Abstract
La riforma degli studi nello Stato Pontificio, avviata nel 1816 da papa Pio VII e ultimata nel 1824 da Leone XII con la bolla Quod divina sapientia, aspirava a “confessionalizzare” capillarmente l’istruzione. La problematica dell’ammissione alle università di studenti ebrei e greci acattolici impegna i maggiori prelati competenti negli anni 1824-1828, tuttavia la mancanza di un provvedimento diretto ed esplicito determina nel lontano 1858 il riproporsi della questione, risolta in via definitiva con un drastico decreto che rivela, nell’arco di un trentennio, un tangibile incremento della tradizionale tendenza reazionaria ed autoritaria della classe dirigente pontificia.
The education reform in the Papal States, set in 1816 by Pius VII and completed in 1824 by Leo XII with the papal bull Quod Divina Sapientia, wants to purify the ideology in the public instruction. The matter about admittance of Jewish and non Catholics in universities keeps main prelates busy from 1824 to 1828, but the absence of an immediate and explicit measure causes in 1858 a new proposition of the same problem, finally solved with a drastic ordinance that shows a tangible increase, during thirty years, of the traditional reactionary and authoritarian trend of the papal leadership.
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1. Introduzione
La riforma degli studi nello Stato Pontificio[1], avviata nel 1816 da papa Pio VII e ultimata nel 1824 da Leone XII con la bolla Quod divina sapientia, aspirava a confessionalizzare capillarmente l’istruzione, per favorire l’ortodossia religiosa ed impedire qualsiasi forma di deviazione.
Nell’archivio della Congregazione degli Studi[2] un ampio carteggio[3] focalizza la problematica dell’ammissione alle università di studenti ebrei e greci acattolici. I documenti, nella maggior parte integri e leggibili, riportano i quesiti e le riflessioni di risposta scambiati fra i maggiori prelati competenti, l’arcivescovo di Bologna ed arcicancelliere dell’università card. Carlo Oppizzoni, il prefetto della Congregazione degli Studi card. Francesco Bertazzoli, il card. Emmanuele De Gregorio (in veste di visitatore[4] del suddetto ateneo) e i membri del Sant’Uffizio interpellati in merito. Tuttavia la mancanza di un provvedimento diretto ed esplicito determina il riproporsi della questione negli anni 1824-1828, e quando l’arcivescovo Viale-Prelà, successore dell’Oppizzoni, prenderà in considerazione la stessa problematica nel lontano 1858, dal suo differente punto di vista rileverà che non era stata ancora imposta una norma incontrovertibile che legiferasse sulla possibilità per studenti non cattolici di accedere alle pontificie università e di conseguirvi la laurea. Il decreto definitivo si rivelerà drastico nella sua perentorietà.
2. I decreti del Sant’Uffizio
Nella lettera del 18 ottobre 1824 il De Gregorio riferisce al Bertazzoli la scelta, concordata con l’Oppizzoni, di impedire agli ebrei l’iscrizione all’università bolognese, riconoscendo un grave pericolo nel loro diretto contatto con i cattolici (la città non possedeva un ghetto). Resta invece in sospeso la situazione dei greci, nei cui confronti i due cardinali opterebbero comunque per un provvedimento analogo:
«nell'andare concertando con quest'E[minentissi]mo Arcicancelliere l'occorrente per l'apertura di questa Università adesivamente alla Pontificia Bolla = Quod Divina Sapientia = sono insorti due serii dubbj, se cioè dovevano ammettersi alla medesima gli Ebrei, ed i Greci Scismatici, e Protestanti. Riguardo ai primi hò creduto, che dovesse a starsi, e risolversi per la negativa non essendovi quì Ghetto, e non avendosi a permettere, che giovani Ebrei alloggiassero in Case Cattoliche per due terzi dell'anno, e venissero inoltre muniti di Pagella. Non hò però azzardato di dichiarare altrettanto riguardo ai Scismatici, e Protestanti, non ostante che l'Em[inentissim]o Arcicancelliere propendesse al pari di me per l'esclusiva anche di questi, in riflesso segnatamente di precedenti disordini. Supplico quindi V[ost]ra Em[ine]nza a compiacersi di interpellare sul proposito l'oracolo di N[ostro] S[ignore][5], ed a comunicarmelo con quella sollecitudine, che esiggono le ristrettezze del tempo intermedio all'apertura dell'Università».
