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Modello di Archivio audiovisivo
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Sabato, 07 Giugno 2014

Modello di Archivio audiovisivo

Ansano Giannarelli
Sezione Studi

Il testo che segue riporta due interventi di Ansano Giannarelli, estratti dal volume antologico dei suoi scritti, Il film negli archivi. Il punto di vista di Ansano Giannarelli, a cura di Letizia Cortini, «Annali 14», Fondazione Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico, giugno 2012. Li proponiamo, ringraziando la Fondazione Aamod per il consenso alla pubblicazione, per la loro efficacia argomentativa e per la lungimiranza, affatto superata, su temi, criticità, prospettive, finalità, nel trattamento e nella valorizzazione dei documenti audiovisivi in un archivio. La loro prima pubblicazione risale – pare incredibile - al lontano 1981 ...

Premessa allo statuto dell’Archivio storico audiovisivo del movimento operaio1

in Modello d’archivio audiovisivo, Archivio storico audiovisivo del movimento operaio, Roma 1981, pp. 91-92

L’ASAMO si costituì in associazione il 20 novembre 1979, con la denominazione Archivio storico audiovisivo del movimento operaio (Asamo). In un documento filmico che riprende la seduta di costituzione, tra i soci fondatori si riconoscono intellettuali, giornalisti, studiosi di discipline diverse, tra cui scienziati, registi, politici, militanti della sinistra italiana: G. Arnone, C. Bernardini, G. Cesareo, G. Chiarante, I. Cipriani, B. Ghiglia, A. Giannarelli, F. Maselli, F. Mussi, R. Napolitano, F. Ottolenghi, L. Pavolini, G. Procacci, P. Scarnati, E. Scola, B. Trentin, L. Vanni. Le fonti cartacee raccontano che fossero rappresentati per delega anche G. Amendola, A. Andriani, S. D’Albergo, F.M. De Sanctis, P. Ingrao, R. Ledda, P. Spriano, C. Zavattini. Quest’ultimo è stato il primo Presidente dell’Archivio dal 1979 al 1989. Nel 1983, durante la presidenza di Cesare Zavattini, amico dell’allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini, fu avviata la pratica per il riconoscimento dell’associazione in Fondazione culturale, ottenuto nel 1985 (Dpr 43/1985). Venne allora cambiata la denominazione in Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico (Aamod). Il patrimonio dell’Archivio audiovisivo venne allora per la prima volta riconosciuto di notevole interesse storico dalla stessa Soprintendenza archivistica per il Lazio. Nella Premessa al primo statuto dell’Asamo, del 1979, redatta da Ansano Giannarelli vengono esplicitati i caratteri innovativi dal punto di vista politico-culturale dell’associazione. Caratteri e finalità che ne hanno fatto e ne fanno tuttora un organismo unico di conservazione e trattamento di un patrimonio filmico eccezionale, al tempo stesso di militanza, con finalità di utilità storico-sociale nonché produttive con il riuso creativo dei documenti audiovisivi. Una premessa, quella che segue, di grande respiro ideale. (ndr)

L’Archivio Storico Audiovisivo del Movimento Operaio viene fondato sulla base del materiale fotografico, cinematografico, televisivo e sonoro raccolto nel passato dall’archivio dell’Unitelefilm.

Esso sorge come struttura autonoma e indipendente, aperta a quanti si battono per la trasformazione della società italiana e per il rinnovamento culturale del paese.

I presupposti che hanno spinto i suoi promotori a fondare l’Archivio Storico Audiovisivo del Movimento Operaio sono i seguenti:

1.

La considerazione che tutti i prodotti audiovisivi hanno innanzi tutto un proprio valore culturale autonomo; e hanno comunque sempre un valore di conoscenza che può concorrere, alla pari di qualsiasi altro documento, all’analisi scientifica dei processi storici, della vita degli uomini, della trasformazione dell’ambiente e della natura.

In questa prospettiva, particolare importanza assume l’utilizzazione larga e continua dei prodotti audiovisivi da parte di tutti i cittadini, per favorire lo sviluppo di coscienza critica nei confronti dei sistemi di comunicazione; e ciò in particolare nell’ambito della scuola, anche per concorrere ad adeguarla, nelle metodiche e nei contenuti, allo sviluppo complessivo della società.

2.

La considerazione del particolare valore che ha la cinematografia riguardante il movimento operaio in Italia e nel mondo, in quanto documentazione della storia di classi e di popoli che le culture delle classi dominanti hanno teso a sminuire, ignorare, emarginare, ostacolare.

