secondo uno schema precostituito di materie ritenute importanti per le ricerche storiche. Nei casi estremi di applicazione di questo metodo i documenti che non rientravano nello schema elaborato dagli archivisti venivano scartati.
Con la Rivoluzione francese si ebbe un salto di qualità, in seguito ai bruschi mutamenti di istituzioni che portarono a:
- l’affermarsi della convinzione che gli archivi dell’Ancien régime non avessero più valore pratico ma storico;
- la libera consultazione degli archivi pubblici (a partire dal 25 giugno 1794), con la conseguente necessità dell’ordinamento degli archivi e di strutture di ricerca;
- un’ulteriore fase di concentrazione della documentazione con la creazione degli archivi nazionali e dipartimentali (soprattutto durante il periodo napoleonico quando si portarono a Parigi tutti gli archivi delle nazioni conquistate da Bonaparte).
Soprattutto quest’ultimo aspetto generò numerosi scompigli tra i documenti e pose il problema dell’ordinamento di carte tanto eterogenee. Tuttavia, nonostante le importanti novità e sollecitazioni, non vi fu un effettivo rinnovarsi dei metodi di ordinamento, che rimasero gli stessi visti in precedenza e che portarono all’elaborazione dei quadri di classificazione, una griglia di materie precostituite in cui venivano fatti confluire forzatamente i documenti senza nessuna considerazione per gli archivi originari e per il particolare legame tra un documento e l’altro.
3.4 Il XIX secolo: rispetto dei fondi, principio di provenienza e metodo storico
Frattanto andava aumentando l’attenzione degli storici per la consultazione della documentazione d’archivio. Tale consultazione, che poneva sempre più in evidenza le esigenze di un corretto ordinamento delle carte, portò a riflettere in modo nuovo, soprattutto in Francia, Germania e Italia, sui metodi usati fino a quel momento.
In Francia si affermò così il principio del «rispetto dei fondi»[19]. Tale principio si limitava a proibire che le carte di diversi archivi venissero mescolate fra di loro, ma non vietava che all’interno di ciascun fondo potessero essere applicati i quadri di classificazione. Di conseguenza le carte venivano comunque disordinate (anche se per singoli fondi).
In Germania, le riflessioni teoriche portarono allo sviluppo del cosiddetto: «principio di provenienza». In questo caso non solo non si devono mischiare i documenti di fondi diversi ma, inoltre, il fondo deve essere mantenuto così come fu prodotto dall’ente originario. Anzi, dove possibile, si dovrebbe addirittura ripristinare l’ordine originale.
Anche l’Italia non mancò di portare il suo personale apporto con la teorizzazione del «metodo storico o interiore»; il cui principale fautore fu Francesco Bonaini (1806-1874; soprintendente agli archivi toscani dal 1852)[20], il quale lo elaborò a partire dal «principio di provenienza».
Bonaini non scrisse nessuna opera teorica, ma lasciò diverse tracce delle sue teorizzazioni nei suoi carteggi e relazioni[21]. Una di queste ultime, in particolare, inviata al Ministero della Pubblica Istruzione nel 1867, ci mostra chiaramente il suo pensiero, secondo cui non esiste un ordinamento prefabbricato da applicarsi ad un archivio, ma di deve presupporre un ordine originario. Da questo possono dunque ricavarsi tre regole principali:
- rispettare l’ordinamento (ricavandolo dalla medesima documentazione);
- ristabilire l’ordinamento dove alterato (si esclude così il preconcetto di preordinamento);
- più che fare elucubrazioni su delle regole, si guardi piuttosto alla storia dell’istituzione.
Nell’ottica del Bonaini, dunque, l’archivistica si configura come «scienza positiva», basata sull’esperienza pratica «applicata con senno». Ciò significa che entrati in archivio, non si cercheranno le materie, ma le istituzioni.
È nel XIX secolo, infine, che nascono e si diffondono in Europa le prime scuole d’archivio[22].
3.5 1898: Il Manuale degli Olandesi
Nel 1898 fu pubblicato il cosiddettoManuale degli Olandesi[23], il primo manuale di archivistica, nato dalle discussioni tra l’associazione degli archivisti olandesi e l’amministrazione archivistica della medesima nazione.
Nell’impostazione degli Olandesi l’archivio è considerato come un tutto organico che riflette la storia e le competenze dell’ente produttore. L’ordinamento deve essere condotto su base originaria, individuando e rispettando la stretta connessione tra l’ordine delle carte e l’istituzione che ha prodotto tale ordine. Ciò significa che devono essere considerate anzitutto le esigenze archivistiche, quindi quelle storiche. L’ordinamento, inoltre, non deve essere effettuato sulla base di una griglia di materie precostituita.
