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Le fonti audio-visive sul lavoro e sull'industria in Italia. Rappresentazione e ricognizione dei luoghi di conservazione e valorizzazione
Mercoledì, 28 Maggio 2014

Le fonti audio-visive sul lavoro e sull'industria in Italia. Rappresentazione e ricognizione dei luoghi di conservazione e valorizzazione

Letizia Cortini
Sezione Studi

Abstract 

Il presente lavoro è la rielaborazione e l’ampliamento di alcuni saggi precedenti su argomenti analoghi[1]. La riflessione viene qui approfondita soprattutto per quanto riguarda la storia della rappresentazione dell’industria e del lavoro, quindi del recupero e della valorizzazione delle fonti filmiche, audiovisive e fotografiche d’impresa e del lavoro. A queste si intreccia la storia degli organismi di conservazione di questo tipo di documentazione e le politiche culturali più generali del paese. Viene evidenziata la difficoltà di collaborare e di confrontarsi sulle metodologie, nelle attività di ricerca, di diffusione ed uso delle fonti, tra istituti di conservazione le cui storie politiche, sociali e culturali sono differenti.

The present work is the revision and extension of some previous essays on similar topics. The reflection is thorough especially with regard to the history of the recovery and enhancement of filmic sources, audiovisual and photographic business and labor archives. This history intertwines the story of conservation organizations of this type of documentation, and more general cultural policies of the country. This essay highlighted the difficulty to collaborate and discuss the methodologies in research, dissemination and use of these sources, between conservation institutions whose stories political, social and cultural are different.

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[In calce, il pdf del saggio]

Con il Novecento si tende ormai a far coincidere l’età contemporanea[2], con una sua introduzione nell’Ottocento, in concomitanza con la seconda rivoluzione industriale. In questa prospettiva cronologica e di terreno di indagine e studio, la storia del Novecento viene a coincidere con la storia del cinema, dell’industria cinematografica, inoltre con la storia della nascita delle grandi imprese industriali e del lavoro massificato, del movimento operaio, delle associazioni sindacali e dei partiti  di massa in Italia. Soggetti sociali che produssero le prime forme di rappresentazione di sé attraverso le immagini fisse e in movimento, nonché un cinema di propaganda e di militanza anche in questi settori della vita sociale, che contribuirono e contribuiscono a diverse proposte di uso pubblico delle loro storie. 

I primi film  dei fratelli Lumiere, a fine Ottocento, e i documentari dei grandi registi sovietici dei primi decenni del Novecento documentano e raccontano il mondo delle fabbriche e del lavoro. Si svolge così, attraverso il cinema e la fotografia, una storia dell’impresa e del lavoro, e dei loro soggetti, narrata con nuovi mezzi e soprattutto con un nuovo linguaggio, le cui potenzialità narrative, di testimonianza, di documentazione, oltre che di comunicazione, sono ancora in gran parte da scoprire, valorizzare e usare. Coincidenze che rinviano a un fervore di ricerche e riflessioni storiografiche e metodologiche sull’uso delle nuove fonti per lo studio dei fenomeni e degli eventi della storia contemporanea, a partire da quelle filmiche[3].

Il dibattito storiografico sull’uso delle nuove fonti ha investito anche la storia economica del Novecento, in particolare sui temi della rappresentazione, nelle documentazioni fotografiche e filmiche, con sguardi e intenzionalità differenti, a volte appartenenti a diverse ideologie, della memoria dell’impresa, dei sindacati, dei loro protagonisti, degli operai, dei movimenti collettivi, nonché dei processi produttivi nelle fabbriche, quindi della storia dei consumi nelle società di massa, della storia dei sistemi di comunicazione e di condizionamento del mercato attraverso la pubblicità e i mass media (cinema e televisione in particolare)[4].

Per quanto riguarda la storia dei processi produttivi e delle forme di organizzazione del lavoro industriale, come è noto, si individuano nella rivoluzione fordista prima, fino agli anni settanta del Novecento, quindi nella nascita di un sistema economico differente, dopo la crisi petrolifera, legato alla ‘rivoluzione’ elettronica e successivamente digitale, i due momenti fondamentali che determinano due diverse ere e due storie del lavoro, dell’industria, della tecnologia, della comunicazione[5].

Lo storico Giovanni De Luna, nelle sue fondamentali riflessioni sulle fonti per la storia contemporanea, constata come, finita l’influenza, dagli anni settanta in poi del Novecento, delle “diverse culture politiche” sul dibattito storiografico, gli ‘oggetti’ della ricerca storica si siano trasformati “in veri e propri feudi interpretativi, sorretti da archivi centralizzati, istituti e fondazioni, personale scientifico, tutti raccolti intorno agli eroi eponimi (Gramsci, Sturzo, Nenni, Einaudi, La Malfa) …”[6]. Nell’ambito della storia economica, che investe quella d’impresa, quindi gli archivi d’impresa, vale la pena sottolineare come tale fenomeno riguardi anche il settore più specifico della storia del lavoro e dell’industria, delle sue rappresentazioni attraverso la documentazione filmica e fotografica, con la nascita di fondazioni, associazioni, enti e istituzioni culturali che dagli anni settanta in poi vanno costituendosi ad un ritmo crescente, soprattutto negli ultimi due decenni: Fondazione ASSI-Associazione di Studi Storia dell’Impresa, Associazione Centro per la cultura d’impresa, Fondazione Gianni Agnelli, Fondazione IRI, Fondazione Ansaldo, Fondazione Olivetti, Fondazione Eni…

Facciamo un passo indietro per definire il contesto del nostro ragionamento. Proprio nel decennio che segna lo spartiacque in Italia (e non solo) tra i citati due periodi della storia economica, nasce nel 1978 il Comitato di scienze economiche del CNR, al cui interno lavora la Commissione per gli studi di storia dell’industria, con finalità soprattutto di promozione e rilancio della business history nel nostro paese, quindi di stimolo per le grandi imprese italiane in ritardo rispetto ad altri paesi europei e americani, nella costituzione, nel recupero, nel riordino e nella valorizzazione dei propri archivi e fondi storici[7]. È il momento in cui la grande fabbrica va scomparendo e con essa tutto un mondo organizzativo e produttivo la cui memoria, come per numerose altre storie, va salvata, anche per dare un senso e ribadire le tante identità dei soggetti che ne hanno fatto parte e l’hanno costruita (industriali, imprese, operai, sindacati, partiti). Dagli anni settanta del Novecento, con alcuni precedenti già dalla fine degli anni cinquanta, l'Amministrazione archivistica e l'Associazione nazionale archivistica italiana, attraverso le soprintendenze e le sezioni regionali dell’Anai, si sono adoperati per il recupero degli archivi d’impresa, di prodotto, di credito, economici, collaborando con società, aziende, fondazioni già costituite, banche, al fine di censire, quindi di valorizzare il patrimonio storico dell’industria italiana, ma anche quello relativo al mondo del lavoro e delle sue associazioni, ovvero, gli archivi sindacali[8]. Numerosi e a cadenza periodica, da allora, anche i seminari, i convegni, le presentazioni di risultati di studi e ricerche, di censimenti, di inventari, nonché le iniziative di formazione per gli operatori culturali addetti al trattamento della documentazione storica e del patrimonio delle imprese. I progetti, tramite la costituzione di fondazioni d’impresa territoriali, quindi di una rete tra le stesse, mirano soprattutto alla valorizzazione dei patrimoni, e "rivelano che l’impresa riconosce la presenza al proprio interno di una sommatoria di valori immateriali e decide quindi di tutelarli istituendo una forma giuridica diversa da sé. Ciò genera una dialettica ‘distacco e legame’ tra due poli: da un lato il legame, cioè la rivendicazione dell’intimo radicamento dei valori identitari nell’organizzazione dell’impresa; dall’altro l’accettazione del distacco come requisito necessario perché attorno a quell’identità possa svilupparsi il riconoscimento e la condivisione delle comunità presenti sul territorio. Di qui l’importanza del patrimonio culturale che consente agli uomini di riconoscersi nelle fotografie, [nei film], nelle carte e nei manufatti, e di associare il proprio vissuto a quello dell’impresa mediante un’interazione positiva tra dato personale e dato impersonale. Infine, il legame con il territorio rende necessario riconoscere e portare attenzione alle esigenze locali, atteggiamento che attenua la tradizionale separatezza tra fondazioni di erogazione e fondazioni operative"[9]

Grazie a questo incremento di fervore e a questa vivacità politico-culturale degli archivi d’impresa e degli enti a cui fanno capo, i loro patrimoni e le loro iniziative sono diventati oggetto di sempre maggiori attenzioni, soprattutto da parte del Ministero dei beni le attività culturali e del turismo, nonché di occasioni di visibilità e rappresentatività pubbliche, territoriali e nazionali, oltre che di dibattiti e di progetti speciali, nel tentativo di valorizzarne al meglio la storia e l’identità, al tempo stesso di farla coincidere con quella del paese e degli altri soggetti culturali[10] e viceversa. Pur in un quadro ottimistico di tutela e valorizzazione di questi archivi, non sono mancate voci preoccupate, per esempio quella di Alessandro Lombardo: 

Gli archivi d’impresa hanno assolto fra gli anni Ottanta e Novanta una missione fondamentale, pioneristica, irripetibile; lungo le diverse filiere del sistema produttivo italiano hanno dato concreto avvio all’endiadi tutela e valorizzazione, ma qualsiasi sia la loro configurazione istituzionale – anche una fondazione – hanno appunto il limite di dover seguire le sorti dell’impresa cui appartengono. E si pensi quindi a quali conseguenze si possono avere nel caso di scorpori, fusioni, riorganizzazioni, fallimenti, o anche – più semplicemente – a un cambio nella media e nella alta dirigenza[11].

 Nello stesso intervento, Lombardo sottolinea l’importanza della funzione degli archivi economici territoriali (gli Archivi regionali dell’industria ipotizzati già all’inizio degli anni settanta), “strada intrapresa a Milano con l’appena citato Centro [per la cultura d’impresa] e a Genova con la Fondazione Ansaldo”, i cui “risultati raggiunti sono stati superiori ad ogni aspettativa”[12]. L’autore indica anche il ruolo svolto in tal senso dalla Fondazione Piaggio nel proprio territorio. Azioni che sono riuscite “a far crescere la consapevolezza delle imprese come soggetti sociali oltre che economici”, finalità in cui un ruolo importante ha giocato forse soprattutto la documentazione fotografica e filmica, più immediata, riconoscibile, comprensibile, il cui recupero, soprattutto per la fotografia e le fonti orali, ha significato anche un uso in termini di valorizzazione in mostre, allestimenti di musei o loro sezioni. 

Contemporaneamente a questa tendenza negli archivi d’impresa, con i suoi modelli, un’altra analoga si è andata affermando, su posizioni ideologiche differenti, forse con l’affermarsi di altri “feudi” di indagine sociale e politico-culturale. Ci riferiamo a realtà, organizzative e associative, complementari a quelle delle imprese, con i loro patrimoni archivistici altrettanto preziosi, il cui recupero e la cui valorizzazione hanno impegnato altrettante energie, prodotto iniziative, spesso parallele. Si tratta delle organizzazioni sindacali, la CGIL, in primo luogo, ma anche la CISL, la UIL, gli Istituti Gramsci, altre istituzioni, già citate dallo storico Giovanni De Luna, a cui aggiungiamo per esempio la Fondazione Giuseppe Di Vittorio, la Fondazione Giacomo Brodolini, la Fondazione Bettino Craxi, nonché quelle partitiche, come la Fondazione Margherita, la Fondazione dei DS[13], per arrivare a più ‘giovani’ organismi impegnati nel recupero della memoria dei movimenti collettivi, con associazioni nate ad hoc, come l’Associazione per un archivio dei movimenti di Genova[14], per citare una delle più recenti, costituitasi nel 2009, ma con l’ampio progetto di fare rete tra strutture o realtà analoghe. I già citati Istituti Gramsci, per esempio, sono tra i primi, nei loro patrimoni, a custodire importante documentazione sonora, audiovisiva, fotografica sul mondo del lavoro, sulle lotte dei lavoratori per i loro diritti, sulle stesse imprese[15]. Tutte le realtà citate hanno o potrebbero avere, perché magari non ancora recuperate e descritte, “collezioni” documentarie di carattere sonoro, video, filmico, fotografico attinenti al mondo del lavoro. Tra le organizzazioni citate non possono mancare realtà di tutela e conservazione “politicizzate”, nate appositamente con la finalità di recuperare e valorizzare soprattutto la documentazione filmica e audiovisiva relativa, tra l’altro, al mondo del lavoro, dei sindacati, dei movimenti collettivi, quale la Fondazione Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico (Aamod)[16]. Segnaliamo inoltre l’Archivio nazionale cinematografico della resistenza (Ancr)[17] di Torino che raccoglie e conserva testimonianze e documentari relativi, oltre alla Resistenza, alla guerra di liberazione e all’antifascismo, anche alla storia del lavoro e alle storie dei lavoratori.