3.

La considerazione del particolare valore autonomo della documentazione audiovisiva, finora considerata interessante prevalentemente come fonte di materiale di repertorio per operazioni di montaggio.

4.

La considerazione della documentazione audiovisiva (registrata su qualsiasi supporto) come bene culturale.

Questa considerazione deve essere estesa ai prodotti di fantasia, di ricerca, di documentazione del reale, didattici e scientifici.

L’immagine e il suono (registrati su qualsiasi supporto) – anche quelli scartati (“varianti”), anche quelli mai diffusi, anche quelli di attualità giornalistica – sono sempre il risultato di un lavoro, individuale e collettivo, che va salvaguardato in quanto tale; e possono costituire documenti preziosi della storia quotidiana degli esseri umani in ogni suo aspetto.

Viceversa, nell’epoca della riproducibilità delle opere d’arte e dei prodotti culturali, si verifica l’apparente paradosso di una perdita permanente proprio dei prodotti audiovisivi realizzati con moderne tecnologie; perdita gravissima sia da un punto di vista quantitativo che qualitativo.

Diffondere e affermare la considerazione della documentazione audiovisiva come bene culturale comporta una azione rigorosa e costante di sensibilizzazione di responsabilizzazione delle strutture – pubbliche e private, centrali e decentrate – e degli operatori culturali che svolgono la propria attività in questo ambito specifico. La realizzazione completa di questo obiettivo pone certamente complessi problemi economici, giuridici e organizzativi, che occorre affrontare in una programmazione complessiva del settore audiovisivo, nel quadro di una nuova e diversa utilizzazione delle risorse disponibili, finalizzate all’interesse della collettività.

5.

La considerazione della cinematografia come un bene culturale da diffondere e da socializzare in modo permanente (e tanto più nel caso di una cinematografia riguardante il movimento operaio), senza conservarla nel chiuso di musei e archivi a disposizione pressoché esclusiva degli specialisti.

Modello di archivio audiovisivo

in Modello d’archivio audiovisivo, Archivio storico audiovisivo del movimento operaio, Roma 1981, pp. 47-55

Questo saggio è il risultato di un intervento di Ansano Giannarelli al primo seminario organizzato dall’Asamo nel 1981 sui temi annunciati nella Premessa al suo statuto. Con esso, egli avvia la lunga riflessione, condivisa da molti altri intellettuali impegnati nella “costruzione” di un “modello di archivio audiovisivo”, sul senso e sulle necessità di battersi per il riconoscimento del valore di bene culturale dei patrimoni audiovisivi, senza alcuna distinzione gerarchica o estetizzante, e sull’importanza di creare reti e sistemi in modo da rendere sempre vivo e attuale il dibattito sul riuso creativo dei materiali filmici. Argomento quest’ultimo che allora appariva “provocatorio”, nel sottolineare l’importanza di un accesso democratico e diffuso ai giacimenti audiovisivi, compresi, e forse soprattutto, quelli della Rai. (ndr)

Una prima considerazione che mi preme fare – anche in rapporto a ciò che vorrei dire in seguito – riguarda i caratteri e le finalità di questo seminario, che non vanno dimenticati per uno sviluppo organico della discussione.

Quando l’Archivio Storico Audiovisivo del Movimento Operaio ha impostato e progettato il nostro seminario, aveva naturalmente presente il lavoro fin qui verificatosi in Italia per ciò che riguarda la progettazione di attività permanenti di conservazione/diffusione di materiali audiovisivi. E quindi sia le analisi e i dibattiti che le iniziative concrete che hanno avuto luogo in questi anni sulla questione delle cineteche - chiamiamole così, ora, per intendersi – regionali, nonché di altre strutture pubbliche quali l’Archivio della Biennale di Venezia, la Cineteca Nazionale, l’Archivio dell’Istituto Luce, la cinevideoteca della RAI, ecc. A questo proposito cito sinteticamente i seminari e i convegni di Cagliari, di Bologna, di Venezia.

Ma l’Archivio aveva anche presente che questo seminario dovrebbe essere propedeutico a un convegno pubblico da promuoversi, come scadenza, entro la fine del 1981, per sottoporre all’attenzione di tutte le forze interessate la proposta di un vero e proprio “sistema di archivi audiovisivi in Italia”.