3.6 Il XX secolo: Eugenio Casanova e Giorgio Cencetti
Il XX secolo per l’Italia fu estremamente prolifico dal punto di vista della teorizzazione archivistica, al punto che presentarne un profilo completo non è possibile in questa sede. Per questo si sono scelti due tra i nomi che hanno maggiormente contribuito a rilanciare la teorizzazione archivistica.
Il primo è Eugenio Casanova (1867-1951) considerato, insieme al Bonaini, uno dei padri dell’archivistica italiana[24]. Casanova, tra il 1925 e il 1935, insegnò Archivistica nella facoltà di scienze politiche e in questo ambito, nel 1928, fu pubblicato il suo manuale:Archivistica[25], che rimane un caposaldo per l’archivistica italiana. Il manuale, suddiviso in tre parti, è scorrevole e piacevole da leggere, in quanto corredato da numerosi esempi pratici. Tra i suoi asserti spicca, in particolare, la critica ai vecchi metodi di ordinamento, il cui limite è visto nelle singole soggettività che non possono ipotizzare tutti i possibili futuri rami delle ricerche. Inoltre, se si rompe il vincolo, i documenti perdono la loro importanza, perché la ragion d’essere del documento è nell’archivio stesso.
Successiva di pochi anni è la riflessione di Giorgio Cencetti (1908-1970)[26], il quale nel suo celebre articolo: L’archivio come universitas rerum[27], osservò come fosse il vincolo a tenere insieme tutto l’archivio. Le sue conclusioni sono tuttavia estreme, arrivando ad affermare che l’ordinamento non costituisce un problema, in quanto sono le stesse carte ad ordinarsi da sé. Tuttavia, le sue argomentazioni sono pura teoria; infatti che le carte si ordinino da sé non è sempre possibile, se non presupponendo che l’attività dell’ente abbia prodotto un unico e un solo ordine. Per questo alcuni archivisti, come Claudio Pavone e Filippo Valenti, affermarono che ogni archivio abbia un proprio ordinamento particolare e che possa essere cambiato dall’ente produttore, senza contare, inoltre, le vicende storiche che possono influire sull’ordine della documentazione. Cencetti ebbe comunque il merito non solo di estendere l’archivistica alla storia delle istituzioni, analizzate partendo dalla loro documentazione (dando origine alla cosiddetta archivistica speciale), ma di dare una rinnovata spinta alla teorizzazione archivistica in Italia.
[1] Filippo Valenti è stato uno degli studiosi di paleografia e diplomatica più importanti del secolo XX. Fondamentale è stato il suo apporto ad un’evoluzione teorica dell’archivistica italiana.
[2] F. Valenti, Nozioni di base per un ‘archivistica come euristica delle fonti documentarie in Id., Scritti e lezioni di archivistica, diplomatica e storia istituzionale, a cura di D. Grana, Ministero per i Beni e le Attività Culturali – Ufficio Centrale per i Beni Archivistici, Roma, 2000, p. 150.
[3] Si forniscono alcuni riferimenti bibliografici per un excursus sull’argomento: oltre al già citato F. Valenti, Scritti e lezioni di archivistica, diplomatica e storia istituzionale, E. Lodolini, Archivistica. Principi e problemi, Franco Angeli, Milano, 2002; A. Romiti,Archivistica generale. Primi elementi, Civita editoriale, Torre del Lago-Lucca, 2002; G. Plessi, Compendio di archivistica, Clueb, Bologna, 1990; P. Carucci, Le fonti archivistiche: ordinamento e conservazione, Carocci, Roma 1998; P. Carucci – M. Guercio, Manuale di archivistica, Carocci Roma, 2010.
[4] Per un profilo su Eugenio Casanova cfr. infra la nota 24.
[5] E. Casanova, «Archivio e archivistica» in Enciclopedia Italiana di scienze, lettere ed arti, Istituto dell’Enciclopedia Italiana (fondata da Giovanni Treccani), 1949, Vol. IV, p.8.
[6] E. Casanova, Archivistica, Siena 1928, p. 24 (il testo è consultabile all’indirizzohttp://www.icar.beniculturali.it/biblio/_view_volume.asp?ID_VOLUME=53).
[7] E. Casanova, Archivistica, cit. pp. 25-26.
[8] Cfr. il Codice dei beni culturali e del paesaggio, emanato con decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni.
[9] Si veda per approfondimenti M. B. Bertini, Che cos’è un archivio, Carocci, Roma, 2008, pp. 53 e segg; P. Carucci – M. Guercio, Manuale di archivistica, cit. p. 70.
[10] Sugli «ordinamenti per materia» e il «metodo storico» del Bonaini si veda più avanti il paragrafo: Il XIX secolo: rispetto dei fondi, principio di provenienza e metodo storico.