Tra il versante della valorizzazione della storia d’impresa e del lavoro industriale, ma anche di quello contadino e la caratteristica di un centro di studi e ricerche, con relativi patrimoni, sulla storia del Novecento, intesa come storia anche dei movimenti e dei partiti di massa, si colloca la Fondazione Luigi Micheletti[18] con i suoi straordinari fondi e con il Musil -  Museo del lavoro e dell’industria di Brescia[19]. Di grande interesse la rivista on line della Fondazione: «Altronovecento»[20]. Inoltre citiamo la Fondazione Vera Nocentini “concepita ed organizzata come servizio culturale a disposizione di quanti siano interessati a documentarsi sul sindacato e sui problemi sociali a Torino e in provincia, a studiarne caratteri, vicende ed attività nei decenni successivi alla seconda guerra mondiale”[21]. Recente è la costituzione di un’associazione tra istituti differenti con un progetto molto interessante, che potrebbe rappresentare un mmodello anche per altri organismi, nonché patrimoni: 

         Il progetto dell’ISMEL

L’idea dalla quale si era partiti quasi vent’anni fa era quella di costruire a Torino una “Casa degli Archivi” che raccogliesse  la storia del lavoro e dell’impresa, dai primi dell’Ottocento in poi. Nel tempo il progetto ha assunto una nuova fisionomia. Dalla prima idea di un  soggetto archivistico si è passati a una prospettiva più ampia, quella di un soggetto che fosse in grado di operare nell’ambito della conservazione, ma anche e soprattutto della valorizzazione della memoria dell’impresa e del lavoro e che fosse in grado di fornire a una vasta gamma di soggetti servizi di consulenza e di progettazione. La struttura che si intende configurare è quindi particolarmente complessa. Avrà il suo cuore nell’associazione della Fondazione Gramsci, dell’Istituto Salvemini e della Fondazione Nocentini (i tre soggetti che attualmente sono deputati alla conservazione e alla valorizzazione del patrimonio storico del movimento operaio a Torino, almeno per quanto concerne i tre maggiori sindacati). A questi protagonisti “interni” - nel senso che si trasferiranno fisicamente nella nuova sede di Palazzo San Daniele -  si aggiungono numerosi soggetti che, pur di natura istituzionale diversa e operando in contesti differenti, si occupano  dei medesimi temi e partecipano a pieno titolo all’ISMEL:  Regione Piemonte, Provincia di Torino, Città di Torino, CGIL-CISL-UIL, Unione Industriale di Torino, Camera di Commercio , Archivio Storico Fiat[22].

Uno dei problemi da sottolineare è il fatto che, a parte l’eccezione appena citata, istituzioni operanti su versanti storici e politico-culturali diversi hanno, soprattutto in passato, evitato di colloquiare. Ma tale resistenza è andata scemando proprio con lo sviluppo della consapevolezza dell’importanza del recupero degli archivi in generale, d’impresa come sindacali, di tutti i partiti, quindi delle collezioni documentarie “nuove” o “atipiche”, ibride, terreno su cui gli operatori culturali di qualunque parte hanno iniziato a incontrarsi e confrontarsi[23].

La prima grande stagione di scoperta, riflessione, dibattito, valorizzazione del cinema che racconta, rappresenta, propaganda l’industria e il lavoro industriale, in Italia, è stata tra gli anni cinquanta e sessanta del Novecento, ad opera soprattutto di studiosi di cinema, di registi, di critici cinematografici, nonché di addetti al settore impresa, e, non a caso, coincide con il boom economico e il periodo di massimo sviluppo industriale del paese[24]. Le industrie sono orgogliose di mostrare attraverso il cinema e la televisione le loro meravigliose capacità di invenzione, oltre che ricostruzione, le loro realizzazioni progressiste, civilizzatrici, modernizzatrici. Come evidenzia Anna Maria Falchero, direttore dell’Archivio del cinema industriale e della comunicazione d’impresa di Castellanza, «La Rassegna nazionale del film industriale [organizzata dalla Confindustria] tenne la sua prima edizione nel 1960, affiancando il Festival del documentario industriale ed artigiano di Monza (inaugurato nel 1954 e divenuto Festival europeo del film industriale ed artigiano proprio in quell’anno, per poi assumere, nel 1962, la denominazione di Festival internazionale del film industriale ed artigiano e chiudere i battenti due anni più tardi)»[25].

Già negli anni citati il cinema d’impresa, tra l’altro distinguendosi fortemente da quello “pubblicitario”, rivelava una prolifica attività produttiva, lucidamente mirata alla documentazione del lavoro industriale, dei suoi processi, delle sue attività collaterali, avvalendosi di cineasti, scrittori, intellettuali anche molto noti, con la raccolta e l’organizzazione di collezioni filmiche in costante incremento presso le maggiori imprese italiane[26]. Giova ricordare che il primo Repertorio del film industriale, a cura della Confederazione generale dell'industria italiana, sia del 1961, pubblicato dalla Franco Angeli Editore. In questi film, come in altri commissionati non dalle imprese ma da organismi “antagonisti”, come i sindacati o il Partito comunista italiano, che inviavano i cineasti di sinistra a svolgere le loro inchieste di altra informazione, rispetto a quella televisiva, o d’impresa, sono poco documentati lo svolgersi del lavoro e le sue azioni, gli operai al lavoro, la loro fisicità, il loro interagire con macchine e altri strumenti, per non parlare del lavoro contadino e artigianale. I registi di allora lamentano la grande difficoltà di entrare nelle fabbriche e di riprendere gli operai al lavoro, di riprendere il lavoro in generale[27]. Il dibattito su questo aspetto è ricco e approfondito, benché conosciuto soprattutto nell’ambito di una certa area culturale e politica di studi e ricerche. Questo dibattito non riguarda solo gli storici, a qualunque settore di indagine essi siano dediti, ma anche i registi, di cinema documentario soprattutto, impegnati nel racconto, o meglio nell’interpretazione della realtà, ovvero nella sua documentazione, durante il suo svolgersi in fenomeni sociali, primo fra tutti, quello del lavoro[28]. Riguarda registi che lavorarono per l'industria, ma con una attenzione e una sensibilità anche nei confronti del lavoro e dei lavoratori in particolare, per esempio Ermanno Olmi che nel volume Cinema industriale e società italiana. Analisi di un triennio e prospettive per uno sviluppo, del 1972, nella sua introduzione scrive, con una grande, forse esagerata fiducia, che sconfina nell'utopia, facendo riferimento a un dibattito e a un incontro in realtà ancora di là a venire: "[…] mi sorprende che dopo tanto tempo la Confindustria riprenda un discorso che molti anni fa era stato avviato, ma poi sempre rimandato. Questo stupore, però, è positivo; finalmente sento che interrogativi necessari per inserire la realtà del lavoro nella realtà totale, cominciano ad essere posti. E il cinema, questo straordinario mezzo per stare insieme, viene subito alla mente quando ci sono dei quesiti, degli interrogativi che ci dobbiamo porre. Il cinema, proprio, ci aiuta a portare questi interrogativi negli angoli più lontani; e dirò di più: essi sono posti con quella carica emozionale e spettacolare che solo il cinema può avere […]. Questo impegno della Confindustria di riconsiderare, sotto una nuova angolazione, i mezzi audiovisivi, il cinema, la televisione, ecc., per interrogarsi, mi si consenta la distinzione, ed interrogarci, noi che al mondo del lavoro partecipiamo direttamente o indirettamente, è un segno veramente incoraggiante. […] il primo problema che balza subito in evidenza è quello della produzione, ossia che tipo di film producono i responsabili del mondo del lavoro[29]."

            Dall' “altra parte”, L’Ucca-Unione Circoli Cinematografici Arci, l’Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico, la CGIL sono organismi che, parallelamente alle imprese e alle loro fondazioni, alle associazioni culturali, ai centri di documentazione, da decenni organizzano, tra altre iniziative, rassegne e seminari, nonché convegni internazionali dedicati proprio al tema della rappresentazione del lavoro nel suo complesso, del lavoro operaio in particolare, chiamando a confrontarsi su tale tema personalità del mondo non solo cinematografico, i registi e i critici “impegnati”, militanti, ma anche rappresentanti politici e sindacali, storici, giornalisti, scrittori, docenti universitari, lavoratori, conservatori di archivi audiovisivi, operatori culturali. Tra le iniziative più importanti dell'AAMOD citiamo per esempio, La sortie des usines. Il lavoro industriale nei cento anni del cinema, rassegna cinematografica, svoltasi a Torino in quattro giornate, in occasione delle celebrazioni per i cento anni del cinema, nel 1995. Rassegna alla quale è seguito un convegno: La rappresentazione del lavoro alla fine del ‘900, quindi la pubblicazione di un'inchiesta interdisciplinare con lo stesso titolo della rassegna[30]. Nel 1998 a Roma, l’Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico ha organizzato il convegno internazionale Archivi audiovisivi europei un secolo di storia operaia, con rassegna cinematografica, i cui atti, pubblicati in collaborazione con l’allora Ufficio centrale per i beni archivistici del Ministero per i beni e le attività culturali, rappresentano ancora uno strumento prezioso e attuale sullo stato dell’arte in Italia e in Europa in merito al tema delle fonti audiovisive e del lavoro, del cinema d’impresa, della conservazione di tali fonti, e del rapporto tra cinema e storia[31].  Fondamentale nel 2000 la pubblicazione Filmare il lavoro, panoramica ragionata a tutto campo, forse la più approfondita degli ultimi decenni, relativa al cinema di fiction e non fiction sulla rappresentazione del lavoro nel cinema e nella televisione. Particolarmente interessante la ricca bibliografia, in appendice al volume, con indicazioni di studi e ricerche su questo tema avviati già dalla fine degli anni cinquanta/primi anni sessanta del Novecento, in particolare sul cinema d’impresa e da parte innanzitutto di critici cinematografici, come Ernesto G. Laura[32]. Per una approfondita, appassionata, disincanta e rigorosa disamina a tutto campo del lavoro, dalle origini alle soglie del 2000, nel cinema, sia di fiction che di non fiction, in Italia, con riferimenti anche all’estero, indichiamo i saggi del critico cinematografico, nonché storico del cinema, Mino Argentieri, contenuti in citate pubblicazioni sul tema, a cura dell’Archivio audiovisivo del movimento operaio[33].

Nel 2001 la CGIL aderisce all’iniziativa dell’Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico e dell’Arci-Ucca di realizzare un altro strumento prezioso, sorta di catalogo dei principali film sul lavoro in ogni settore, con una serie di saggi introduttivi e l’indicazione delle principali strutture di conservazione[34].

Segnaliamo infine un progetto speciale a cui la Fondazione Aamod si è dedicata nei primi anni del 2000, per la costituzione di un Museo multimediale del lavoro, progetto ambizioso e originale che purtroppo non ha avuto attuazione al momento, ma che è stato presentato in un convegno, organizzato in collaborazione con il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro - Cnel, quindi nella pubblicazione degli atti[35]L’elenco delle pubblicazioni e i riferimenti alle rassegne ed iniziative sul tema, potrebbe proseguire a lungo. Ci limitiamo in questo contesto a fornire solo alcune indicazioni, sorta di promemoria e di orientamento, anche per introdurre un altro spunto di riflessione. Un confronto aperto e più approfondito su questo tema, teso a far colloquiare, al di là delle intenzionalità a cui abbiamo prima accennato, il punto di vista del cinema d’impresa, dell’occhio dell’industria e quello dei “lavoratori al lavoro”, è stato e continua ad essere difficile da attuare. È possibile segnalare una iniziativa recente, la cui prima edizione è stata realizzata nel 2009, a cura dell’Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico e dell’Archivio nazionale del cinema d’impresa di Torino, intitolata in modo eloquente: Memoria contesa/Memoria condivisa. Il lavoro nei documenti filmati dell’impresa e del movimento operaio. In entrambe le edizioni, del 2009 e del 2010, sono stati invitati ai dibattiti, oltre registi e responsabili di archivi sindacali, numerosi conservatori di archivi d’impresa[36]. 