Leone XII si avvale del supporto del Sant’Uffizio, dai cui riscontri si evince che già nel 1819 a degli ebrei fu impedito di iscriversi alle scuole pontificie:
«S. Officio 25. 8bre 1824
Dalla Segreteria di Stato era stata rimessa alla S[uprema] C[ongregazione] del S[anto] Officio la petizione di alcuni Ebrei, domiciliati nella legazione di Ravenna, che fosse concesso ai loro figlj frequentare le pubbliche scuole. […]
Fer[ia]. IV. die 12, Januarii 1820. Em[inentissim]i DD. [= Domini] inhaerendo Constitutionibus Apostolicis, et decretis alias latis ab hac S[uprema] C[ongregatione] instantiam rejecerunt[6]».
3. Provvedimenti per ebrei ed eterodossi
Più sottile invece la questione degli acattolici, che verte sul tipo di attestato da rilasciare al termine degli studi: la risposta del Bertazzoli al cardinale visitatore (31 ottobre 1824) sintetizza in quattro punti la normativa da tenere nei loro confronti ed include l’attestato loro riservato:
«1.° In virtù delle deliberazioni prese dalla S. Cong[regazio]ne degli Studj lì 31. del Mese di Ottobre 1824., li Greci non cattolici possono ottenere la matricola di Studenti in questa Università.
2.° A norma degli Articoli 77[7]. e 86[8]. possono i Professori nelle pubbliche Scuole interrogare i suddetti Greci, ed anche indurli a sostenere pubbliche dispute o ad altri analoghi esercizi.
3.° Non sembra quindi disdetto ai medesimi il subire un privato esame in presenza del Rettore, e di quei professori, che egli crederà di chiamarvi.
4.° Subito che abbiano i suddetti Greci quest'Esame lodevolmente, sarà loro permesso di chiedere al Rettore un attestato autentico degli Studi fatti, e del buon esito dell'esame stesso, nè il Rettore dovrà ricusarsi di farlo. I greci eterodossi hanno dunque la possibilità di immatricolarsi e di partecipare alle lezioni secondo le stesse modalità degli altri studenti.
L'attestato potrebbe essere del seguente
Cum Dominus N.N. inter Auditores hujus Universitatis Bononiensis jam ab anno ..... relatus fuerit, in eaque disciplinis operam dederit, quibus Medicinae Theoreticae curriculum continetur nuperrime per Literas mihi significavit nihil vehementius optare, quam ut examini ipsum subjicerem de iis omnibus, quae Medicinam Theoreticam spectant. Quod quidem studiosi juvenis desiderium ,,honestum,, visum est, dignumque propterea ut ei satisfacerem ,,eo magis quod in iis, quae pertinent ad mores, et ad debitam legibus tum Gubernii, tum Universitatis obedientiam nihil in eo animadversione dignum inventum est.,, Congregatis itaque die ..... apud me perillustribus viris, iisque in hac Universitate Medicinae Professoribus DD. [= Dominis] ..... nec non D. [= Domino] N. N. ad palestram vocato, rogavi praedictos Professores, ut de hujusce juvenis in Medicina addiscenda profectu experimentum caperent.
In hoc autem examine subeundo D. [= Dominus] N. N. ita se gessit, ut et in Medicina Theorico practica, et in Patologia, et in Medicina Forensi, et in Pharmacia pratica ect. se apprime instructum esse luculenter ostenderit, et examinatorum omnium laudes promeruerit.
Quae ita esse ut enarravi, omni asseveratione affirmo, atque testor.Datum ex Aedibus Universitatis».
N. N. Rector[9].
4. Lauree conferite ad eterodossi ed ebrei
La Congregazione degli Studi intende ora analizzare i casi, risalenti ad un recente passato, di conferimento della laurea ad ebrei o eterodossi: l’obiettivo è di intessere una coerente argomentazione che impedisca il reiterarsi di simili situazioni. Mons. Giovanni Soglia, segretario sotto la prefettura di Bertazzoli, invia al Sant’Uffizio una nutrita serie di riflessioni (il cui autore rimane avvolto nell’anonimato a causa della mancanza di firme sugli allegati).
«R[everendissi]mo P[adre] M[aurizi]o Olivieri Commissario del S. Offizio
con fogli
Dalla Segreteria della S. Cong'ne degli Studj li 1. Giugno 1825
Il Segretario della S. Congregazione degli Studii ha trasmesso da qualche tempo per ordine della stessa S. Cong[regazio]ne al R[everendissi]mo P[adre] Comm[issa]rio del S[anto] O[ffizio] alcuni Fogli sui documenti di studio, e profitto, richiesti dagli Acattolici, che attendono alle scienze nell'Università dello Stato, e sulla Modula di Laurea in Medicina, che soleva concedersi agli Ebrei nell’Università di Roma. […] Tuttavia attese le indagini, che ho procurato di fare, mi sono giunti alle mani un Voto e due foglj di Riflessioni, che credo opportuno di trasmettere a V[ostra] S[ignoria] Ill[ustrissi]ma per l'uso conveniente».