Ecco, è soprattutto in questa prospettiva che noi dovremmo porci in rapporto alle questioni che stiamo discutendo oggi.

Nell’introduzione di Giovanni Cesareo – molto ricca e stimolante proprio per il suo carattere fortemente progettuale, che si proietta quindi nel futuro, anche se poi ovviamente occorre tener conto del passato e del presente, che convivono insieme – vengono posti diversi problemi sui quali, oltre a continuare a discuterli oggi, dovremmo lavorare ulteriormente, approfondendone l’analisi, una volta terminato questo seminario, e prima del convegno pubblico che appunto ci poniamo come prossimo obiettivo.

Un primo problema che mi sembra particolarmente interessante e significativo, per tutte le implicazioni che esso comporta, è quello relativo alla proposta che Cesareo fa di una vera e propria ridefinizione concettuale e teorica del termine di “audiovisivo”.

In effetti, si tratta di un termine ambiguo e poco definito, anche da parte di chi lo usa per indicare un sistema, un processo produttivo, una serie di prodotti per i quali i termini tradizionali “cinema” e “televisione” si presentano come inadeguati nella loro parzialità settoriale. A questo uso molto ampio del termine “audiovisivo” si contrappone viceversa una concezione arretrata e riduttiva da parte di molti altri. Basti pensare che il Ministero dello spettacolo, attraverso la sua burocrazia, quando sente o legge il termine “audiovisivo” considera la materia non di sua competenza: tant’è vero che chiede la presenza – addirittura negli statuti degli enti o delle associazioni che presentano domande per finanziamenti previsti dalla legge – del termine “cinematografico”. Insomma, nella concezione di molti, anche meno formalisti e conservatori dei burocrati del Ministero dello spettacolo, “audiovisivo” è riduttivamente inteso come “filmstrips” o “set” di diapositive, ecc.

Cesareo, a questo proposito, fa una proposta che rilancia una definizione del termine “audiovisivo” a un livello molto più alto, più onnicomprensivo; e pone – questo è l’aspetto a mio avviso particolarmente interessante – in questa definizione, l’accento sul momento del consumo e non del prodotto: valorizzando cioè il punto di vista della fruizione dei prodotti da parte dei cittadini.

Questo è un aspetto che, per le sue implicazioni teoriche ma anche pratiche, vale la pena di essere approfondito proprio in rapporto alla elaborazione progettuale di un “sistema di archivi audiovisivi”; e forse questo seminario potrebbe anche concludersi con la proposta di costituire dei piccoli gruppi di lavoro che approfondiscano nei mesi futuri determinati temi di rilevanza non indifferente, quale a me sembra quello che ho richiamato.

Un altro elemento messo in rilievo da Cesareo è il problema dei diritti di proprietà del prodotto audiovisivo “classico”: per intenderci quello cinematografico e televisivo. È un altro nodo decisivo, in quanto poi incide in modo determinante su quello che potrebbe essere definito il “diritto di circolazione” dei prodotti audiovisivi.

È una questione all’ordine del giorno, sul piano nazionale e internazionale, per molte forze: in primo luogo quelle più direttamente impegnate nel processo produttivo; e quindi gli autori, le strutture produttive. Ed è una questione che implica interessi “morali e materiali” molto precisi e di peso tutt’altro che indifferente. Le rivendicazioni portate avanti per esempio dagli autori cinematografici italiani e stranieri contengono aspetti anche molto positivi – nell’ambito di una ridefinizione del concetto di “diritto d’autore” - nel senso per esempio di impedire che si verifichino fenomeni tutt’altro che rari, come addirittura la perdita di opere cinematografiche o televisive; o nel senso di condizionare e comunque regolamentare l’utilizzazione spesso “selvaggia” che dei prodotti cinematografici e televisivi viene fatta dalle società di produzione e distribuzione cinematografica o dagli apparati televisivi, soprattutto privati: basti pensare ai “tagli” indiscriminati che tutt’altro che raramente vengono apportati ai prodotti per le più diverse ragioni, o alla loro diffusione televisiva periodicamente interrotta dalla pubblicità.