Un approccio pioneristico in tal senso è stato quello del critico cinematografico Claudio Bertieri che, nella Genova dell’Italsider, dagli anni sessanta in poi, ha organizzato rassegne con presentazioni di film e dibattiti sulla rappresentazione del lavoro industriale e del lavoro operaio nell’industria, nel caso specifico, prendendo spunto dai film dell’Italsider[37]La documentazione filmica e fotografica sul lavoro industriale, relativa in particolare al secondo periodo della storia economica, dalla seconda metà degli anni settanta ad oggi, risulta essere, pur nella “abnorme in-formità” delle immagini televisive, la meno significativa e consistente, come si evince dagli interventi in tutte le iniziative citate, svolti da studiosi di storia della televisione, nonché da programmisti e dirigenti della Rai, sebbene abbiano tentato comunque di segnalare quanto prodotto e conservato su questo tema, presso gli archivi della Rai. È interessante in tal senso la testimonianza di Renato Parascandolo: 

Il lavoro delle classi subalterne, ma in particolare il lavoro della classe operaia, è stato storicamente un ‘lavoro nascosto’ all’interno dei mezzi di comunicazione di massa, in special modo per quanto riguarda la televisione. […] A questo proposito, io ho avuto la fortuna, e sottolineo questa parola, di fare con altri colleghi della Rai un’esperienza particolare […] a metà degli anni Settanta, quando, per una stranissima congiuntura, all’interno dell’Alfa Romeo, che dopo la Fiat era il maggiore gruppo automobilistico italiano, con una sua lunghissima tradizione, si verificò una situazione di vacanza di potere nel vertice aziendale. Noi della Rai, grazie a un compiacente direttore del personale che aveva una certa sensibilità nei confronti della documentazione, avemmo l’opportunità di entrare nell’Alfa Romeo e di documentare ciò che accadeva all’interno di una fabbrica, per circa quattro mesi. […] E’ straordinario che noi lo facessimo esclusivamente dalla parte degli operai, cioè senza che ci fosse nessun controllo dei dirigenti dei reparti e dell’azienda […] E questo ha reso possibile la realizzazione di quattro ore di inchiesta televisiva, che a quanto mi risulta è una delle pochissime realizzate in Rai. […] Tant’è che alcuni anni dopo, Henry Kissinger, che nel frattempo si era ritirato dalla politica, ci chiese ufficialmente le videocassette del programma televisivo, per poterle usare nel corso del suo insegnamento universitario, per spiegare ai suoi allievi l’originalità del caso italiano, quello che allora si chiamava così perché c’era un Partito comunista molto forte[38].  

Nell’ambito delle riflessioni storiche, tecnico-scientifiche, dei dibattiti sulla rappresentazione filmica e fotografica del lavoro e dell’industria, poco posto hanno finora trovato le metodologie di trattamento delle nuove fonti filmiche e fotografiche scoperte o ri-scoperte negli archivi degli organismi finora citati (d’impresa, o di altro tipo)[39]. Si è preferito e si preferisce tuttora scegliere una politica di “isolamento” di queste fonti dal loro contesto storico-produttivo[40] aziendale o di altro tipo,  affidandole sempre più spesso a strutture di concentrazione, che si occupino solo di audiovisivi, o relegandole, rispetto agli archivi nel loro complesso al ruolo di materiale “da collezione”, da trattare a parte, probabilmente anche a causa della diversità e della difficoltà di trattare i loro supporti. D'altra parte va considerata anche la forte se non totale dispersione delle carte relative proprio alla realizzazione di questi documenti/prodotti dell'industria. Per la tutela in particolare dei supporti pellicola e videomagnetici di queste “collezioni”, che richiedono competenze molto specifiche, si fa riferimento oggi a organismi che abbiano una tradizione consolidata nel settore, quali l’Archivio nazionale del cinema d’impresa di Ivrea, che sebbene nato di recente, come vedremo, è una ‘costola’ del Centro sperimentale di cinematografia-Cineteca Nazionale di Roma. Un altro organismo con una storica vocazione alla raccolta, allo studio, alla valorizzazione del cinema d’impresa, promosso dalla Confindustria, è l’Archivio del cinema industriale e della comunicazione d’impresa LIUC di Castellanza[41], istituito nel 1998, ma preceduto, come abbiamo visto, da strutture operanti in tal senso già dalla metà degli anni cinquanta del Novecento. Quest’ultimo ha sviluppato negli anni una mission nel campo della raccolta, studio e valorizzazione dei film d’impresa, con la costruzione di un catalogo generale, consultabile on line, quindi di un primo esperimento di censimento dei film prodotti dalla e per l’industria dalle origini ad oggi. Accanto al catalogo generale si trova il catalogo relativo al Carosello televisivo, i cui video furono per la maggior parte realizzati dalla Gamma Film[42]. Inoltre, “l’Archivio sta procedendo alla digitalizzazione dei filmati conservati presso Confindustria (1.500 filmati per un totale di circa 30.000 ore), che costituiscono il suo nucleo originario e il fondo di maggiore consistenza, ma è in possesso anche di un numero rilevante di film provenienti da altre cineteche aziendali (Edison, Montecatini, Alfa Romeo ecc.) o da singole imprese (Barilla, Ferrero, Elettrochimica del Caffaro, Torno, Cecchetti, Shell) mentre è stato acquisito anche l'archivio personale del regista Giovanni Cecchinato. Consistenti "giacimenti” sono stati individuati presso altre grandi imprese (Gruppo Finanziario Tessile, Hoechst, Eni, Carlo Erba, ecc.), e l'attività di censimento e raccolta dell'Archivio continua costantemente”[43].

Rappresenta sicuramente un buon risultato il fatto che sempre più aziende siano consapevoli dell’importanza della salvaguardia, nonché valorizzazione, della documentazione audiovisiva, all’interno dei loro archivi. Quello che manca è un effettivo censimento delle collezioni filmiche relative alla memoria dell’impresa e del lavoro in Italia, così come Tommaso Fanfani lamentava, più un generale, la mancanza di un censimento degli archivi d’impresa[44]. Ma proviamo a tracciare una mappa dei luoghi di conservazione delle fonti filmiche che raccontino e documentino il lavoro, la storia delle aziende, dei processi produttivi, del mondo economico, sparse in numerose strutture. Tra gli archivi d’impresa più sensibili al recupero anche di fonti filmiche, grazie a un vero e proprio patrimonio specifico costituitosi sin dalla nascita, la cui produzione spesso è stata affidata a reparti foto-cinematografici appositamente creati, o ad autori  celebri, troviamo la Fiat, il cui patrimonio cinematografico è stato affidato, tra il 2006 e il 2007, al citato Archivio Nazionale del cinema d’impresa di Ivrea, per consentirne un trattamento di conservazione e restauro, soprattutto dei film su pellicola, più adeguato. Un’attenzione particolare merita dunque il progetto e il lavoro di recupero e della salvaguardia delle ‘collezioni’ filmiche di imprese italiane, avviato da quasi un decennio da Sergio Toffetti, già conservatore della Cineteca Nazionale a Roma. Si tratta del citato Archivio Nazionale del cinema d’impresa di Ivrea, inaugurato nel 2006 con la finalità da una parte di ‘salvare’, conservare e restaurare i film e i loro supporti, grazie a professionalità altamente specializzate, quindi di valorizzare il cinema d’impresa nell’ambito di un progetto più ampio, finalizzato a dare, o restituire a questo settore importante del cinema documentario, un ruolo di rilievo nella storia del cinema in generale[45]. Altra vocazione di questo organismo è quella di voler essere un, o il punto di riferimento nazionale per il settore della tutela dei film d’impresa e sul lavoro, in collaborazione con il Ministero per i beni e le attività culturali[46]. L’Archivio è stato ufficialmente istituito nel 2006 a Ivrea, grazie a una convenzione tra il Centro Sperimentale di Cinematografia, la Regione Piemonte, il Comune di Ivrea e Telecom Italia Spa. Presso la sua struttura si conservano oltre 50.000 rulli di film realizzati a partire dai primi anni del Novecento. Si tratta di giacimenti documentari filmici versati a questo organismo da imprese, o enti che li detenevano. Riportiamo la descrizione delle collezioni principali, pervenuta a chi scrive, non reperibile al momento in rete, redatta a cura dello staff dell’Archivio nazionale del cinema d’impresa, in particolare da Arianna Turci[47]: 

Fiat (1911-2001)

I film prodotti dalla Fiat sono circa 1.200 titoli, a cui si aggiungono colonne sonore, “girati”, tagli e copie multiple per un totale di  26.000 rulli.

L’intero fondo è costituito da materiali realizzati in ambito d'impresa a partire dalle origini del cinema: documenti visivi che costituiscono una fonte primaria per la ricostruzione della storia economica e sociale del Novecento e della città di Torino. L’attività cinematografica Fiat si incrementa soprattutto a partire dalla fondazione di Cinefiat nel 1953, una vera e propria casa di produzione cinematografica che consente di diffondere in modo più strutturato l’immagine dell’azienda, avvalendosi dell’opera di tanti artisti come Franco Fortini, Alessandro Gassman,  Alessandro Blasetti, Steno, Valentino Orsini, Giorgio Treves, Nikita Michalkov, Claude Lelouch, Franco Taviani e Victor de Santis.

Per questi autori il cinema industriale diventa un’occasione per sperimentare nuovi linguaggi senza limiti di mezzi, per la Fiat un modo per mostrare a più pubblico possibile il proprio mondo. 

Montecatini, Edisonvolta[48], Montedison (1925- 1985)

Dal 2003 la cineteca storica Edison è conservata presso l’Archivio Nazionale Cinema d’Impresa ed è costituita dai filmati prodotti dalle strutture di produzione cinematografica della Edisonvolta, della Montecatini e della Montedison, per un totale di circa trecento titoli che delineano la storia delle tre società dagli anni Venti agli anni Ottanta del Novecento. La Montecatini è stata una delle prime società italiane a rendersi conto dell’importanza del cinema come strumento di documentazione del lavoro industriale. Risalgono infatti al 1925 i primi film realizzati dall’azienda per presentare impianti e lavorazioni della Società, soprattutto nel campo dell’agricoltura. All’interno della Edison esemplare è la carriera di Ermanno Olmi. I film prodotti erano rivolti in prevalenza ai dipendenti e miravano, tramite un grande progetto di comunicazione interna, a consolidare il senso di appartenenza all’azienda.

Il cinema della Edisonvolta fu impiegato anche in funzione esterna, per documentare, soprattutto nei primi anni Sessanta, l’impegno nel settore idroelettrico e le molteplici attività del Gruppo, facendosi carico in genere del profilo pubblico della società. La nazionalizzazione dell’energia elettrica (1962) e la defezione di Ermanno Olmi segnarono il declino dell’esperienza cinematografica della Edisonvolta.

Olivetti (1949-1985)

La produzione cinematografica della Olivetti si distingue non solo per l’importanza storico-economica dei filmati realizzati ma anche per l’uso di un linguaggio innovativo, per l’eccezionalità delle collaborazioni artistiche e per la varietà degli argomenti trattati. Il Fondo Olivetti che consta di  985 pellicole è accessibile presso l’Archivio Nazionale Cinema d’Impresa grazie ad un intenso programma di catalogazione e digitalizzazione cui sono stati sottoposti i materiali. I documentari istituzionali illustrano la ricca produzione dell'azienda e i numerosi servizi sociali offerti ai suoi dipendenti: asili, scuole di formazione, biblioteche e mense; questi filmati suscitano oggi interessanti riflessioni su un modello di imprenditoria che ha arricchito la comunità del Canavese e tutto il territorio circostante. Oltre a documentare la propria storia industriale, la produzione audiovisiva della Olivetti ha dimostrato sempre un vivo interesse per l'arte e  l'industrial design. I preziosi documentari sull’arte realizzati da Carlo Ludovico Ragghianti per la serie SeleArte Cinematografica utilizzano il linguaggio cinematografico come strumento di lettura critica delle opere d’arte e di educazione dello spettatore. Secondo le intenzioni di Raggianti, SeleArte è stato un tentativo di educazione pubblica su grande scala ai valori delle forme e delle opere d’arte che il mezzo cinematografico ha permesso di diffondere ad un vasto pubblico. Ma è soprattutto a partire dagli anni Sessanta che l’azienda investe sull’uso innovativo del linguaggio espressivo: la campagna pubblicitaria Valentine diretta dal suo designer Ettore Sottsass, i filmati promozionali Cosmotronic. Olivetti for Information e Macchina Cerca Forma, tra gli altri, sono a tutti gli effetti opere di video arte, più che filmati pensati per promuovere un nuovo prodotto Olivetti.