Il primo allegato[10] concerne la presenza dei greci acattolici nell’ateneo bolognese e il parere qui espresso è favorevole sia all’ammissione sia alla concessione dell’attestato di laurea. Tre gli argomenti a supporto di tale pronunciamento:
«i Giovani Greci vogliono preferire l'Università di Bologna, e vi concorrono in tanto numero che se n'è contati fino a cento in un solo anno. é chiaro l'utile che ne deriva per questo concorso alla città, e come importi forze alla Politica, ed alla Religione del Governo Pontificio che ingegni giovani, e che appartengono alle migliori famiglie della loro patria vadangli debitori della loro educazione. […] Ora questi Studenti si veggono costretti ad abbandonare l'Università di Bologna, perché non possono procacciarsi le onorevoli prove della loro diligenza, e delle loro fatiche. Non si concede ivi la laurea, se innanzi non siasi giurata la Fede Cattolica Romana, secondo che fu prescritto da Pio IV[11]. Veramente nei tempi di questo pontefice la Laurea era cosa d'importanza gravissima, perché dava autorità ai laureati di esercitare liberamente l'arte e la scienza apparata, non che di dettare pubblicamente. Ma dipresente chi ottiene la Laurea di altro non può vantarsi che di un Diploma dottorale segno e premio de' fatti Studj, il quale non è più significante di quello sia un attestato onorifico, o una medaglia. All'esercizio pratico è di necessità un altro esame, il quale si chiama di libera prattica e l'insegnamento è affidato dal Governo solamente a coloro, cui egli stima i migliori. Per la quale diversità potrebbesi riserbare la Professione di Fede Cattolica Romana all'esame di libera prattica, e niun obbligo di essa imporre negli esami di Laurea, di Licenza, e di Baccellierato, anche in questi due ultimi essendo attualmente prescritta. Così facendo, lo Spirito delle Bolle Pontificali sarebbe osservato, e venerato, il Governo vi obbligherebbe la gratitudine della Studiosa greca gioventù, e verrebbe alla Università di Bologna maggiore decoro, e rinomanza».
Essendo numerosi i greci intenzionati a studiare a Bologna, l’università trarrebbe un indiscusso beneficio di carattere economico dalle tasse da loro pagate; in secondo luogo si riconosce il lustro a vantaggio della città procurato dall’abbondare di fiorenti ingegni, prolifici di energie intellettuali, appartenenti oltretutto a famiglie rinomate. La terza ragione tiene conto del cambiamento che ha subito il valore di una laurea dai tempi in cui Pio IV interdisse l’accesso alle università pontificie a tutti coloro che non avessero giurato Fede Cattolica Romana: allora (seconda metà del Cinquecento) la laurea portava con sé l’abilitazione ad insegnare, ora invece si è distinto l’esame per la libera pratica e, posticipando ad esso il vincolo della fede cattolica, i greci acattolici possono comunque essere privati della facoltà d’insegnare (in quanto potenziali diffusori di deviazioni nel credo). Il secondo allegato[12] esamina le circostanze che permisero la concessione di lauree ad alcuni studenti ebrei.
«Interpellato sulla questione, se sia lecito di conferire la Laurea Dottorale dalle nostre Università agli Eterodossi, ed agli Ebrei, risposi negativamente in un mio scritto per la gran ragione, che contenendo la Laurea, oltre il pubblico attestato del merito del Candidato, l'autorizzazione di ascendere le Cattedre, ed insegnare, glossare, interpretare etc. non potevasi conferire a chi erra in Fede una tal facoltà. Convenni peraltro, che potevasi al Candidato Acatolico rilasciare un pubblico, e solenne Attestato delle sua abilità nelle facoltà, dove si era applicato. […] Fu risposto, che sarebbesi potuto tenere il temperamento di conferire la Laurea colla condizione espressa di proibire l'insegnamento. Replicai che non mi sembrava ammissibile il temperamento, […] perché fatta anche la proibizione, questa non potrebbe avere effetto, che nello Stato Pontificio, ed il Laureato Eterodosso, o Ebreo fuori di Stato insegnerebbe in vigore della facoltà accordatagli colla Laurea dalla nostra Università».
Lo scrivente ritiene contradditorio che ad uno studente si conferisca la laurea ma al contempo gli si proibisca di avvalersene per insegnare, tanto più che costui potrebbe emigrare per aggirare l’impedimento ed insegnare altrove.