Ma è anche una questione sulla quale occorre avere un’attenzione seria, in quanto certe proposte, sia normative che economiche, relative al problema rischiano anche di configurarsi come una vera e propria “gabbia” per una diffusione dei prodotti audiovisivi possibile anche in ambiti privi di rilevanti risorse finanziarie; cosicché la circolazione dei prodotti resterebbe sostanzialmente accentrata – per il loro costo elevato – nei grandi apparati di diffusione. Sotto questo profilo, mi sembra quindi importante riesaminare quella che è tradizionalmente definita come “diffusione non commerciale”: proprio per intervenire e condizionare un processo che altrimenti si imporrebbe come connotato esclusivamente da finalità “commerciali” e di lucro.

Ma in quest’ambito si pone poi anche un’altra questione, tutt’altro che secondaria: quella relativa alla possibilità di “intervenire” sui prodotti. E a questo proposito personalmente concordo del tutto sia con Cesareo che con la specificazione ancora più provocatoria che ha fatto Di Giammatteo. Ma questo “diritto” a “intervenire” sui prodotti – in sedi e in modi ovviamente diversi da quelli della fruizione di un’opera – a “manipolarli”, a utilizzarli come “materiali” per altre operazioni e sperimentazioni conoscitive, va sostenuto, rivendicato, “legittimato”: anche in vista di una qualche regolamentazione, certo difficile anche a formularsi, ma necessaria se non altro “in negativo” (nel senso cioè di riconoscerne l’ammissibilità).

Per concludere su questo aspetto, insisto sull’importanza – anche per gli “archivi” audiovisivi, e tanto più se essi non vogliono essere soltanto strutture di raccolta e conservazione museale: Paola Scarnati e Marino, nella loro attività concreta di responsabili di archivi, potrebbero fare tanti esempi a questo proposito sulle difficoltà, gli ostacoli, gli impedimenti, i costi – di una regolamentazione internazionale del “diritto d’autore”, e sulle grosse implicazioni che ne derivano. Esistono per esempio tendenze a instaurare sui materiali audiovisivi altri “diritti”, anche legittimi, se vogliamo, come quelli degli operatori di ripresa soprattutto per quel che riguarda i materiali di “attualità”, in cui effettivamente, in molti casi, gli “autori” sono gli operatori di ripresa. Ma il pericolo è che tutti questi “diritti” alimentino un processo di vera e propria privatizzazione dei prodotti audiovisivi, diminuendone ulteriormente, o almeno condizionando pesantemente la loro utilizzazione sociale.

Dopo aver sottolineato l’importanza a mio parere rilevante di due problemi affrontati da Cesareo, vorrei fare qualche osservazione invece su aspetti che nella discussione non sono ancora emersi con l’attenzione che meritano.

A uno di questi aspetti ha accennato, in termini anche polemici, Marino. Marino dice:

Attenzione! Quando parliamo di un modello di archivio che deve muoversi con una strategia di ricerca, raccolta, conservazione e diffusione e addirittura di rielaborazione dei materiali, dobbiamo sempre ricordarci la situazione oggettiva e concreta in cui ci troviamo a questo proposito.

Ed è una situazione realisticamente connotata dal “vecchio”: vecchie strutture, vecchie mentalità, vecchi atteggiamenti, che pesano in modo drammatico sulle prospettive di sviluppo. È noto a questo proposito il dato realmente impressionante dei sei milioni di metri di pellicola – sui dodici milioni di metri che sono il patrimonio dell’Istituto Luce – ancora e unicamente esistenti su supporto infiammabile. Sei milioni di metri, cioè circa 3.300 ore di «memoria storica», inutilizzati e in pericolo. Trasferirli su pellicola “di sicurezza” [ndr], e quindi salvarli e renderli utilizzabili, è una delle tipiche operazioni tecniche di un archivio: ma è un’operazione che costi alti. E mancano le disponibilità finanziarie per effettuarla.

È un esempio significativo dell’aspetto economico del settore che ci interessa: un aspetto decisivo. Si apre quindi il problema dei costi, specifici e complessivi, di un’attività come quella che ipotizziamo per gli “archivi audiovisivi”, e dei relativi investimenti. E sappiamo bene che in Italia è assai improbabile, se non impossibile, l’ipotesi di investimenti privati in quest’ambito; l’esempio costituito dalle fondazioni nord-americane che operano in questo settore è inapplicabile da noi.