[11] E. Lodolini, Archivistica. Principi e problemi, cit. p. 22.
[12] Data lo spazio limitato ci si limiterà a fornire dei cenni sulla storia. Per chi volesse approfondire il principale testo di riferimento è: E. Lodolini, Lineamenti di storia dell’archivistica italiana: dalle origini alla metà del secolo XX, Milano 2010.
[13] E. Lodolini, Archivistica. Principi e problemi, cit. p. 16.
[14] Ibidem, p. 15, n. 8.
[16] In questo senso l’esempio più famoso è la costituzione dell’Archivio segreto vaticano nel 1612 ad opera di papa Paolo V Borghese, il quale volle che fosse riunita in un unico luogo di conservazione tutta la documentazione prima dislocata tra la Biblioteca vaticana, la Camera apostolica e Castes Sant’Angelo (cfr.http://www.archiviosegretovaticano.va/archivio/note-storiche/).
[17] Cfr. L. Sandri, «Il De archivis di Baldassarre Bonifacio» in Notizie degli Archivi di Stato, anno X (1950), pp. 95-111; consultabile online al seguente indirizzo:http://www.icar.beniculturali.it/biblio/pdf/DeArchivis/DeArchivis.pdf.
[18] Cfr. L. Sandri, «Nicolò Giussani ed il suo “Methodus archivorum seu modus eadem texendi ac disponendi”» in Bullettino dell’Archivio paleografico italiano, n.s. II-III (1956-1957), parte II, pp.329-335.
[19] Con fondo archivistico si intende l’archivio inteso come complesso documentario così come abbiamo visto all’inizio dell’articolo.
[20] Per un profilo biografico si veda la voce: «Bonaini, Francesco» del Dizionario biografico degli Italiani al seguente indirizzo:http://www.treccani.it/enciclopedia/francesco-bonaini/.
[21] Pubblicati al seguente indirizzo:http://www.icar.beniculturali.it/biblio/_view_volume.asp?ID_VOLUME=49.
[22] In realtà cattedre di archivistica e insegnamenti negli archivi erano già stati avviati nel corso del XVIII secolo, ma è solo con il XIX secolo che sorgeranno le vere e proprie istituzioni di insegnamento, tutt’oggi attive, come: la Scuola dell’Archivio di Stato di Napoli (1811), la Scuola di archivistica di Monaco di Baviera (1821), l’Ecole des chartes (1821) fino alla Scuola di Paleografia, diplomatica e archivistica vaticana (1884).
[23] S. Muller, J.A. Feith, R. Fruin, Ordinamento e inventario degli archivi, Torino 1908, consultabile online al seguente indirizzo:http://www.icar.beniculturali.it/biblio/_view_volume.asp?ID_VOLUME=50.
[24] Casanova curò la redazione della prima guida generale degli Archivi di Stato (1910) e fu il rappresentante italiano al Primo Congresso Internazionale di Archivisti e Bibliotecari a Bruxelles. Egli fu inoltre Direttore dell’Archivio di Stato di Napoli, in cui procedette a un radicale riordinamento, correggendo gli errori fatti in precedenza (soprattutto per quanto riguarda le divisioni per materie). Ebbe uno spiccato interesse per la diplomatica e la paleografia, auspicandone l’inserimento nelle facoltà giuridiche. Egli, inoltre, propose una maggior cura per l’insegnamento dell’archivistica, in quanto funzionale al corretto svolgersi del lavoro dei funzionari. Casanova fu il fondatore della prima rivista di archivistica nazionale, aprendo la strada del confronto e del contatto tra gli archivisti, per un progresso positivo. L’assoluta libertà d’opinione e la promozione di una società nazionale di archivistica trovarono l’opposizione del fascismo e fu bollato da Nitti e Giolitti come “sindacalista”. Per un profilo biografico si veda la voce: «Casanova, Eugenio» sul Dizionario biografico degli Italiani al seguente indirizzo:http://www.treccani.it/enciclopedia/eugenio-casanova_(Dizionario-Biografico)/.
[25] Cfr. nota 6.
[26] Direttore dell’Archivio di Stato di Bologna. Nel 1951 ottenne una cattedra universitaria e negli anni ’60 insegnò presso la Scuola Speciale per Archivisti e Bibliotecari. Scrisse innumerevoli articoli che, sebbene oggi superati, sono stati fondamentali per l’evoluzione della teoria archivistica in Italia. Per un profilo biografico si veda la voce: «Cencetti, Giorgio» sul Dizionario biografico degli Italiani al seguente indirizzo:http://www.treccani.it/enciclopedia/giorgio-cencetti/.
[27] Scaricabile al seguente indirizzo:http://www.icar.beniculturali.it/biblio/pdf/articoli/univarc.PDF.