Si propongono ora degli esempj di Lauree accordate agli Ebrei […] Farò prima alcune riflessioni sul fatto, quindi proporrò dei riflessi diretti a far svanire la forza di questi esempj. […] é degno di attenta osservazione il fatto […] che prima dell'invasione del Governo Francese non esiste affatto in quella[13] Università esempio di Lauree conferite ad Eterodossi, o ad Ebrei = […] I primi esempj di Lauree conferite agli Eterodossi, ed agli Ebrei si videro in quella Università sotto il Governo Francese: Questi esempj eccitarono, ed eccitano gli Eterodossi, e gli Ebrei di tentare la prova per poter conseguire le Lauree anche sotto il ripristinato Pontificio Governo; Agli Eterodossi sono state finora sempre negate, bensì si adducono due esempj di Lauree in Medicina accordate agli Ebrei in essa Università; uno nel 1819. con Pontificio Rescritto all'Ebreo Giuseppe Minzi, e l'altro nel 1820. a favore dell'Ebreo Giacobbe Cevidelli = per estensione del Beneplacito Sovrano anzidetto, (cioè del Rescritto a favore del Minzi)».
La citazione di questi esempi è programmaticamente funzionale a «far svanire la forza» che sembrano possedere. Presso l’università di Bologna alcuni ebrei conseguirono lauree sotto il governo francese, privo di diffidenze verso individui acattolici: si creò così un precedente al quale si appellarono altri studenti sempre invano (se non in due casi grazie al beneplacito papale).
«Esposti così i fatti passiamo a farvi qualche riflesso. Rifletto in primo luogo, che niun esempio si adduce di Lauree accordate agli Eterodossi: Ora domando perché non si sono accordate le Lauree agli Eterodossi? Mi si risponde perché errando essi in Fede, non si sono voluti abilitare al pubblico insegnamento. Ora mi sia lecito di replicare, se non si sono voluti autorizzare gli Eterodossi al pubblico insegnamento, perché si averanno da autorizzare gli Ebrei ad insegnare, ancorché l'insegnamento si restringa tra i soli Ebrei, e nella sola facoltà Medica? L'insegnamento nella facoltà Medica è suscettibile di essere pervertito col potersi insegnare niente meno che il Materialismo […] L'esclusione adunque degli Eterodossi dalla Laurea sembrami che almeno per parità di ragione porti l'esclusione degli Ebrei dalla Laurea anche nella sola Medica facoltà».
Lo scrivente rileva una totale mancanza di laureati eterodossi e interpreta questo dato in sé come un valido argomento per estromettere anche gli ebrei dalla possibilità di laurearsi.
«Vorrebbesi soltanto, che nei casi particolari con Rescritti Pontificj venisse l'Ebreo A, l'Ebreo B. autorizzato a conseguir la Laurea. Ora io dico, che se vogliamo badare agli esempj addotti, non solo converrà autorizzare qualche Ebreo al conseguimento della Laurea, ma bisognerà togliere l'anzidetto divieto dalle nostre Università. A provare questa mia asserzione basta dare un'occhiata alle suppliche, sulle quali sono stati autorizzati gli Ebrei a conseguire la Laurea. Ecco la supplica dell'Ebreo Minzi = Gius.e Minzi di Brescello Ebreo di Religione applicandosi presentemente nella Città di Bologna alle Scienze del corso Medico, desideroso di conseguire in essa Università i Gradi Accademici inclusivamente alla Laurea in detta facoltà umilmente supplica V'ra Santità di volersi degnare di derogare il disposto nella Bolla del pontefice Pio IV. A questa supplica fu fatto il Rescritto di abilitazione alla Laurea. […] Se dunque il solo frequentare l'Università, ed il desiderio di conseguire la Laurea basterà per determinare il papa a derogare alla legge santissima di escludere alla Laurea gli Acattolici, la Legge rimarrà inutile, poiché non vi sarà caso, in cui non si accorderà la dispensa, verificandosi in ciascun supplicante le due condizioni di frequentare l'Università, e di desiderare la Laurea. […] Dunque i citati esempj provano, che si tolga la suddetta Legge proibitiva. Ma questo si chiama un provar troppo, dunque ho avuto ragione di dire, che anche per questo capo gli addotti esempj provano troppo. Non avendo dunque alcuna forza gli addotti esempj pel grande assioma che nulla prova chi troppo prova restano in pieno vigore le ragioni di sopra accennate per non autorizzare gli Acattolici al pubblico insegnamento, che è quanto dire per escludere gli Acattolici dal conseguimento della Laurea».
La frequenza ai corsi e il desiderio di conseguire il titolo accademico sono argomenti dallo spessore decisamente esile, che li rivela un velleitario pretesto per contravvenire al divieto. Gli esempi[14] vengono dunque ricondotti nell’alveo del «grande assioma» secondo cui ciò che prova troppo finisce per non provare nulla: gli elementi chiamati in causa per supportare una tesi fallace si rivelano intrinsecamente deboli e sortiscono un effetto che ne evidenzia invece l’infondatezza.