Si pone allora, sotto questo profilo, l’esigenza di una programmazione degli investimenti pubblici nel complesso del settore audiovisivo in Italia: una programmazione che consenta insieme di superare le “vecchie” situazioni cui si riferiva Marino, e di progettare lo sviluppo che noi auspichiamo. Ma la programmazione degli investimenti è una questione che va approfondita: occorre uscire dalla semplice enunciazione del principio per scendere nel dettaglio delle proposte. Ciò in rapporto anche all’armonizzazione delle competenze pubbliche in materia: competenze assai diversificate, che vanno da quelle centrali a quelle regionali; e, nell’ambito del potere centrale, quelle di organi diversi come i ministeri dello spettacolo, dei beni culturali, della pubblica istruzione, delle poste e telecomunicazioni; e poi quelle delle istituzioni pubbliche: dall’Ente Gestione Cinema alla Biennale di Venezia alla RAI (lasciando adesso da parte la questione della natura giuridica della RAI).

Una programmazione degli investimenti pubblici nel settore audiovisivo in Italia, e più specificatamente nell’ambito che qui ci interessa, dove tener conto delle risorse realmente disponibili nell’attuale quadro complessivo della situazione italiana, nonché degli obiettivi di risanamento da un lato e dello sviluppo dall’altro: ma questa “finalizzazione” è tutt’altro che neutra, implica scelte, e inevitabilmente colpisce interessi precostituiti assai forti. D’altra parte, la progettazione di un “sistema di archivi audiovisivi” che non affronti, e in termini concreti di proposta, anche questo aspetto, assumerebbe un valore puramente teorico e astratto.

Ma c’è anche un’altra carenza che va affrontata e analizzata, per avanzare poi proposte concrete: ed è quella della formazione professionale di quadri operativi in quest’ambito. Un “modello di archivio” quale andiamo delineando, e un progetto di “sistema di archivi audiovisivi” che promuoviamo, pongono sotto questo profilo altri grossi problemi. Si tratta infatti di sviluppare una “nuova professionalità” - il termine è abusato ma continua a essere necessario – che organizzi competenze e specializzazioni insieme diversificate e interdisciplinari. Si pone per esempio l’esigenza di utilizzare – per quell’aspetto così importante sotto tanti profili che è la catalogazione – la strumentazione elettronica, con tutti i vantaggi che ne derivano. Ebbene, che io sappia, non esiste ancora un progetto di catalogazione elettronica del materiale audiovisivo, almeno in Italia: e qui le regioni potrebbero dare un contributo decisivo, soprattutto quelle che hanno – come la Toscana o il Piemonte – un ottimo centro di elaborazione dei dati, collaborando alla definizione di un progetto che poi sia utilizzabile anche da altri soggetti, evitando sprechi nella ripetizione di progetti analoghi.

Il problema dei quadri che operano in questo settore non si pone però soltanto per quel che riguarda certe specializzazioni: esso concerne, a mio avviso, in primo luogo proprio i quadri “dirigenti” di organismi quali sono, o dovrebbero essere, gli “archivi audiovisivi” che noi auspichiamo. Se le funzioni di queste strutture sono quelle della ricerca, raccolta, conservazione, diffusione e produzione di materiali audiovisivi – poi dirò, in conclusione, qualche parola a proposito della produzione – bene, ci si rende subito conto della complessità che assume la figura professionale del “dirigente” di un archivio audiovisivo, considerando inoltre la necessità di sviluppare l’attività in un continuo rapporto con le realtà istituzionali e sociali che sono gli interlocutori “naturali” di un archivio audiovisivo.

Vorrei riferirmi brevemente, a questo proposito, a una esperienza alla quale ho partecipato personalmente, insieme a Michele Conforti: l’iniziativa audiovisiva che l’Archivio ha sviluppato nel 1980 e nel 1981 a Portoferraio, nell’isola d’Elba. E mi riferisco a essa anche perché è stata l’occasione di sperimentare noi stessi, individualmente, in un’attività che certo ha rapporti e contatti con il complesso delle tradizionali attività cinematografiche e televisive, ma che si presenta anche con caratteri suoi propri e peculiari che difficilmente appartengono alla figura “classica” degli “autori” o registi, che è la nostra.