Innocenti (1955-1970)

Questo fondo filmico è stato depositato presso l’archivio dalla Fondazione ISEC (Fondazione Istituto per la Storia dell'Età Contemporanea) di Sesto San Giovanni, Milano. Il fondo Innocenti risulta lacunoso e quindi incompleto perché molti materiali sono andati perduti dopo la dismissione dell’azienda. I materiali conservati presso l’archivio documentano l’attività dell’azienda negli stabilimenti Innocenti di Lambrate e in quelli insidiati in Venezuela, le fasi di produzione della Lambretta e della Mini e le numerose attività organizzate dal lambretta club tra cui il rally di Istanbul. Questa collezione è inoltre composta da spot e caroselli, realizzati fra il 1961 e il 1976, che documentano il grande successo delle automobili Innocenti: la famiglia delle Mini, la Austin A 40 e la Regent e degli scooters. La Innocenti in quarantacinque anni di attività produsse diversi tipi di scooters ma il più celebre è sicuramente la Lambretta, icona della motorizzazione di massa italiana. Per sponsorizzare i suoi prodotti l’Innocenti si avvalse di importanti testimonials, per la maggior parte provenienti dal mondo della musica leggera italiana e di celebri animatori italiani quali Bozzetto e i rappresentanti dello Studio Orti.

Breda (1921-1966)

Questo fondo filmico è stato depositato presso l’archivio dalla Fondazione ISEC (Fondazione Istituto per la Storia dell'Età Contemporanea) di Sesto San Giovanni, Milano. Questa collezione, gravemente frammentaria, risulta incompleta perché molti materiali sono andati perduti dopo la dismissione dell’azienda. I materiali conservati sono in prevalenza “girati” che documentano le attività svolte dalla Breda negli stabilimenti di Sesto San Giovanni negli anni Cinquanta. Rimangono solamente pochi titoli completi per raccontare la vita dell’azienda: questi filmati mostrano la produzione Breda di macchine elettriche quali generatori elettrici, trasformatori per centrali e trasformatori per la distribuzione dell'energia elettrica; la produzione di tram, filobus, elettrotreni, carrozze per i treni e anche di una moderna locomotiva a vapore. Per documentare le attività svolte dalla Breda nel settore del nucleare disponiamo attualmente di un solo film del 1969 che descrive le fasi di costruzione della centrale elettronucleare costruita dalla Breda.

Enea (1955-1990)

L’Enea, Ente per le Nuove tecnologie, l’Energia e l’Ambiente, ha aderito all’iniziativa  della Cineteca Nazionale depositando tutto il proprio patrimonio filmico costituito da  125 documentari. La collezione è composta da 400 bobine per un totale di 226 titoli fra “prodotti finiti” e “materiali di lavorazione”.

I filmati sulle attività dell’Ente, dalla sua nascita ad oggi  (già CNRN, poi CNEN)  sono stati realizzati a partire  dagli anni Cinquanta da autori quali Virgilio Tosi, Michele Gandin, Luciano Emmer, Giulio Macchi, con musiche di Luciano Berio e con animazioni di Gal.

Gli argomenti trattati vanno da uno spaccato dell’industria energetica del XX secolo, con particolare riferimento alla ricerca sul  nucleare, alla biografia  di  Enrico Fermi.

Sono inoltre documentati alcuni eventi di grande valore storico come la prima “criticità” in Italia del reattore Ispra 1, la sua inaugurazione da parte dell’arcivescovo di Milano Giovanni Battista Montini e la costruzione della Centrale di Trino Vercellese. Sono comprese testimonianze storiche di esperti nel settore della ricerca tecnologica applicata in campi quali l’energetica, il calcolo elettronico, la fisica delle particelle e la genetica vegetale.

Enea Antartide (1980-1990)

Il fondo si compone di 200 rulli realizzati in pellicola e magnetico. Sono presenti molto materiali “girati”. Questi filmati illustrano le diverse fasi di lavorazione che hanno portato alla costruzione della base di ricerca Enea in Antartide. Viene inoltre descritta l’attività di ricerca svolta all’interno della base.

AEM (1929-1991)

AEM: Azienda Elettrica Municipale. La società Aem Spa è stata un'azienda energetica con sede legale a Milano che operava con società controllate nella distribuzione di energia elettrica e gas principalmente nella provincia di Milano. Il fondo si compone di molto materiali “girati” che documentano diverse attività organizzate dall’azienda per i propri dipendenti quali gite sociali, colonie per i bambini e attività legate al dopolavoro. Il patrimonio filmico illustra inoltre le visite di ministri agli impianti AEM, il montaggio di impianti e la costruzione di dighe.

Recta Film (1957-2000)

Cesare Taurelli, fondatore con Vittorio Carpignano della Recta Film, casa di produzione di spot e caroselli, ha prodotto la sigla iniziale di Carosello. L’importanza di questo fondo filmico risiede nel fatto che raccoglie le diverse versioni della celebre sigla oltre agli spot e ai caroselli che reclamizzano diversi marchi fra cui: lo scooter Vespa, i surgelati Findus, i gelati Algida, la pasta Barilla, gli alcolici della Martini, la Coca cola, il dentifricio Colgate e i diamanti De Beers.

Filmmaster (1957-1995)

La Filmmaster è una casa di produzione di spot pubblicitari e caroselli fondata a Roma nel 1976 e tuttora operante. All’interno di questo fondo filmico sono presenti numerosi materiali “girati” che permettono di seguire tutta la filiera di produzione del filmato. A questo riguardo è interessante citare il ritrovamento della traccia audio su cui è incisa la voce di Federico Fellini che impartisce istruzioni agli attori durante le riprese degli spot per la Banca di Roma. Questo prezioso documento è stato presentato in anteprima, unitamente agli spot, al Tribeca Film Festival di New York nel 2008. Alcuni marchi sponsorizzati dalla Filmmaster sono: l’automobile Opel, Ford, Ceat e Renault, il chewingum Broolyn, le sottilette Kraft, il Tè Lipton, il distributore di benzina Agip, la moto Honda e il dado Knoor.

Studio G / Metropolitana di Milano

Questo fondo filmico è stato donato all’archivio dalla casa di produzione milaneseStudio G. I filmati documentano sia inaugurazioni ed eventi legati alla città di Milano che le fasi di lavorazione che hanno portato alla realizzazione della metropolitana di Milano.

Italgas (1920-1980)

Italgas S.p.A., società specializzata nella distribuzione del gas, nasce nel 1837 a Torino e nel 1966 il controllo della società passa alla Snam del Gruppo Eni. In quegli anni l’Italgas aveva avviato una massiccia campagna di metanizzazione espandendosi notevolmente nell’Italia del centro-sud.  Gli spot realizzati invitano la popolazione ad utilizzare il gas metano per cuocere i cibi e per riscaldare le abitazioni. I filmati promozionali prodotti dagli anni Sessanta agli anni Settanta puntano sui concetti di sicurezza e risparmio legati all’uso del metano, invece quelli realizzati negli anni successivi sottolineano gli aspetti ecologici legati all’utilizzo del gas rispetto ad altre forme di energia.

ICE (1950-1970)

L’Istituto Nazionale per il Commercio Estero che fino agli anni ‘70 si occupava di distribuire i film realizzati dalle aziende italiane all’estero ha donato all’archivio alcune copie di grande interesse storico relative alle produzioni di Olivetti, Fiat e Montecatini provenienti dalle loro collezioni.

ICI (1950-1970)

L’Istituto di cultura italiana in Spagna che fino agli anni 70’ si occupava di promuovere la cultura italiana in Spagna anche grazie all’ausilio dei film realizzati dalle aziende italiane ha donato all’archivio alcune copie di grande rilievo storico relative alle produzioni di Olivetti, Fiat e Montecatini provenienti dalle loro collezioni.

Aurora (1969-1972)

L’azienda Aurora nasce nel 1919 a Torino e tuttora produce penne e stilografiche. I caroselli prodotti tra il 1969 e il 1972  erano presentati all'interno del contenitore pubblicitario Girotondo che andava in onda nel pomeriggio ed era dedicato esclusivamente ai bambini e sponsorizzava prodotti per la scuola. Gli altri spot della collezione, dedicati agli adulti, puntano a creare l’immagine della penna Aurora come status symbol di un ristretto gruppo sociale.

Birra Peroni (1956-1986)

La società Birra Peroni viene fondata a Vigevano nel 1846 dalla famiglia Peroni, nel 1864 l’azienda si trasferisce a Roma dove è tuttora operante e nel 2003 viene acquisita dalla multinazionale sudafricana SABMiller. Il fondo filmico, prodotto tra 1966 e il 1986, si compone prevalentemente di spot realizzati sia per la televisione che per il cinema e di caroselli. La collezione è stata conservata per anni negli archivi Peroni e successivamente depositata presso l’Archivio Nazionale Cinema d’Impresa; questo ha permesso di non disperdere i materiali e di garantire l'integrità del fondo filmico. I filmati pubblicitari si avvalgono della presenza di testimonials d’eccezione provenienti dal mondo della televisione italiana e dello spettacolo. In particolare la maggioranza degli spot ha come protagonista la leggendaria Bionda Peroni, icona dell’azienda, interpretata da diverse testimonials nel corso degli anni tra cui Solvi Stubing, Michelle Gastpar e Anneline Kriel. I filmati istituzionali descrivono invece l’attività dell’azienda Birra Peroni dalla ricostruzione del dopoguerra alla modernizzazione tecnologica degli anni Ottanta. 

Per motivi di spazio non possiamo riportare l’elenco dei fondi e delle collezioni filmiche relative alla storia dell’industria e del lavoro in Italia conservate in numerose altre strutture. Si tratta di archivi, cineteche, centri di documentazione, istituti culturali per lo più molto noti, che hanno evidenziato on line, sui loro siti web, in maniera più o meno esaustiva, i patrimoni sonori, fotografici e audiovisivi custoditi, la cui illustrazione dei contenuti, in merito in particolare al tema del presente saggio, può essere reperita[49]. Ne citiamo alcuni, a cui magari abbiamo già fatto riferimento: la Fondazione Ansaldo[50]; la Fondazione Dalmine[51], circa la quale segnaliamo in nota un originale progetto di valorizzazione delle fonti fotografiche; l’archivio storico fotocinematografico dell’Istituto Luce, con la banca dati on line dell’intero patrimonio filmico[52]; la citata Fondazione Piaggio[53], nonché la cineteca annessa all’archivio storico dell’Eni[54]; la Fondazione Isec[55], anch’essa promotrice di iniziative originali di valorizzazione di fonti fotografiche e filmiche sul web[56]; l’Archivio storico dell’Enel[57]; l’Archivio Storico e Museo Birra Peroni[58]; la Fondazione Adriano Olivetti[59]; la Fondazione Borsalino[60];  la Fondazione AEM[61], la Fondazione Pirelli[62]… Alcune strutture hanno affidato i loro patrimoni su pellicola al citato Archivio nazionale del cinema d'impresa di Ivrea. Un elenco di musei e archivi d’impresa, con schede di presentazione e link ai siti è consultabile nella banca dati dell’Associazione Museimpresa[63], che organizza ogni anno, da poco meno di un decennio, la Settimana della Cultura d’Impresa, nell’ambito della quale una sezione è dedicata a una rassegna sul Cinema d’impresa.

Alcune società di produzione, come le citate Unitelefilm[64] e Reiac Film[65], hanno realizzato numerosi film documentari di carattere industriale o dedicati al lavoro, spesso commissionati proprio dalle imprese. I fondi delle citate società si trovano presso la Fondazione Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico a Roma.

Non possiamo dimenticare i film dedicati all'industria e alla storia delle imprese, anche statali, realizzati e prodotti dall'Istituto Nazionale Luce e da altre società di produzione, come la Documento Film, per conto del governo, soprattutto negli anni del boom economico e successivi. Il catalogo on line dell'Archivio del Luce è una miniera incredibile, in tal senso.

Inoltre, molta storia del lavoro e delle imprese italiane è raccontata nei film realizzati dall’United States Information Service – USIS, in particolare il "fondo Usis di Trieste", che raccoglie film documentari di informazione, istruzione e propaganda, realizzati nell’ambito e a sostegno del Piano Marshall, il cui nucleo principale riguarda gli anni dal secondo dopoguerra ai primi anni sessanta. I film propongono modelli di vita statunitensi, illustrano e lodano gli aiuti, il supporto organizzativo, formativo e didattico degli americani, narrano della ripresa dell’economia e della vita sociale delle nazioni alleate, uscite distrutte dalla guerra[66]. Si tratta di oltre 500 film, comprendenti documentari, cinegiornali, fiction e di animazione, prodotti in parte negli Stati Uniti, in parte in Italia. Tali film sono fondamentali per comprendere gli sforzi della ricostruzione non solo materiale dell’economia di una società, ma anche di ricostruzione dell’identità, dei valori di libertà e democrazia delle società dei paesi del patto atlantico nel dopoguerra, e naturalmente vanno contestualizzati ed esaminati nell’ambito del periodo storico in cui furono prodotti, ovvero soprattutto dall’inizio della guerra fredda fino ai primi anni sessanta del Novecento[67]. Grazie all’accordo tra l'Archivio Centrale dello Stato e l'Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico, siglato all’inizio del 2013, è stato portato a termine un lavoro di revisione generale del Fondo USIS, che ha reso accessibili, dopo la loro digitalizzazione per il web, tutti i film in tre specifiche playlist sul canale YouTube della Fondazione Aamod[68].