«A restringere dunque il tutto in poco sarei di sentimento di escludere affatto dalle Lauree sì gli Eterodossi che gli Ebrei, di ammettere gli Eterodossi agli Studj pubblici, di escludere gli Ebrei, de' quali non ne ammetterei, che soltanto nella Classe Medica qualcuno in casi da prendersi in considerazione, e dopo essersi bene assicurati della loro condotta, essendo molto da temersi la Giudaica perfidia[15]. Agli Eterodossi, ed a qualche sano Ebreo ammesso nella facoltà Medica darei una pagella concepita in termini da non dargli diritto alla Laurea, ma solo all'Attestato d'abilità».
L’articolata riflessione sfocia nella proposta di escludere dallo studio della medicina tanto gli ebrei quanto gli eterodossi presso tutte le università pontificie, rilasciando a coloro che già avevano potuto accedervi un particolare attestato differente dalla laurea perché privo dell’abilitazione ad insegnare.
5. Attestato riservato agli eterodossi
L’allegato successivo[16] approfondisce il rapporto tra laurea e patente di pubblico insegnamento.
«La Laurea Dottorale porta due cose. 1°. un pubblico Attestato dell'abilità del Candidato nella facoltà, in cui gli si accorda la Laurea. 2°. La facoltà, che gli si accorda di poter pubblicamente insegnare nei Licei, nelle Università P[pontificie]. […] Sembrami peraltro evidente, che a nessun Eterodosso si possa accordare la facoltà, che l'autorizza d'insegnare specialmente in pubblico in qualsivoglia facoltà. La ragione è chiara. L'Eterodosso ha degli errori in fede. Questi errori in fede possono alla opportunità spargersi in qualsivoglia facoltà nel pubblico insegnamento. […] È questa la ragione, per la quale le Costituzioni Antiche portano, che non si accordi la Laurea, ossia, che non si autorizzi nessuno al pubblico insegnamento, se prima non si obbliga col giuramento di Pio IV ad insegnare la Dottrina Cattolica. […] L'insegnamento pubblico è un affare troppo geloso, da questo dipende l'educazione, e l'istruzione pubblica».
Rinnovato l’imprescindibile riferimento al formulario di Pio IV, lo scrivente sottolinea l’esigenza della massima scrupolosità verso chi eserciti l’insegnamento; un certificato riservato ai non cattolici che portano a compimento gli studi permette di precludere tale attività ad individui che se ne potrebbero servire per corrompere la sana dottrina cristiana dei giovani.
«Ciò posto, ad un Eterodosso, che chiedesse di conseguire la Laurea […], risponderei . Ve l'accorderò nella prima parte, cioè vi rilascerò un documento pubblico della vostra abilità (s'intende sempre, che costi di questa abilità), e ve lo lascierò ancora solennemente con pubblico apparato de' Professori radunati, d'invito de' Letterati etc. Non posso però accordarvelo nella seconda parte, giacché finché non mi fate constare di professare le Massime della Religione Cattolica, non posso autorizzarvi al pubblico insegnamento».
La laurea consta di due sezioni, l’attestato di perizia e l’abilitazione all’insegnamento: di quest’ultima è necessariamente privo il diploma per gli acattolici. A completare l’ampia documentazione allegata alla lettera del 1° giugno 1825, il decreto 9 giugno 1825, che ratifica le decisioni sull’immatricolazione e sul conseguimento del titolo da parte di studenti non cattolici.
«Feria V. Die 9. Iunii 1825.
SS[antissi]mus D. [= Dominus] N. [= Noster] D. [= Dominus] Leo Divina Providentia PP [= Pastor Populorum] XII. in generali Congregatione coram se habita in Palatio Apostolico Vaticano, auditis Em[inentissim]orum, et R[everendissi]morum DD. [= Dominorum] Cardinalium Generalium Inquisitorum suffragiis: quoad documentum professionis Catholicae Religionis exigendum ab admittendis ad Matriculam Universitatum dixit, quod providebitur. Quoad Heterodoxos jam admissos, iisdem concedi posse attestationem de peractis Studiorum curriculis, profectu, et moribus juxta formulam tertiam, quae est ea novissime proposita. Quoad Hebraeos: Primo. serventur jura, quod nemo ad Medicinae Studia admittatur, nisi de Speciali, et individua Summi Pontificis concessione. Secundo: Admissi vacare quidem Medicinae, et adnexis disciplinis possint in publicis Scholis, ita tamen, ut locum ab aliis secretum in iisdem teneant. Tertio. Non aliquod Laureae Diploma, et multo minus id, cujus formula, tamquam usu recepta proposita fuit, iisdem concedatur sed tantummodo approbationis ad Medicinam pro Hebraeis exercendam documentum, servatis de reliquo servandis. Potissimum vero ad eorum mores, et modum, quo in hisce disciplinis addiscendis, et ad praxim deducendis se gesserint an probari seu tolerari possint, attendatur. Super quibus omnibus E[minentissi]mi, et RR. [= Reverendissimi] DD. [= Domini] Archicancellarius, et Sacrae Cong'nis Studiorum Praefectus, quisque pro sibi competentibus in casu particulari videbunt, atque decernent.