Si trattava di organizzare – nell’ambito di una manifestazione culturale “estiva” promossa dal Comune di Portoferraio per il 1980 – una rassegna cinematografica su un tema e un’epoca precisi: Come una città rilegge la propria storia – anni 1900-1940 (si tratta, com’è evidente, di una tematizzazione significativa, che rende la manifestazione di Portoferraio “diversa” da altre manifestazioni più “famose” ma anche assai più discutibili). Noi abbiamo fatto la proposta di presentare una serie di “spettacoli cinematografici”, composti da un film lungometraggio di spettacolo, da Cabiria a Gli uomini che mascalzoni, ecc., nonché da cinegiornali Luce che contenessero al loro interno “servizi”, brani, dedicati all’isola d’Elba. Questi “spettacoli cinematografici” erano accompagnati anche da materiali audiovisivi di inquadramento storico generale del periodo preso in esame, scelti e organizzati dall’Archivio tra il proprio “repertorio”: e quindi materiali sulla prima guerra mondiale, sulla rivoluzione d’Ottobre, sul fascismo, sulla guerra di Spagna, ecc. Questi materiali, trasferiti su videocassetta, consentivano una visione, una fruizione, individuale e collettiva, durante la manifestazione, ma anche in seguito, tant’è vero che la loro diffusione è continuata, dopo l’estate, nelle scuole di Portoferraio. Un corredo di schede grafiche forniva informazioni su tutti i materiali audiovisivi presentati.

L’iniziativa è andata molto bene, le reazioni degli spettatori sono state molto positive, e un particolare rilievo hanno assunto i brani dei cinegiornali Luce sull’Elba: essi hanno determinato discussioni appassionate tra i cittadini dell’Elba, confronti, scoperte, scontri anche tra vecchie generazioni – protagoniste di quei “servizi” - e nuove generazioni, polemiche e critiche sulla retorica fascista che emergeva da quei materiali.

Il successo dell’iniziativa ha portato alla decisione di ripeterla quest’anno, mettendo al centro della manifestazione la “rilettura” della storia di Portoferraio e dell’Elba nel decennio 1940-1950: un periodo di estremo interesse, che comprende la guerra, la liberazione, la trasformazione dell’Elba da zona operaia e industriale a zona turistica, ecc.

Ma nella progettazione di questa nuova iniziativa audiovisiva ci siamo trovati di fronte a un grosso problema: l’assenza di materiali audiovisivi specifici sull’isola d’Elba (a differenza del periodo precedente), e viceversa la necessità di una presenza di questi materiali, per “saldare” in un quadro organico i film lungometraggi e i materiali generali di inquadramento storico.

In una serie di incontri, riunioni e discussioni avvenute all’Elba, insieme con le forze istituzionali e sociali, si è presa allora la decisione di “produrli”, questi materiali audiovisivi sulla storia dell’Elba: cioè di raccogliere, con i mezzi audiovisivi, testimonianze, reperti, documenti che costituissero appunto un recupero di “memoria storica” diretta da parte dei cittadini di Portoferraio e dell’Elba che di quel periodo erano stati i “protagonisti”. Ma questa decisione apriva un nuovo problema: come produrli? Era corretto un intervento totalmente “esterno”, da parte di “autori” e tecnici venuti da fuori, oppure andava affrontato il rischio di promuovere una produzione audiovisiva locale, nella prospettiva di una valorizzazione delle forze culturali locali, e nell’ambito di un disegno che prevedesse un’attività audiovisiva permanente nell’isola d’Elba, anche in rapporto alle televisioni locali? Decidemmo di affrontare questo rischio: e il primo obiettivo che ci ponemmo fu quello di effettuare un lavoro di formazione professionale di base, che si è poi concretato in un seminario teorico-pratico che ha avuto luogo nel mese di febbraio di quest’anno. In questo modo riteniamo di aver innescato un processo che – sicuramente tra ostacoli, errori, difficoltà, verifiche e ridimensionamenti – punta però proprio alla creazione di quadri audiovisivi che divengano “dirigenti” delle attività audiovisive nell’isola d’Elba: e sarà certamente interessante verificare periodicamente gli stadi di questo processo.

Ecco, in questa esperienza, insieme con Michele Conforti abbiamo toccato con mano la complessità e la difficoltà – per noi stessi – di svolgere un’attività audiovisiva di “ricerca, raccolta, conservazione, diffusione, produzione”, che esige appunto figure professionali molto più articolate di quelle richieste da una attività audiovisiva, cinematografica e televisiva, di tipo tradizionale: sia per quel che riguarda l’attività dei cosiddetti “operatori culturali” che l’attività produttiva (dell’intero processo produttivo).