È doveroso infine segnalare un’altra tipologia di strutture che conservano materiale fotografico e filmico relativo alla rappresentazione del lavoro, in particolare bracciantile e contadino, nonché legato al tema del lavoro durante le bonifiche. Ci riferiamo agli ecomusei. In particolare segnaliano l’Ecomuseo del Litorale Romano a Ostia, per la significativa opera di valorizzazione delle fonti filmiche che rappresentano non solo il lavoro bracciantile ma il lavoro operaio e in ogni settore. Diretto da Maria Pia Melandri e Paolo Isaja, intellettuali, operatori culturali, registi tra i più importanti e impegnati nel documentario di ricerca oggi in Italia, il museo è concepito in maniera innovativa e originalissima, come un percorso multimediale di suoni e immagini in movimento che accompagnano il visitatore alla scoperta dell’insolita e poco conosciuta storia del lavoro, dei lavoratori e delle loro famiglie, delle bonifiche del litorale laziale. I due cineasti si distinguono inoltre per la raccolta e la conservazione di documentazione fotografica e filmica su temi sociali, del lavoro, storici, di estrema importanza oltre che di grande consistenza[69].

In conclusione, quello che intendiamo ribadire, avendolo già accennato, è il fatto che, mentre sono ormai abbastanza noti, sia agli archivisti che agli studiosi del settore, ai registi, ai critici cinematografici, i giacimenti filmici e fotografici pubblici relativi alla storia delle imprese italiane, con i loro intenti propagandistici, meno conosciuti sono i fondi, le raccolte, i singoli documenti audiovisivi che raccontano, testimoniano, registrano, rappresentano il lavoro umano, gli uomini al lavoro, nei vari settori dell’economia del nostro paese, soprattutto le trasformazioni avvenute nel mondo industriale e del lavoro dagli anni ottanta ad oggi. In particolare, quasi del tutto sconosciute, per quanto esigue, rimangono le documentazioni realizzate da coloro che operano secondo il  punto di vista del lavoro e dei lavoratori, quelle dei movimenti collettivi, dei singoli soggetti che fanno capo ad essi, militanti o meno dei partiti di sinistra o di associazioni, non necessariamente sindacali, di autori cinematografici anche importanti che hanno voluto esprimere il proprio punto di vista indipendente, nonché quello di operai che direttamente si sono cimentati con la macchina da presa, oggi con la videocamera e perfino con i cellulari, per riprendere quanto accade all’interno della fabbrica o del luogo di lavoro. Il lavoro continua spesso ad essere narrato, nei testi audiovisivi, fuori dai luoghi di lavoro, ricostruito, messo in scena, testimoniato, ricordato, evocato altrove rispetto ai luoghi in cui viene svolto, così come i temi ad esso correlati, quali la sicurezza, la salute, il rapporto ambiente di lavoro-vita.

Emerge un’altra questione sostanziale più generale: il fatto che mentre siano ormai avanzati gli studi, le metodologie di trattamento soprattutto delle fonti orali e fotografiche, rimangono tuttora “indietro”, con qualche eccezione, le ricerche, le iniziative di diffusione, anche on line, nonché la letteratura scientifica sulla valorizzazione delle fonti di immagini in movimento relative al tema trattato. Negli ultimi anni si è andata infatti consolidando una tradizione di interdisciplinarietà e condivisione anche di standard soprattutto nel recupero e nella salvaguardia, quindi nell’uso e nel trattamento, di documentazione fotografica e sonora negli archivi d’impresa, con la convergenza di competenze diverse, conservatori, archivisti, fotografi, antropologi, storici contemporaneisti, studiosi d’economia e d’impresa, sociologi, catalogatori, esperti di comunicazione d’impresa[70]. Nell’ambito della valorizzazione delle fonti filmiche, negli archivi d’impresa, come, in realtà, in settori ben più vasti del recupero del bene culturale, continua invece ad esserci un gap culturale innanzitutto, ovvero l’assenza, o l’insufficienza di riflessioni scientifiche e teoriche forti sull'organizzazione, sul trattamento, sulla valorizzazione, sull’uso di tali fonti, sul loro linguaggio precipuo, sulla loro importanza sociale e storica.


[1] Nel presente contributo si riprende, e in parte rielabora, un saggio di chi scrive, Profondità di campo e sguardi multipli. Valorizzare le fonti audiovisive d'impresa e del lavoro: il ruolo della professione dell'archivista e l' “interoperabilità” con gli altri saperi, in «Quaderni della Fondazione Piaggio», 2011-2012, pp. 133-161. Un censimento vero e proprio dei fondi e delle collezioni relativi alle fonti di immagini fotografiche e dinamiche presso non solo gli archivi d'impresa e del lavoro, ma custodite anche in altri archivi pubblici, privati, statali, deve ancora essere realizzato. Accanto a tale censimento sarebbe importante un'indagine sulle metodologie di trattamento e conservazione di tali giacimenti documentari, in relazione ad altre tipologie di fonti.

[2] Cfr. G. De Luna, La passione e la ragione. Fonti e metodi dello storico contemporaneo, La Nuova Italia, 2001.

[3] Per quanto riguarda l’interpretazione critica delle “nuove fonti” audio-visive, comprendendo anche quelle fotografiche, di cui si sono e continuano ad occuparsi in Italia storici come Giovanni De Luna, Pierre Sorlin, Gabriele D’Autilia, Ermanno Taviani, Guido Crainz, solo per citare i più noti, è opportuno ribadire come tale problematica sia strettamente intrecciata con quella della descrizione semantica dei documenti filmici; una questione peraltro tuttora aperta in ambito biblioteconomico e archivistico. Non esistono modelli in tal senso e la stessa figura del documentalista audiovisivo è ancora in via di definizione in Italia, se mai lo sarà. Come rilevato in altra sede, «proprio gli sviluppi della riflessione e del dibattito sulla metodologia di descrizione [semantica, del contenuto] dei documenti audiovisivi ai fini della loro conservazione, dovendo tenere conto della specificità del linguaggio filmico e iconico in genere, potranno fornire importanti suggerimenti circa l’approccio critico, filologico, analitico, alle nuove fonti. […] un modello di descrizione archivistico della documentazione audiovisiva consentirebbe agli studiosi in genere, ai cineasti, ai giornalisti e a qualsiasi utente di accedere non solo al singolo documento, ma a tutto il quadro di riferimento storico, linguistico, culturale, produttivo a cui quel documento appartiene.», L. Cortini, Nella prospettiva dell’archivista, in Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico, L’immagine plurale, «Annale 5», Ediesse, Roma 2002, pp. 133-134.

[4] Lo storico economico Amedeo Lepore, docente all’Università di Bari, rispondendo alle domande di un’inchiesta, a cura di scrive, sull’uso nella formazione universitaria dei documenti filmici, realizzata nel 2008, sottolinea il fatto di usare le fonti audiovisive «abitualmente negli insegnamenti di Storia economica. Da alcuni anni, perlomeno sei. La spinta fondamentale è partita dalla sperimentazione di nuove fonti e nuovi metodi di ricerca, che mi sono apparsi subito utili anche per la didattica, allo scopo di avvicinare i giovani ad argomenti non sempre facili da apprendere e metabolizzare. Inoltre, attraverso la telematica e i materiali filmici e sonori, è stato possibile fare uso di linguaggi diversi, più vicini all’esigenza di una narrazione, come dovrebbe essere l’insegnamento storico. […] Nell’insegnamento di storia economica delle relazioni internazionali, ho predisposto una raccolta di film – solo in parte utilizzati durante il corso – complementari o, perfino, in grado di sostituire le lezioni tradizionali, per raccontare la storia economica dall’età moderna ad oggi. Utilizzo regolarmente, anche nei corsi di storia economica e di storia del marketing, le tecnologie informatiche e i filmati in rete, al fine di meglio illustrare aspetti non secondari del programma di studi», in La Memoria audio-visiva: uso dei materiali filmici e sonori per la formazione universitaria e specialistica. Inchiesta e Convegno nazionale, Roma 1-2 dicembre 2008. Dossier I, in «Il Mondo degli Archivi», n. 3/2010.

[5] Cfr. C. Maier, Secolo corto e epoca lunga? L’unità storica dell’età industriale e le trasformazioni della territorialità, in C. Pavone (a cura di), ‘900. I tempi della storia, Donzelli, Roma 1998.

[6] G. De Luna, op. cit., p. XII.

[7] Cfr. T. Fanfani, Gli archivi d’impresa: lo stato dell’arte, in Dall’archivio alla comunicazione d’impresa, «Quaderni della Fondazione Piaggio», I/2007, p. 111. L’autore sottolinea nello stesso saggio come: «Il Centro studi per la documentazione storica ed economica dell’impresa, promosso da Valerio Castronovo abbia sicuramente contribuito alla sensibilizzazione per il riordino di documentazione storica in molte aziende pubbliche e private, come Breda, Dalmine, Ericsson, ENEL, ENEA, ENI, Alfa Romeo e Fiat.», p. 124. Imprese, quelle citate, che hanno tutte prodotto anche degli importanti e consistenti patrimoni cinematografici. Per quanto riguarda le sollecitazioni per lo storico dell’età contemporanea, in tema di uso pubblico della storia nella “grande arena mediatica”, Giovanni De Luna sottolinea in modo critico come: “alcune di queste (penso alla business-history), sono facilmente e compiutamente riconoscibili nelle loro finalità di assecondare gli «egoismi particolaristici» dei diretti interessati”, op. cit., p.77.

[8] Cfr. a tal proposito l’efficace ed esaustivo testo di P. Carucci, Un bilancio ventennale sugli archivi d’impresa, in «Culture e Impresa», rivista on line, n. 3/2006.

[9] Giuseppe Paletta, Primo seminario delle fondazioni d’impresa, in «Culture e Impresa», rivista on line, n. 8/dicembre 2009.

[10] Tra questi molto noto è il progetto della Direzione Generale degli Archivi (DGA) sul SAN - Sistema Archivistico Nazionale,  dell'organizzazione di vari portali tematici, tra i quali il primo, quello che ha catalizzato le maggiori energie da parte dell’amministrazione archivistica, è stato proprio il Portale degli Archivi d’impresa: http://www.imprese.san.beniculturali.it/web/imprese/home.

[11] A. Lombardo, L’archivio economico territoriale: una soluzione ai problemi di crescita degli archivi d’impresa?, op. cit., p. 46.

[12] Ibidem, p. 48.

[13] Interessante la presentazione del Progetto, che risale al 2007, per il recupero e la valorizzazione degli archivi dei Democratici di Sinistra, inviato a tutti i militanti, le sezioni, le sedi con l’esempio di scheda di censimento e le istruzioni per i primi interventi. Purtroppo il sito non è più attivo.

[14] http://www.archiviomovimenti.org/. Cfr. Domenico Letizia, L’Archivio dei movimenti di Genova, «Il Mondo degli Archivi», n. 1/2011, www.ilmondodegliarchivi.org.

[15] Consulta per esempio la pagina del sito dell’Istituto Gramsci di Torino, relativa anche al patrimonio sonoro, iconografico, fotografico e audiovisivo: http://www.gramscitorino.it/it/la-fondazione/archivio.html.

[16]  Per una sintesi della storia della Fondazione Aamod si rinvia sia al sito internet: www.aamod.it, in particolare alle pagine di descrizione del patrimonio, quindi dei soggetti produttori: http://www.aamod.it/patrimonio, inoltre al volume Vent’anni,  «Annale 2», Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico, Roma 1999. Nei fondi descritti relativi ai film conservati, quelli sul mondo del lavoro sono stati prodotti soprattutto dalla società Unitelefilm, di cui si dirà più avanti in una nota successiva, negli anni sessanta-settanta del Novecento, inoltre dalla società Reiac Film e dall’Archivio audiovisivo stesso, dagli anni ottanta e soprattutto negli anni novanta fino al nuovo Millennio, ad opera di una nuova generazione di registi di cinema documentario, i cui autori, titoli, contenuti sono presentati nelle pagine suddette del sito. L’Aamod conserva inoltre numerosi documentari e film di fiction di provenienza sovietica, il cui nucleo principale è costituito dai cosiddetti Classici Sovietici (film di fiction dei primi decenni del Novecento), in cui il lavoro, industriale soprattutto, ma anche contadino è largamente rappresentato. Notevoli inoltre alcuni film che mostrano operai e operaie al lavoro nelle fabbriche statunitensi degli anni venti del secolo scorso. E' possibile accedere alla banca dati on line, per ricerche specifiche su tutte le collezioni filmiche dal blog dell'Aamod dedicato al patrimonio (footage): http://aamod-footage.com/banche-dati-database/.