Nicolaus Soldini S[ancate] Rom[anae] et Un[iversa]lis Inq[uisitio]nis Notarius[17]»
Agli ebrei è negato l’accesso alla facoltà di Medicina e se qualcuno ottenesse una speciale autorizzazione, rimarrebbe circoscritto ad un spazio separato e riceverebbe il titolo professionale di medico abilitato a curare esclusivamente altri ebrei.
6. Concessione della matricola ai soli cattolici
Dopo la morte dell’arcivescovo Oppizzoni (1855), la presenza di greci eterodossi nell’università di Bologna non passa inosservata agli occhi del successore card. Michele Viale-Prelà, il quale, perplesso dall’eventualità che raggiungano un gran numero e preoccupato della loro deleteria influenza sui giovani cattolici, riaccende la problematica della loro ammissione. In questo mutato contesto i pregressi decreti cedono alla rinnovata esigenza di un provvedimento ancor più rigido e univoco. Le principali proposte elaborate attraverso tortuose consultazioni a distanza di circa un trentennio vengono ora recuperate ed enumerate, come citazioni testuali dai rispettivi documenti, nell’allegato alla lettera del Viale-Prelà al prefetto della congregazione, card. Vincenzo Cantucci (20 dicembre 1858):
«L'Em[inentissim]o Card. De_Gregorio Visitatore Apostolico dell'Università di Bologna scriveva in data dei 18 Ottobre 1824 all'E[inentissim]mo Bertazzoli Prefetto della S[uprema] Cong[regazio]ne degli Studii = […] nell'andare concordando con questo Em[inentissim]o Arcicancelliere l'occorrente per l'apertura di questa Università adesivamente alla Pontificia Bolla = Quod D. S. = sono insorti due serii dubbii […][18]. Il 31 Ottobre 1824 l'Em[inentissim]o Bertazzoli scriveva al Card. De Gregorio = […] Dandole ora riscontro sugli Eretici Scismatici e Protestanti Le dirò che si continuino le cose come in passato […] Il 10 Gennajo 1825 il Card. Oppizzoni Ar[civesco]vo di Bologna scrisse all'E[minentissi]mo Bertazzoli = […] Rimase però in pendenza se ai medesimi potesse darsi un qualche formale attestato degli Studii fatti allorchè di medesimi ne avessero compiuto il corso. […] In ogni modo il Decreto dà un provvedimento per quegli Acattolici che erano già stati ricevuti nella Università riservandosi di dare qualche generale disposizione per i casi futuri la qual cosa non è stata ancor fatta. Per corrispondere pertanto alla brama dell'E[minentissi]mo Ar[civesco]vo di Bologna il quale dimanda che venga stabilita una norma per l'ammissione dei Greci Scismatici a quella Università, sarebbe d'uopo provocare dalla Suprema Cong'ne quella risoluzione a cui accenna il più volte riferito Decreto».
Questa relazione ripercorre le tappe più significative del contenuto del fascicolo. Lo scrivente valuta il contenuto del foglio L.B. come una soluzione valida unicamente per i greci allora già immatricolati; dal foglio successivo emerge che tale interpretazione viene sposata dalle più importanti autorità competenti, il prefetto della congregazione e Pio IX, che ritengono fondate le sollecitazioni del Viale-Prelà. Il Santucci ottiene dall’Inquisizione Romana l’invocato decreto, approvato e ratificato ufficialmente dal pontefice:
«Roma 12. Maggio 1859. Em[inentissim]o Sig' Card. Prefetto della S. Cong[regazio]ne degli Studî […] Gli E[inentissi]mi Signori Cardinali Inquisitori Generali dopo maturo esame nella Feria IV 11. di Maggio, che fu jeri, decretarono = Catholicos tantum admittendos esse ad Matriculam Universitatum[19] = E nella Udienza benignamente accordata jeri stesso allo scrivente, il S. Padre si degnò di approvare questa risoluzione».
Il lapidario e perentorio decreto 11 maggio 1859 garantisce la necessaria chiarezza che non lascia il benché minimo margine di replica.
