Giovedì, 27 Marzo 2014

"Crescere che avventura". Il report del convegno MAB a Firenze

Cristina Tani
Sezione Attività

Il 7 febbraio scorso ha avuto luogo nel salone Brunelleschi dell'Istituto degli Innocenti di Firenze il convegno Musei, Archivi, Biblioteche. Raccontare il passato, capire il presente, immaginare il futuro, a conclusione del lavoro triennale di studio e di valorizzazione del patrimonio culturale dell’Istituto relativo al progetto Crescere che avventura.

 Il convegno ha messo a confronto linguaggi eterogenei: progetti artistici, educativi e di comunicazione che hanno in comune l'uso di materiali storici di varia natura per raccontare la Storia e le storie personali, in una narrazione capace di fornire chiavi di lettura del presente. In particolare si trattava delle storie dei ‘nocentini’, circa 500.000 bambini in quasi sei secoli.

La realizzazione del progetto è stata resa possibile dal contributo offerto dalla Fondazione Telecom sulla base di un bando del 2010 rivolto ai "luoghi invisibili”, suddiviso in tre settori, tra i quali quello relativo ai beni culturali. In apertura i saluti dell’assessore alla cultura del Comune di Firenze, la dott.ssa Cristina Giachi.

Il  presidente dell’ANAI, dottor Marco Carassi, ha sottolineato la dimensione pubblica del patrimonio culturale, evidenziando il concetto che coloro che perdono gli archivi "vivono sepolti nel presente". La problematica principale collegata agli archivi è quella della  consultabilità, che richiede non solo strumenti adatti e una discreta organizzazione, ma soprattutto la presenza degli archivisti. Ricorrendo ad una metafora ha assimilato gli archivi a dei vetri antichi dai quali vedere il passato: questi vetri possono essere deformati e soltanto con l’aiuto di uno studioso è possibile decifrarli, andando oltre il livello letterale. Inoltre il passato, risorsa sottovalutata,  è un deposito di storia della vita: studiare il passato vuol dire affrontare la questione delle trasformazioni avvenute nel passato, con la consapevolezza che non ogni innovazione è di per se stessa positiva, come osservato argutamente da Bobbio in proposito all’uso della forchetta da parte di cannibali.

Il dottor Carassi ha accennato poi al dibattito sull’utilizzo degli archivi: il passato può essere interrogato in maniera diversa, a seconda della questione esaminata, con un esito utile in una prospettiva di lungo periodo.

Carassi ha concluso il suo intervento riportando la sua esperienza come archivista a Torino, quando ha accolto alcuni studenti tunisini in visita all’Archivio. Gli studenti erano alla ricerca delle loro radici ed avevano  affrontato la questione del rapimento di cittadini italiani da parte di pirati algerini e tunisini nel corso dell’800. All’epoca vi era  un acceso dibattito se fosse giusto prendere i soldi per darli ai pirati per il rilascio dei prigionieri o si dovessero adottare altre misure. Nello specifico furono mostrati agli studenti alcuni documenti, tra cui quello relativo allo sbarco dei bersaglieri  torinesi a Tunisi  per dissuadere il Bey.

E’ poi seguito l’intervento, ricco di dati e di proposte operative, del Prof. Alberto Garlandini, presidente dell’ICOM ITALIA, che ha posto l’accento sul profondo ed epocale cambiamento sociale dei musei e dei loro operatori, cambiamento reso drammatico dalla crisi attuale. La sfida  è verso l’apertura e la tolleranza, contro ogni nazionalismo.  In dieci anni, a partire dal 2003 la società italiana è  divenuta una società di immigrazione. La presenza straniera in Italia risulta abbastanza disomogenea a seconda della zona considerata (Nord, Centro o Sud). Vi sono in Italia 70 matrimoni misti al giorno, questi (1/4 al Nord) costituiscono un decimo del totale, mentre gli studenti stranieri (di cui la metà nativi in Italia) sono in continua crescita.

In questo quadro risulta fondamentale la valorizzazione delle diversità culturali e la promozione dell’interculturalità, occorre cioè prendere in carico le culture degli immigrati al fine di progettare insieme il futuro per poter superare la crisi attuale, che è non solo economica ma anche morale, in quanto mancano punti di riferimento forti.

Altro aspetto rilevante per il mondo della cultura, ha concluso il Prof. Garlandini, è la dematerializzazione,  a tutti i livelli, per democraticizzare in maniera sempre più ampia l’accesso ai beni culturali.

 Ha preso poi  la parola Saverio La Ruinna, l’autore/attore che ha preparato uno spettacolo teatrale, “Italianesi”, sulla base delle carte dell’Archivio dell’Istituto degli Innocenti, in particolare i registri Balie e bambini  (1445-1950), La vicenda riguarda gli italiani tenuti prigionieri in Albania fino al 1991, anno della loro liberazione. In particolare viene affrontato il dramma di un uomo nato da una donna italiana nel 1951, che ha vissuto in prigionia per quarant’anni, prima di approdare alla Terra Promessa, cioè l’Italia, che però lo ha accolto come ‘albanese’.