[17] http://www.ancr.to.it. Segnaliamo, in particolare, la rassegna svoltasi a Torino, a cura dell’Ancr, Il lavoro e i suoi diritti al cinema, realizzata 30 aprile-23 maggio 2008, con una anteprima dedicata al film documentario, Storie di call center, regia di Enrico Omodeo Salè, 2008, 44’, colore.

[19] Si rinvia al sito: http://www.musilbrescia.it/home/.

[20]http://www.fondazionemicheletti.it/altronovecento/. Per informazioni sul patrimonio fotografico, video e cinematografico: http://www.fondazionemicheletti.eu/italiano/documentazione/cineteca/, inoltre http://www.fondazionemicheletti.eu/italiano/documentazione/fototeca/, http://www.fondazionemicheletti.eu/italiano/documentazione/iconoteca/, http://www.fondazionemicheletti.eu/italiano/documentazione/mediateca/. I film industriali e relativi alla rappresentazione del lavoro risalgono ai primi del Novecento. Numerose collezioni sono state depositate per una corretta conservazione e per il restauro, presso l’Archivio nazionale del cinema d’impresa di Ivrea.

[22] ISMEL, Istituto per la memoria e la cultura del lavoro, dell’impresa e dei diritti sociali, http://www.ismel.it/it/ismel/istituto.html.

[23]             L’importanza di un colloquio tra istituzioni che operano su versanti “ideologici” differenti è stata evidenziata da Giuseppe Paletta, sebbene con una intenzionalità precisa: «L’obiettivo politico-culturale sul tappeto è veramente importante: non si tratta unicamente di rendere continuativo il legame tra imprese e cultura, ma soprattutto di far fare un salto di qualità alla cultura d’impresa dando cittadinanza alla pluralità delle voci che operano in essa. Ciò perché l’impresa è un’istituzione corale […]”, ovvero un luogo dove il ‘proprietario’ e gli ‘operai’ sono i soggetti principali. “E allora c’è da chiedersi: di chi è l’archivio d’impresa? Io credo che questo bene culturale non appartenga all’imprenditore, ma all’impresa in quanto istituzione. Occorre fondare il nostro operato su una visione istituzionalista dell’impresa che la esalti come luogo plurale e condiviso dagli operai, dall’imprenditore, dai tecnici, dal management. Credo che il giorno in cui sarà frequente trovare nell’archivio d’impresa non solo le carte aziendali, ma anche quelle del Consiglio di fabbrica, la nostra rivoluzione culturale potrà dirsi vinta.», G. Paletta, Di chi è l’archivio d’impresa? alcune considerazioni su un luogo conteso tra ricerca e marketing, in «Quaderni», op. cit., p. 91. Punto di vista interessante questo, sebbene venga da pensare che si cerchi di creare in sostanza un altro terreno di dominio culturale, gestito da soggetti differenti, considerando l’affermazione, dello stesso autore: «Perché la costruzione del mito dell’impresa abbia valore generale e possa generare consenso sociale attorno all’impresa, l’imprenditore deve accettare il principio della terzietà della cultura […] il cui sviluppo richiede l’affievolimento del principio di proprietà».  Ibidem, p. 90.

[24] Come segnalato da Anna Maria Falchero: «Un’efficace ricostruzione delle varie “fasi” di tale dibattito e delle principali “voci” protagoniste è in L. Boledi, La cineteca Montedison: immagine aziendale, strategie comunicative, tesi di laurea (dattiloscritta), Facoltà di lettere e filosofia dell’Università cattolica del Sacro cuore di Milano, a.a. 1993-1994, capp. 2 e 3.», cfr. A. M. Falchero, Tra manichino ed eroe. Il lavoro nel cinema industriale, in A. Medici, Filmare il lavoro, «Annale 3», Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico, 2000, p. 157, nota n. 1.

[25] Ibidem, p. 157, nota n. 2.

[26] Come segnala A. M. Falchero nel citato saggio, «La Fiat, tutt’altro che estranea all’utilizzo del cinema (il primo filmato porta la data del 1909), creò nel 1952 un reparto cinematografico interno presso la Direzione stampa e pubblicità, il ‘Cinefiat’, mentre nello stesso momento la Montecatini costituiva il proprio ‘Gruppo cinema’, affidandone la responsabilità a Giovanni Cecchinato, che sarebbe poi rimasto a dirigere, dopo la fusione di Edison e Montecatini, la Sezione cinema Montedison», ibidem, pp. 158-159, nota n. 9. Per quanto riguarda la Sezione cinema Edisonvolta proprio «le attività dopolavoristiche della società, [sono] protagoniste dei primi rudimentali cortometraggi […], la troupe di dipendenti della società che affiancava Ermanno Olmi nelle riprese di Sabbioni: una diga a quota 2500 e de La pattuglia del passo San Giacomo, entrambi girati nel 1954, avrebbe costituito, alle dipendenze della Segreteria generale, un vero e proprio Servizio cinematografico in seno al gruppo, trasformato l’anno successivo nella Sezione cinema Edisonvolta Spa.», ibidem, p. 155. L’aiuto regista di Ermanno Olmi, Walter Locatelli, nel 1959 raccoglie l’eredità del maestro, “passando poi al momento della nazionalizzazione dell’industria elettrica, all’Enel …”, ibidem, p. 158, nota n. 8. L’Eni disponeva dagli anni cinquanta di un Servizio Cinematografico, così come altre imprese i cui archivi sono poi confluiti in Fondazioni aziendali (per esempio l’Italsider-Ilva, il cui fondo cinematografico è ora custodito dalla Fondazione Ansaldo).

[27] Bellissima la testimonianza di Cecilia Mangini, in merito alla realizzazione del film Essere Donne, del 1964, nel corso di una recente intervista, intitolata Tutta la libertà che volevo, pubblicata nel 2010 da rassegna.it su You Tube, il cui testo, trascritto dall’autrice del presente saggio, in parte recita: «In quegli anni noi documentaristi se avevamo un sogno era quello di entrare nelle fabbriche […]. Ma era un sogno assolutamente proibito. Un bel giorno mi chiamano da Botteghe Oscure, perché il Pci ha deciso di affidare a registi della sinistra italiana una serie di documentari che gli serviranno per la campagna elettorale. […] E ci ha chiamato non per suonare il piffero della propaganda del partito, ma per affrontare un tema sociale, di importanza collettiva. A Botteghe Oscure mi chiamano proponendomi di fare un documentario sulla situazione della donna in Italia in quel momento. Mi riceve Luciana Castellina e io ho un batticuore che non ve lo potete immaginare perché avrei fatto carte false per realizzare questo documentario. Però avevo paura che ci fossero dei limiti che mi ponessero degli obblighi. E invece no. Ho tutta la libertà che voglio […]. Io sono partita e sono arrivata a Milano, per quanto riguardava il Nord e poi in Puglia per quanto riguardava il Sud. In Puglia mi apre le porte Valentino Parlato, a Milano sono le Commissioni interne che si sono prodigate per mettermi a disposizione tutto quello che potevano. Addirittura le operaie della Siemens per la scena dei due ragazzi che si incontrano fuori dei cancelli della fabbrica e si scambiano un bacio. Come sono entrata nelle fabbriche? In un modo assolutamente, io credo, incredibile al giorno d’oggi. Perché le fabbriche, è vero, sono il luogo più privato che si possa immaginare, ma io sono arrivata lì dicendo: “Siamo la Rai”. Non avevo un foglio scritto, una richiesta, un timbro, niente, a voce. E io credo sia stata una parola magica, perché le fabbriche si aspettavano, in realtà, che la Rai, la TV di Stato raccontasse agli italiani il luogo dove era nato e si sviluppava e si stava fermando il miracolo economico. Era una aspettativa secondo me giustissima da parte delle fabbriche. E io penso che sia stato quello che mi abbia consentito di entrare spavaldamente dovunque. In un solo posto abbiamo avuto dei problemi, ed è stato alla Philips, quando abbiamo girato l’inquadratura del tempista con il cronometro in mano. A quel punto, i cani da guardia che ci seguivano hanno smesso di sorridere, le operaie che sapevano chi ero e perché facevo quel documentario, ci hanno fatto, io credo con il loro assenteismo, con il loro irrigidirsi sui carrelli della catena di montaggio … capire che la situazione era di pericolo e abbiamo telato. Io credo che mai una troupe sia uscita dalle riprese con il minor tempo di noi. Siamo scomparsi. Ricordo questa Puglia veramente dimenticata, di allora, molto più di quanto non lo sia adesso. Era come rispondere alle aspettative di questa gente, dei meridionali: occuparsi dei loro problemi, di occuparsi di quanto dovevano affrontare. E non era poco quanto dovevano affrontare. Questo documentario viene presentato al Festival Internazionale di Lipsia ed ottiene un premio prestigioso, forse il premio al quale io tengo di più tra tutti quelli che mi sono stati dati. In giuria c’erano Joris Ivens,  Paul Rotha, e John Grierson. Erano il Ghota del documentarismo internazionale, e questa giuria mi conferisce il ‘Premio speciale della Giuria’. Figuriamoci che cosa ho provato quando, presentato il documentario ai premi di qualità [in Italia], la Commissione italiana non lo riconosce sufficientemente ben fatto, non riconosce i suoi meriti cinematografici, e gli nega il Premio di qualità. Perché gli ha negato il Premio di qualità? Era chiaro capirlo: se gli avessero negato il visto di censura sarebbe successo un putiferio. Perché un documentario non circolasse bastava non ammetterlo al Premio e questo gli avrebbe impedito per sempre di girare nelle sale cinematografiche italiane […]». http://www.youtube.com/watch?v=awxFiu5eRxg

[28] Sono pochi i registi, soprattutto negli anni del miracolo economico, riusciti a documentare realmente il lavoro e le sue tracce sui volti e i corpi, così come i gesti e i movimenti, dei lavoratori. Da cineasti molto noti, come Ermanno Olmi, che pur operando all’interno della Sezione cinema Edisonvolta, rappresentava nella metà degli anni cinquanta, nei suoi documentari ‘industriali’ anche la ‘poetica del lavoro’, a registi specializzati in film industriali, come Giovanni Cecchinato, a documentaristi, militanti del Pci, rigorosamente e appasionatamente impegnati nella documentazione dei fenomeni sociali e nella interpretazione della realtà, come Ansano Giannarelli, Ugo Gregoretti, Carlo Lizzani, Francesco Maselli, Ettore Scola, Wladimir Tcherkoff, i fratelli Taviani e molti altri, tra cui la grande Cecilia Mangini, citata precedentemente, spesso dimenticata nei dibattiti e nelle rassegne filmiche dedicate a questo tema, almeno fino ad anni recentissimi. Il suo Essere donne, del 1964, è uno dei film più belli ed emozionanti della storia del cinema documentario italiano. Definito anche il primo film femminista italiano, è  un’inchiesta rigorosa sulla condizione della donna lavoratrice nell’Italia di quegli anni, da operaia, a contadina, a lavorante stagionale nei campi o a casa, ad artigiana e casalinga. Le donne lavoratrici sono riprese durante il lavoro che svolgono in tutti i  loro gesti, espressioni, movimenti, e molto spesso in modo frontale, con ritratti severi e di grande efficacia espressiva. L’opera e la vita di Cecilia Mangini, che ha realizzato importanti altri documentari insieme al marito Lino Del Fra, è raccontata in un film su di lei: Non c’era nessuna signora a quel tavolo, il cinema di Cecilia Mangini, regia di Davide Barletti e Lorenzo Conte, Italia, 2010, 66’, b/n e colore, Teca del Mediterraneo – Fluid produzioni. Il film ha una distribuzione gratuita su DVD, e vi è allegato il volume di Gianluca Sciannameo, Con ostinata passione, 2010.

[29] E. Olmi, Dal film “privato” al film per l'uomo, in C. Pellizzi, R. Petrognani, M. Wolf, F. Zanella (a cura di), Cinema industriale e società italiana. Analisi di un triennio e prospettive per uno sviluppo, Franco Angeli Editore, 1972, p. 7.