Ma a proposito del momento produttivo specifico, quello cioè della realizzazione di prodotti audiovisivi, vorrei fare un’ultima riflessione. Giovanni Cesareo dice: un avvenimento di oggi diventa già esso stesso memoria. E i grandi apparati di produzione audiovisiva, soprattutto quelli televisivi, producono giornalmente materiali audiovisivi di documentazione su processi che si sviluppano. Da questo punto di vista, la situazione è molto diversa rispetto al passato, quando – proprio soprattutto per il movimento operaio – si poneva il problema di documentare fatti e avvenimenti che la produzione cinematografica di attualità trascurava e ignorava completamente (basti pensare ai cinegiornali di questo dopoguerra, Incom in testa). Oggi il problema si pone in altri termini: e ciò riguarda innanzi tutto un organismo come il nostro, che è l’Archivio Storico Audiovisivo del Movimento Operaio. Ecco, un organismo come l’Archivio come deve affrontare la questione di una propria documentazione dei fenomeni, dei fatti, degli avvenimenti che quotidianamente si verificano? Si tratta di progettare un’iniziativa in questo settore molto articolata, e sulla quale occorre un serio lavoro di analisi e di elaborazione. Da un lato, esistono, continuano a esistere temi trascurati, ignorati, discriminati dai grandi apparati di produzione di attualità audiovisiva: e questo è un primo campo di intervento. Carlo Bernardini mi faceva a questo proposito un rilievo assai interessante; si sta svolgendo in questi giorni, sotto i nostri occhi, un fenomeno in sostanza trascurato dall’informazione telegiornalistica, e invece tutt’altro che secondario, proprio anche sotto il profilo della documentazione per immagini: l’intervento del “movimento per la vita” nella battaglia referendaria. Perché non documentarla? E come documentarla? Questo da un lato. Dall’altro, i grandi apparati di produzione audiovisiva di attualità “documentano” in un certo modo, magari anche massiccio, come nei casi di “dirette”, ma sempre con una certa ottica, un certo taglio, una certa selezione. E allora, anche su questi avvenimenti che – per la loro rilevanza – sono al centro dell’attenzione dei grandi apparati, come documentarli, come superare una pura documentazione “descrittiva” (pensiamo a una manifestazione, a uno sciopero generale, a un comizio, per fare qualche esempio “classico”) per approfondire l’indagine, per restringere magari il campo di analisi appunto dalla “descrittività” giornalistica a un’analisi più circostanziata, più verticale e meno orizzontale, e quindi sostanzialmente meno generica? Probabilmente non possono esistere indicazioni e soluzioni di carattere generale; ma allora si pone l’esigenza di una serie di sperimentazioni, di una sperimentazione continua, per individuare appunto modalità di documentazione audiovisiva nuove e diverse, che contribuiscano all’arricchimento del patrimonio audiovisivo di documentazione della “memoria storica”.

È un problema che ho verificato personalmente – e mi scuso per questa seconda “auto-citazione” - quando andai a Genova per effettuare le riprese sui funerali di Guido Rossa: che la RAI trasmise in diretta, appunto, con più telecamere piazzate in punti strategici. Pur disponendo di due macchine da presa, noi non potevamo certo “competere” con l’apparato RAI nella trasmissione integrale del funerale: integrale, ma anche inevitabilmente “ufficiale”. Scelsi allora un’altra soluzione: quella di raccogliere le testimonianze di alcuni compagni di Rossa, la sera prima, in una piccola stanza disadorna di una sezione del PCI. E girammo poco più di quindici minuti: ma credo particolarmente intensi e significativi. Il giorno del funerale, invece, giranno qualche immagine “descrittiva”; e ancora la riflessione di un portuale – isolandolo nel corteo – anch’essa ritengo tutt’altro che priva di interesse. Ecco: forse la «memoria storica» audiovisiva di quel drammatico episodio oggi è documentata insieme dalla registrazione della diretta televisiva (e da altri materiali esistenti: e in ogni modo si pone a questo proposito il tradizionale problema della disponibilità dei materiali RAI) e dalle immagini girate da noi, efficaci proprio perché non “sostitutive”, ma “diverse” dalle altre.

Ritengo che – se quella fu una “sperimentazione” - abbiamo necessità di molte altre esperienze, tentativi, verifiche. Così come abbiamo bisogno di un’attenzione molto maggiore, su questo aspetto, di quanta ne è esistita finora proprio tra coloro che operano in modi e a livelli diversi, in questo settore.

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1 Si tratta della Premessa, a cura di Ansano Giannarelli, al primo Statuto dell’Associazione Archivio Storico Audiovisivo del Movimento Operaio, fondata nel 1980.

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