La Soprintendente archivistica della Toscana, la dott.ssa Diana Toccafondi, in proposito, ha  sottolineato l’interessante passaggio dalle carte al teatro: questo tipo di esperienza  contiene un segreto al pari di una trasmigrazione alchemica, quando cioè la carta diventa parola.

Riprendendo poi il tema degli archivi come beni invisibili, la Soprintendente ha parlato di un "peccato originale" degli archivi, cioè il loro legame con il potere: "Archivio" che per lo storico diventa memoria, distribuita su tre livelli, funeraria, regia ed urbana. La Soprintendente ha poi osservato che oggi siamo di fronte ad un cambiamento dei due poli, potere/archivio: sia per la difficoltà oggettiva di individuare il ‘luogo’ dove risiede il potere, sia perché si è passati da un uso strumentale dell’archivio (‘gestire il potere, arsenale dell’autorità’) ad un archivio non più segreto, bensì aperto, già a partire dalla Rivoluzione francese. Nello stesso tempo non si riesce più a garantire un passaggio/trasmissione generazionale della storia: ciò avviene solo al chiuso, dentro le Università. E in questa iato, storia – comunità, l’archivio ridiventa invisibile e solo il racconto riesce a farlo ridiventare visibile. Questa frattura ci rende ossessionati dalla memorizzazione: non abbiamo la coscienza a posto. Abbiamo perciò il bisogno di ritessere i fili del passato, della tradizione, da tradere, in una dimensione individuale e collettiva, le storie/la storia, entrambi elementi di una circuitazione in cui tutti gli elementi dovrebbero venire in contatto. In tutto questo c’è un rischio: la storia professionale tende ad essere sostituita dalla ‘memoria’, che può essere manipolata, come le nuove identità plurali. Le nostre società, e qui con un espresso riferimento al pensiero di Jacques Revel, sono collezioni di individui in cui la memoria arriva ad avere una valenza singola. In questa prospettiva aprire un archivio non vuol dire giocare al ‘piccolo storico’, ma attivare un processo di identificazione, prendendo una ‘distanza storica’. E la Soprintendente ha concluso con un ricordo di un’esperienza che l’ha vista, come direttrice dell’Archivio di Stato di Prato, attivare un progetto rivolto alle scuole relativo al fondo “Ospedale di gettatelli” in cui i bambini erano chiamati a ricostruire i percorsi mettendo insieme due tessere per ogni singola storia, offerta in esame ai ragazzi, cioè quella iniziale e quella finale.

Particolarmente stimolante è stato il contributo della storica-documentarista di Rai Tre, Vanessa Roghi, curatrice della la serie “Correva l’anno…”, che presenta documentari senza alcun commento, a differenza dell’altra serie analoga “La storia siamo noi”.  La relatrice ha riconosciuto l’efficienza dei nostri archivi, almeno quelli della Rai e quelli dell’Archivio Luce, a differenza di quelli tedeschi (al contrario di quello che comunemente si pensa), almeno di quelli relativi agli audiovisivi sulla medicina nazista, che risultano difficilmente consultabili in quanto privi di strumenti di accesso. La documentarista ha poi affermato che i bambini entrano a scuola con una serie di competenze audio e visive che la scuola non prende in alcuna considerazione, anzi a volte carica di una valenza negativa. Stigmatizzando “l’uso pubblico della storia”, ha fatto presente che la questione dell’invisibilità di alcuni soggetti storici, come, per esempio, le donne, può trovare una risposta negli archivi RAI. 

E’ seguito l’intervento del sociologo Stefano Laffi sul progetto “Il colore della storia” che si avvale dell’opera di giovani per interrogare gli anziani per una raccolta di foto. In ciò una comunità può ritrovarsi e questo ha avuto un valore particolare per quelle comunità con problemi di coesione sociale. E’ sufficiente un container e avere una squadra preparata a questi compiti e i costi sono molto ridotti (v. il caso del MACRO di Roma). I ragazzi imparano a lavorare non sulla memoria ma sulla identità e ciò si rivela particolarmente utile in una società multietnica.

Ricco di prospettive è stato poi l’intervento delle operatrici del progetto Crescere che avventura in relazione alle attività destinate ai più piccoli, 6-13 anni  (progetto Trool) e ai ragazzi più grandi, 16-19 anni  (progetto Ripplemarks, citizen journalism).

E’ stato evidenziato che il ricorso al Web spinge i ragazzi ad un uso corretto delle tecnologie , oltre ad assicurare l’integrità del materiale documentario.Gli scopi principali del progetto sono due:

1.      Educazione al patrimonio documentario, sia come fruitore che come autore.

2.      Educazione ai media, con un approccio critico.

In questo contesto si situa un dato positivo: la  significativa partecipazione dei ragazzi alla mostra “Figli d’Italia” in occasione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, che ha visto la ricostruzione della biografia di quindici ragazzi vissuti in quell’epoca.

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