[30] Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico (a cura di), La sortie des usines. Il lavoro industriale nei cento anni del cinema, Ediesse, Roma 1995. In una nota, nell’introduzione al volume, Ansano Giannarelli ricorda come la rassegna e il volume siano stati solo una delle numerose tappe di un percorso intrapreso dall’Archivio audiovisivo sul tema della rappresentazione del lavoro, citando diverse manifestazioni, a partire da una rassegna cinematografica svoltasi a Livorno nel 1982, Classe operaia e cinema italiano, per arrivare all’iniziativa, oggetto del volume. Cfr. p. 10, nota n.2.

[31] Archivi audiovisivi europei. Un secolo di storia operaia, Atti del Convegno internazionale e rassegna di film inediti a cura dell’Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico, Roma 20-21 novembre 1998, Pubblicazioni degli archivi di stato, Ministero per i beni e le attività culturali Ufficio centrale per i beni archivistici, 2000.

[32] A. Medici, Filmare il lavoro, «Annali 3» , Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico, Roma 2000. Cfr. Indicazioni bibliografiche, a cura di Eliana Bouchard, pp. 279-291.

[33] M. Argentieri, La fabbrica nel cinema italiano: un problema aperto, in La sortie des usines, op. cit., pp. 107-121. Inoltre, M. Argentieri, I mille lavori del cinema italiano, in Filmare il lavoro, op. cit., pp. 69-87.

[34] A. Medici, F. Rancati, Immagini dal lavoro. La fabbrica, la terra, la città, il mare, la miniera, la ferrovia, la frontiera in cento film, Presentazione di Sergio Cofferati, Ediesse, Roma 2001. Segnaliamo inoltre la seguente pubblicazione della CGIL: Lavori. Cinema al lavoro, in Quaderni. Rassegna sindacale, Anno IV, n. 3, luglio-settembre 2003, Ediesse, Roma 2003, pp. 65-146. In questo numero per la prima volta un saggio della regista di cinema documentario, Silvia Savorelli, offre una panoramica in particolare delle immagini  del lavoro delle donne nel cinema: S. Savorelli, Ssst … silenzio … lavorano le donne, pp. 97 – 104, dove tra l’altro è citata Cecilia Mangini e presentato il suo Essere donne.

[35] A. Medici (a cura di), Per un museo multimediale del lavoro, Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico, Ediesse, Roma 2004. La collaborazione della Fondazione Aamod con il Cnel risale agli anni ottanta, in occasione di una ricerca, che ha prodotto un preziosissimo strumento, ovvero un censimento dei materiali filmici su tale tema, svolta dall’Archivio audiovisivo per conto del Cnel: Audiovisivi di fonte sindacale sul lavoro industriale, Roma 1989, non pubblicata, ma consultabile presso la Biblioteca della Fondazione Aamod. I film censiti sono descritti in modo analitico per quanto riguarda il contenuto, in particolare le sequenze che ritraggono operai al lavoro.

[36] Memoria contesa/Memoria condivisa. Il lavoro nei documenti filmati dell’impresa e del movimento operaio, rassegna cinematografica e tavole rotonde, Torino Ivrea, Roma, 30 novemre-12 dicembre 2009.  L’iniziativa, alla sua prima edizione, si configurava come un vero e proprio Festival del cinema del lavoro. La seconda edizione, Franco Fortini. Storie di cinema tra lavoro e impresa, svoltasi a Torino il 16  e il 17 novembre 2010, ha avuto un carattere più monografico, a cura di Sergio Toffetti, dedicata al rapporto dello scrittore Franco Fortini con il cinema industriale, come illustra Toffetti nell’introduzione al programma delle giornate: «La nuova edizione di Memoria contesa-memoria condivisa – il progetto di ricerca sulla storia sociale del Novecento attraverso il campo/controcampo tra produzioni cinematografiche d’impresa e film militanti – è dedicata a Franco Fortini (Firenze, 1917 – Milano, 1994), una delle personalità intellettuali più vive del dopoguerra, poeta, scrittore, critico militante, polemista acuto e arguto. Negli anni in cui è impiegato presso l’ufficio pubblicità dell’Olivetti, Fortini scrive il primo commento per il cinema: nell’Incontro con l’Olivetti (1950), diretto da Giorgio Ferroni, descrive una “fabbrica-mondo” che sconfina dagli stabilimenti per disegnare, attraverso i servizi e le strutture aziendali tutta Ivrea modellandone i rapporti sociali. Nell’arco di una giornata di lavoro – dall’ingresso all’uscita di fabbrica - si ripercorrono le fasi della produzione: progettazione, disegno, attrezzaggio, fonderia, montaggio, assemblaggio; seguendo gli operai e i loro familiari in mensa, in biblioteca, nei parchi giochi per i bambini fino nel convalescenziario aziendale. In pieno ’68 Fortini scrive altri tre film Olivetti…».

[37] Al 1962 risale la rassegna, a cura di Claudio Bertieri: Italsider presenta: Col ferro e col fuoco (1926); Pianeta acciaio (1962). Nel 1977, sempre a cura di Bertieri:In viaggio con l'acciaio: antologia cinematografica in tre parti presentata dall'Italsider in collaborazione con la Cineteca italiana di Milano, Padiglione Italsider, Sala Lumiere, Fiera di Milano, 14-23 aprile 1977. Segnaliamo quindi una particolarità: nel 1976 Claudio Bertieri organizza una rassegna cinematografica a Tehran: Italian industrial film show in Tehran, at the Tehran film library, january 26.-27/february 2-3, 1976.

[38] R. Parascandolo, RAI: il lavoro nascosto, in Archivi audiovisivi europei un secolo di storia operaia, op. cit., pp. 245-246. Per quanto riguarda interventi relativi a documentazione televisiva della Rai sul lavoro, cfr. anche I. Cipriani, Quando la Rai raccontava il lavoro, in A. Medici, Filmare il lavoro, op. cit., pp. 160-170, in cui si citano trasmissioni, programmi, inchieste relative in particolare al mondo del lavoro contadino, dei minatori, oltre che operaio, nonché i programmi sul problema dell’inserimento nel lavoro dei giovani e della disoccupazione. Inoltre la trascrizione della Conversazione tra Giovanni Cesareo e Raffaele Siniscalchi, Frammenti di lavoro nella Tv pubblica, in La Sortie des usines, op. cit., pp. 87-103.

[39] In generale sul tema del recupero delle fonti audiovisive, Peppino Ortoleva rileva che, al di là dell’iniziale fecondità del dibattito su questa particolare tipologia di fonti storiche, i risultati oggi sono deludenti,  perché: «le ‘fonti filmiche’, lungi dall’essere pienamente integrate nel sistema delle fonti, restano isolate da quelle scritte, orali, fotografiche», P. Ortoleva, Mediastoria, Pratiche Editrice, Milano 1997, p. 159. Nonostante il volume in questione risalga al 1997, dobbiamo constatare che la situazione da allora non sia molto cambiata. Ma vogliamo ricordare che Giovanni De Luna, nel suo libro L’occhio e l’orecchio dello storico, del 1994, cit., per la prima volta, forse, fa riferimento all’importanza in un archivio d’impresa di recuperare e trattare archivisticamente, tenendo conto del vincolo necessario, tutti i documenti, anche di tipologie differenti, compresi quelli sonori e filmici e cita come esempio e modello l’archivio storico della Cinzano, oggi depositato presso la Fondazione Ansaldo.

[40] Continua ad essere non ancora adeguatamente affrontato quell’aspetto del trattamento delle fonti filmiche che non ha a che vedere solo con i supporti, quindi con la conservazione e il restauro, ma anche con la ricostruzione dei contesti storico-produttivi, all’interno di un ente produttore e del suo archivio. Spesso negli archivi d’impresa si tende tuttora a separare o a tenere separate le “collezioni” filmiche e fotografiche dal resto della documentazione e a non recuperare le carte legate a queste fonti, che testimoniano l’attività che le ha prodotte, le finalità, i soggetti produttori, la specificità del loro linguaggio. E’ possibile però ricostruire una mappa della documentazione soprattutto filmica, ma anche fotografica, conservata negli archivi d’impresa, che documenti la storia dell’azienda, ma anche dei processi produttivi e del lavoro delle persone, a partire dalle industrie più grandi del nostro paese, per arrivare a individuare le collezioni delle imprese ‘minori’, e soprattutto, dal nostro punto di vista, le raccolte, i fondi, la documentazione filmica sui lavoratori e sul lavoro, custoditi da fondazioni e associazioni politiche e sindacali, archivi privati, strutture audiovisive e cinetecarie pubbliche, e finanche all’interno di strutture estere.

[41] Sul sito si legge: «… è un’associazione senza scopo di lucro promossa nel 1998 da Confindustria e Università Cattaneo Castellanza – Liuc, a cui nel 2000 ha aderito, come socio, il Centro studi per la documentazione storica ed economica dell’impresa. La sua principale finalità è la promozione della ricerca storica attraverso la valorizzazione della vasta produzione cinematografica industriale italiana. Nella società contemporanea le immagini sono fondamentali per illustrare, comprendere, ricostruire eventi e vicende, storie individuali e collettive, situazioni economiche e sociali. Si tratta di un tipo di documentazione di cui solo recentemente si è compreso il valore storico, la cui “immediatezza” costituisce un indubbio elemento di fascino, ma, al contempo, suscita imprescindibili problemi di interpretazione e trattazione del documento.
L’Archivio è una struttura di ricerca specializzata nella catalogazione, raccolta e studio di questo tipo di documenti, in modo da dare un contributo importante all’affermazione e alla diffusione di una matura cultura industriale nel nostro paese», http://archindhi.liuc.it/archivio.htm.

[42] Il cui archivio, di cui è stato iniziato un primo recupero, a partire dai celebri rodovetri, è depositato presso la Fondazione Micheletti a Brescia.

[43] Ibidem, http://archindhi.liuc.it/mediateca.htm, sezione INIZIATIVE, sottosezione MEDIATECA. Dal citato colloquio con Sergio Toffetti è emersa l’informazione di una collaborazione in corso tra l’Archivio nazionale del cinema d’impresa di Ivrea e quello di Castellanza, che conserverebbe soprattutto film su supporti videomagnetici.

[44] T. Fanfani,  Archivi d’impresa: lo stato dell’arte, cit., p. 125.

[45] Non a caso Sergio Toffetti, direttore dell’Archivio, è un noto storico del cinema, nonché critico cinematografico.

[46] Così vengono presentati, a cura di Sergio Toffetti, questo organismo e le sue attività: “Il cinema industriale ha rappresentato dagli anni Trenta agli anni Ottanta un settore importante della politica aziendale e ha prodotto migliaia di documentari che oggi costituiscono un patrimonio prezioso per ricostruire la storia economica e sociale dell'Italia e più complessivamente la memoria del nostro tempo. La riscoperta degli archivi industriali consente inoltre di valorizzare ambiti produttivi del cinema italiano a lungo dimenticati, reintegrando nelle filmografie le opere realizzate per il cinema d'impresa da importanti cineasti come Michelangelo Antonioni, Alessandro Blasetti, Paolo e Vittorio Taviani, Silvio Soldini, Nelo Risi, Valentino Orsini e Ermanno Olmi. Tra i film restaurati dall’archivio ricordiamo: Fiat, i cortometraggi diretti da Olmi per la Edison e, insieme ad Eni, La via del petrolio, presentato alla Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia nel 2007 in occasione della consegna del Leone d’oro alla carriera al regista Bernardo Bertolucci. Una selezione dei corti di Olmi e il film di Bertolucci sono stati pubblicati in DVD con Feltrinelli. L'archivio collabora con festival e rassegne in Italia e all'estero (dalla Biennale di Venezia a Piemonte Movie, dalla Filmoteca de Madrid al Neederland Filmmuseum); con università e centri di ricerca (Facoltà di economia Marco Biagi, Università del Salento) e con la Direzione Generale Archivi del Ministero dei Beni Culturali. Infine l’archivio ha iniziato a collaborare a progetti di co-produzione realizzando con Route 1 il documentario Cinefiat (2011).