7. Dal compromesso all’intolleranza
Nell’arco di un trentennio, si riscontra un tangibile incremento della tradizionale tendenza reazionaria ed autoritaria della classe dirigente pontificia, i cui esponenti, nell’accordare pieno consenso agli intransigenti scrupoli avanzati dall’antiliberale Viale-Prelà, promuovono una norma improntata all’intolleranza, che azzera l’apertura al compromesso mostrata dall’Oppizzoni, frequentemente disposto all’ascolto delle istanze dei greci scismatici. Evidente è lo iato che separa il decreto conclusivo dagli equilibrati provvedimenti emanati sotto la prefettura di Bertazzoli, volti ad assecondare, seppure entro il limite imposto da un’elevata prudenza, le prerogative di studenti non cattolici, concedendo loro la matricola universitaria ed un diploma che tutelasse la Chiesa dalla loro possibile azione lesiva in ambito professionale.
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BUSTA 97 |
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FASCICOLO 363 (1824-1859) |
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titolo |
segnatura |
Lettera del card. E. De Gregorio visitatore dell’università di Bologna al card. F. Bertazzoli Prefetto della Congregazione degli Studi (18.10.1824) |
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Relazione di M. B. Olivieri Commissario del S. Offizio sul decreto di esclusione dall’università di Bologna degli ebrei residenti a Ravenna (25.10.1824) |
L. A. |
Decreto della Congregazione degli Studi sull’ammissione degli acattolici all’università di Bologna e modello del diploma a costoro riservato (1824) |
l. b. |
Lettera di mons. G. Soglia segretario della Congregazione degli Studi all’Olivieri (1.6.1825) – coi successivi allegati |
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«Pro memoria» circa i greci intenzionati ad iscriversi all’università di Bologna |
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«Riflessioni sugli esempj di Lauree conferite agli Ebrei nelle trè Università di Roma, di Bologna, e di Ferrara» |
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«Voto Sul dubbio, se possa concedersi la Laurea agli Eterodossi nella Università Pontificia e specialmente nella Classe Legale» |
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Decreto 9.6.1825 |
L. C. |
Lettera del card. Viale-Prelà arcivescovo di Bologna al card. V. Cantucci Prefetto della Congregazione degli Studi (20. 12.1858) |
PROTOCOLLO GENERALE DELLA S. CONGREG. DEGLI STUDII 1848- 1858 |
Lettera di mons. R. Monaco La Vallette Pro-Assessore del S. Uffizio al card. Santucci (12.5.1859) |
PROTOCOLLO GENERALE DELLA S. CON-GREG. DEGLI STUDII 1848- 1858 |
[1] Sulla riforma dell’istruzione nello Stato Pontificio, cfr. L. Fiori, «La didattica in lingua latina nello Stato Pontificio (1816-1870)», $ 1 La Congregazione degli Studi, in Il Mondo degli Archivi - Studi, Anno II, settembre 2014.
[2] Sulla Congregazione degli Studi e il rispettivo archivio, attualmente conservato presso l’AS Roma, cfr. L. Fiori, ibid., $ 2 Il fondo archivistico della congregazione degli studi.
[3] AS Roma, fondo Congregazione degli Studi, serie Università, sottoserie Bologna, b. 97, fasc. 363.
[4] La figura del visitatore è istituita e delineata in Quod divina sapientia, tit. I art. 6: «Tutte le volte che la S. Congregazione crederà opportuno di visitare qualche Università, o Scuola pubblica, o altro Stabilimento di pubblica Istruzione, potrà deputare un Visitatore, il quale prenda le opportune informazioni, o dia quelle provvidenze, di cui sarà incaricato dalla stessa S. Congregazione».
[5] Papa Leone XII.
[6] Trad.: «Mercoledì 12 gennaio 1820 gli Eminentissimi Cardinali, conformandosi alle Costituzioni Apostoliche e a decreti altre volte emanati da questa Suprema Congregazione, hanno respinto l’istanza».
[7] Quod divina sapientia, tit. VI art. 77: «Ogni Professore dovrà servirsi di un corso stampato, e impiegherà almeno mezz’ora nello spiegare, ed il tempo che resta, nell’interrogare ed esercitare gli Studenti».
[8] Quod divina sapientia, tit. VI art. 86: «Ogni Sabato invece della spiegazione in quelle facoltà, ove ha luogo l’argomentazione, i Professori procureranno di esercitarvi i loro Scolari proponendo una, o più questioni trattate nella Settimana. Nelle altre scuole, dove non v’ha luogo l’argomentazione, si faranno quegli esercizi, che dai Professori si crederanno più opportuni pel profitto degli Studenti».
[9] Trad.: «Il Signor N. N., essendo stato registrato tra gli alunni dell'Università Bolognese fin dall'anno ....., ed essendosi in essa impegnato negli studi relativi al curriculum di Medicina Teoretica, di recente mi ha comunicato per iscritto di desiderare ardentemente di essere da me esaminato su tutti gli argomenti riguardanti la Medicina Teoretica. Questo desiderio del giovane studente mi è sembrato effettivamente “nobile” e perciò degno di essere da me soddisfatto, “tanto più che in ciò che riguarda i costumi e la dovuta obbedienza verso le leggi sia del Governo sia dell'Università, niente che sia degno di biasimo è stato trovato in lui". Riunite dunque nel giorno ..... presso di me gli illustrissimi signori ….., professori di Medicina in questa Università, e chiamato all'esercitazione il Signor N. N., ho pregato i suddetti Professori di accertare il profitto di questo giovane nell’apprendimento della Medicina. Nel sottoporsi a questo esame il Signor N. N. si è comportato in modo da dimostrare brillantemente di avere un’eccellente preparazione sia nella Medicina Teorico-pratica sia nella Patologia sia nella Medicina Forense, sia nella Farmacologia Pratica ecc., e in modo da meritare le lodi di tutti gli esaminatori. Che le cose stiano così come ho detto lo affermo e lo attesto con assoluta determinazione. Dalla sede dell'Università il Rettore N. N.».
[10] «Pro memoria» circa i greci intenzionati ad iscriversi all’università di Bologna
[11] Si tratta del giuramento di Fede Cattolica Romana, istituito dal pontefice Pio IV (1559-1565) con la bolla In sacrosancta del 13 novembre 1564 (nel contesto della rigidissima vigilanza della Chiesa sull’applicazione delle norme varate nel concilio di Trento). Era previsto per tutti gli studenti in procinto di laurearsi, in vista soprattutto della loro attività di insegnamento.
[12] «Riflessioni sugli esempj di Lauree conferite agli Ebrei nelle trè Università di Roma, di Bologna, e di Ferrara».
[13] L’università di Bologna.
[14] Minzi e Cevidelli in primis, ed altri ebrei che dopo di loro, con le stesse ragioni, rivendicarono il diritto all’immatricolazione.
[15] Si tenga presente il significato etimologico originato in latino da per + fides, che inquadra propriamente una deviazione dalla fede canonica, dunque un tradimento, quale fu il rifiuto di Cristo come Messia da parte degli ebrei.
[16] «Voto Sul dubbio, se possa concedersi la Laurea agli Eterodossi nella Università Pontificia e specialmente nella Classe Legale».
[17] Trad.: «Giovedì 9 giugno 1825. Sua Santità Leone XII, per Divina Provvidenza Pastore dei Popoli, nella congregazione generale tenuta davanti a sé presso il Palazzo Apostolico Vaticano, dopo aver ascoltato i pareri degli Eminentissimi e Reverendissimi signori Cardinali Generali Inquisitori, per quanto riguarda la dichiarazione di Fede Cattolica da esigersi da coloro che devono essere ammessi all’immatricolazione universitaria, disse che si provvederà. Per quanto riguarda gli Eterodossi già ammessi, a costoro si può concedere un attestato sul curriculum degli studi compiuti, sul profitto e sui costumi, in conformità alla terza formula, che è quella posta qui per ultima. Per quanto riguarda gli Ebrei, innanzi tutto siano rispettate le norme, e cioè che nessuno venga ammesso agli studi di Medicina, se non in virtù di uno speciale e personale permesso del Sommo pontefice. In secondo luogo, gli ammessi possono applicarsi alla Medicina e alle relative materie nei pubblici locali d’insegnamento, occupando però in essi uno spazio a loro riservato, separato dagli altri. In terzo luogo, a costoro non si conceda un Diploma di Laurea, tanto meno quello la cui formula è qui posta come di uso comune, ma soltanto un documento di approvazione per l'esercizio della Medicina in favore degli Ebrei, lasciando per il resto tutto inalterato. Si badi poi specialmente se possono essere approvati o tollerati i loro costumi e il loro comportamento nell’imparare queste discipline e nel metterle in pratica. Su tutto ciò vigileranno e giudicheranno, per ogni caso particolare, gli Eminentissimi e Reverendissimi signori, l’Arcicancelliere e il Prefetto della Sacra Congregazione degli Studi, ciascuno secondo le proprie competenze.
Nicola SoldiniNotaio della Santa Romana e Universale Inquisizione».
[18] Il medesimo testo è stato precedentemente riportato in forma più estesa, cfr. $ 2 I decreti del Sant’Uffizio.
[19] Trad.: «Devono essere ammessi soltanto i Cattolici alla Matricola Universitaria».