[47] Recentemente si è aggiunta la collezione di film della Pirelli e dellaMartini. Queste informazioni e le successive, sono pervenute a chi scrive dallo stesso Sergio Toffetti, in una recente conversazione telefonica (marzo 2011). Ringrazio sentitamente Sergio Toffetti, Arianna Turci e le colleghe dell’Archivio per la disponibilità e la generosità. Solo in parte e non aggiornate, si possono trovare in internet sul sito del Centro Sperimentale di Cinematografia – Cineteca Nazionale:  http://www.snc.it/context.jsp?ID_LINK=16&area=6.. Cfr. inoltre l’articolo di S. Toffetti, Dalla Cineteca Nazionale del Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma all’Archivio nazionale del cinema d’impresa, in «Culture e Impresa», rivista on line, n.5, luglio 2007, http://www.cultureimpresa.it/05-2007/italian/atti03.html. Infine è possibile consultare la scheda di questo soggetto conservatore, nonché la descrizione della storia archivistica dei ‘fondi’, riportata anche nel presente testo, on line nel Sistema informativo unificato delle soprintendenze archivistiche - Siusa, a cura della Direzione Generale per gli Archivi: http://siusa.archivi.beniculturali.it/cgi-bin/pagina.pl. Si ricorda inoltre che uno dei portali del SAN è dedicato in particolare a questo Archivio, il Portale del Cinema d’Impresa, vd. nota n. 10.

[48] Cfr. M. Michieletto, Il Fondo Edison nell’Archivio Nazionale del Cinema d’Impresa, «Il Mondo degli Archivi», Atti dellla II edizione di Archiexpo, Milano 2007, nn. 1-2/2008. 

[49] Come abbiamo già rilevato, diversi istituti, tra quelli che citeremo, hanno di recente affidato alcune loro collezioni filmiche all’Archivio nazionale del cinema d’impresa di Ivrea.

[50] La Cineteca della Fondazione Ansaldo: http://www.fondazioneansaldo.it/index.php?option=com_content&view=category&id=196&Itemid=127&lang=it. Cfr. inoltre: A. Burlando, L’Archiviio Cinetecario della Liguria, «Il Mondo degli Archivi», Atti dellla II edizione di Archiexpo, Milano 2007, nn. 1-2/2008. 

[51] La sezione “Audiovisivi” dell’Archivio della Dalmine è consultabile al seguente indirizzo: http://www.fondazione.dalmine.it/archivio/audiovisivi.asp. Segnaliamo inoltre l’interessante mostra, allestita nel 2010 in diverse sedi, ora virtuale e in implementazione on line: “faccia a faccia”.
Ritratti e foto di gruppo provenienti dall'archivio storico di TenarisDalmine dall'apporto di testimonianze sul lavoro operaio. Un progetto in progress promosso dalla Fondazione Dalmine per valorizzare e raccogliere memorie dell'industria e del lavoro attraverso una mostra-evento itinerante e un sito web: http://www.fondazione.dalmine.it/album_virtuale/home.html.

[52] www.archivioluce.com. A proposito della produzione di documentari sul lavoro industriale da parte dell’Istituto Nazionale Luce, nei suoi primi decenni di attività, per conto del regime fascista, e nel secondo dopoguerra per conto dello Stato, Presidenza del Consiglio dei Ministri: «Il Luce si impegnò molto nel campo industriale, raccontando le fasi della produzione del vetro, della porcellana, del sapone, delle bambole, delle matite, della carta, delle macchine da cucire, delle lampadine elettriche, delle automobili, della birra, ecc. Altri film trattano dell’edilizia, degli altiforni, delle tecniche ferroviarie, delle centrali idroelettriche, della prevenzione degli infortuni, dell’igiene.», G. Bruno, G. D’Autilia, L’Istituto Luce: l’Archivio Storico Audiovisivo, in «Archivi e Cultura», XXI Nuova Serie, 1998, p. 77. Negli anni sessanta del Novecento, in particolare, l’Istituto Nazionale Luce aumentò notevolmente la produzione di documentari industriali, turistici, su temi sociali, previdenziali, economici per conto, tra l’altro di vari enti pubblici tra cui l’Enel, l’Inail, la Cassa per il Mezzogiorno, il Coni, l’Enea, l’Eni, l’Enit, l’Italsider, il Cnen, l’Ice, le Ferrovie dello Stato, etc.

[53] La descrizione dei contenuti del Museo Piaggio è consultabile all’indirizzo: http://www.museopiaggio.it/html/museo.html. Cfr. C. Mani, L’Archivio Storico Piaggio. Fondo iconografico, «Il Mondo degli Archivi», Atti dellla II edizione di Archiexpo, Milano 2007, nn. 1-2/2008.

[54] Nell’ambito della descrizione on line dell’Archivio storico dell’Eni, la sezione Audiovisivi è a sé, come in molti altri casi di imprese, e comprende le pagine dedicate ai film, quindi ai sonori e ai materiali ‘vintage’: http://www.eni.com/it_IT/azienda/storia/audiovisivi/audiovisivi.shtml. Per un approfondimento e una valorizzazione originale relativi al patrimonio cinematografico dell’Eni è consultabile il sito ‘Energia in luce’, frutto della collaborazione tra Eni e Cinecittà Luce:  http://eni.archivioluce.com/eniLuce/home.html. Inoltre cfr. S. Giuliani, L’Archivio cinematografico di Eni (origine, formazione, fondi), Il Mondo degli Archivi, Atti dellla II edizione di Archiexpo, Milano 2007, nn. 1-2/2008; ancora M. Voltaggio, Analisi di un caso di recupero e valorizzazione filmica: il documentario Africa, nascita di un continente di Gilbert Bovay (1968), ibidem; infine M. Voltaggio, L’Archivio cinematografico di Eni, in «Archivi&Computer», n. 1/2008.

[55] www.fondazioneisec.it. Sul sito si legge: «La Fondazione Istituto per la Storia dell'Età Contemporanea - ISEC è una ONLUS costituita nel 2002. Ha lo scopo di raccogliere, conservare, ordinare e porre a disposizione degli studiosi i documenti atti a ricostruire la vita sociale, politica ed economica dell'Italia contemporanea. Ha raccolto negli anni una imponente documentazione di imprese industriali (che occupa circa 4 km lineari), comprendente carteggi amministrativi, disegni tecnici, preziosi libri - matricola, ecc.). Molto ampia è anche la parte che permette la ricostruzione di vicende personali di uomini politici e la vita della organizzazioni sindacali e dei partiti politici: tutte le carte sono consultabili nel suo ARCHIVIO. Il patrimonio  iconografico conservato alla Fondazione Isec consta di circa 150.000 fotografie (solo in parte digitalizzate), 50.000 disegni tecnici, 450 pellicole cinematografiche e videocassette, bozzetti pubblicitari, manifesti, poster e volantini. Oltre alle immagini legate alle imprese (più di 80.000 negli Archivi storici Breda ed Ercole Marelli), vi sono fotografie che illustrano momenti e vicende della storia del nostro Paese: dalla Resistenza in Lombardia alle lotte politiche e sindacali del secondo dopoguerra, dalle fotografie sportive a quelle di cronaca nera e rosa (fondo “l’Unità”, redazione milanese, e fondo Fontanella)». Interessante il fatto che la fondazione Isec abbia reso consultabili le proprie collezioni fotografiche su: http://www.flickr.com/photos/fondazioneisec. Cfr. A. De Cristofaro e P. Ferrari, Gli archivi di impresa della Fondazione Isec. Conservazione, utilizzo e nuovi media, «Il Mondo degli Archivi», Atti dellla II edizione di Archiexpo, Milano 2007, nn. 1-2/2008

[56] Dalle pagine di flickr.com si può accedere a mostre virtuali organizzate dalla fondazione, con visione di foto e film con pannelli testuali virtuali: Mostra virtuale fotografica e video sulla storia della Breda, http://www.fondazioneisec.it/breda/breda.htm; Mostra virtuale fotografica sulla storia della società Ercole Marelli, con una sezione particolarmente interessante: Lavorare alla Marelli. Il commento recita: «Non sono molte, in rapporto al resto della documentazione, le immagini di operai al lavoro. Diversamente da altri archivi aziendali, qui non c’è nessuna retorica del lavoro, l’iconografia cambia molto a seconda delle lavorazioni. Nei reparti di produzione di serie, uomini e macchina assumono spesso la stessa valenza: ingranaggi di un processo finalizzato al prodotto. Per la lavorazione di grossi macchinari, diversamente dal nostro immaginario, ci troviamo di fronte a una scarsissima presenza umana: un solo operaio addetto a imponenti macchina utensili, siano torni o alesatrici. Piccoli gruppi di operai che lavorano agli avvolgimenti di grandi statori, così come pochi uomini, per lo più operai specializzati o tecnici, sovrintendono alle fasi di montaggio, collaudo e prova». http://www.fondazioneisec.it/marelli/foto.htm.

[57] http://www.enel.it/it-IT/azienda/sostenibilita/societa/archivio_storico/. Nella presentazione tra l’altro si legge: «l’inventario dei fondi archivistici è consultabile on line suwww.enelikon.it, unitamente agli archivi fotografici e filmati di Enel, nella convinzione che una memoria condivisa possa rappresentare un prezioso strumento di crescita per il nostro Paese».

[58] www.peroni.it. Cfr. D. Brignone, L’Archivio fotocinematografico della Peroni, «Il Mondo degli Archivi», Atti dellla II edizione di Archiexpo, Milano 2007, nn. 1-2/2008.

[60] La descrizione del museo della Fondazione Borsalino che comprende numerosi materiali cinematografici, oltre che fotografici è on line: http://www.borsalino.com/.

[61] http://www.fondazioneaem.it/. Costituita il 27 giugno 2007, la Fondazione Aem ha finalità di pubblica utilità e solidarietà sociale e si propone di perseguire nell’ambito territoriale della regione Lombardia, la salvaguardia e la valorizzazione della storia e della cultura aziendale di AEM, storica società energetica del Comune di Milano.

[62] Fondazione Pirelli, Archivio storico, http://www.associazionebigazzi.it/IlLavoroNarrato.pdf. «Oltre 3 km lineari di fotografie, disegni, manifesti, documenti, audiovisivi e pubblicazioni, tra cui la rivista "Pirelli", pubblicata tra il 1948 e il 1972, modello di integrazione fra cultura tecnico-scientifica e cultura più largamente intesa. Un’eccezionale documentazione sulla storia e l’attività di Pirelli dalla sua fondazione ad oggi».

[64] L'Unitelefilm venne fondata nel 1963, e la sua costituzione fu promossa dal Pci. Il compito assegnato alla Unitelefilm, al momento della fondazione, fu quello di raccogliere e conservare la produzione dei film di propaganda del Pci, realizzati da una serie di strutture centrali e periferiche del partito, oltre alla realizzazione di una propria autonoma produzione. Infatti, molta della produzione documentaria della società fuorisciva dai cliché della propaganda politica comunista. Numerosi gli autori che hanno collaborato alla produzione documentaria della società, tra cui: G. Amico, A. Bertini, B. Bertolucci, M. Carbone, L. Di Gianni, G. Ferrara, J. Joaquin, C. Lizzani, E. Lorenzini, C. Mangini, F. Maselli, M. Mida, R. Napolitano, P. Nelli, J. Nobecourt, Luigi Perelli, E. Petri, D. Segre, G. Serra, F. Taviani, P. e V. Taviani, W. Tchertkoff, solo per citarne alcuni. Da sottolineare, tra le tante iniziative produttive della società, il film documentario dedicato a Pier Paolo Pasolini, realizzato nel 1967 da C. Di Carlo e la serie intitolata Un autore una città, realizzata nel 1980 da noti autori cinematografici, quali G. Bertolucci, U. Gregoretti, E. Scola, A. e A. Vergine. Il fondo comprende anche numerosi documenti provenienti dall'estero, frutto di scambi con società di produzioni dei paesi dell'Est Europa (Defa; Soykinokhronika; Mafilm; Studi A. Sahia, etc.); o provenienti da documentaristi che hanno ripreso momenti della lotta dei movimenti di liberazione in paesi esteri. Numerosa la produzione di film documentari relativi alla storia del lavoro, alle lotte  dei lavoratori in Italia, alle imprese.

[65] La società di produzione Reiac film srl - Realizzazioni indipendenti autori cinematografici, nata nel 1962 a Roma. Amministratore unico della Reiac è stata la produttrice Marina Piperno. La società rappresentava un esperimento originale di compartecipazione economica, negli investimenti e negli utili, tra numerosi autori cinematografici. L'obiettivo era tra l'altro quello di realizzare opere indipendenti rispetto alla grande industria produttiva e distributiva cinematografica e televisiva e perseguiva una capacità autonoma di progettazione nei vari ambiti cinema e tv, nella fiction e nella non-fiction; la sperimentazione di forme, temi, modalità produttive; la professionalità tecnica, culturale, artistica e produttiva; il basso costo; la qualità dei prodotti realizzati; forme di lavoro collettivo. Tra gli autori di film della Reiac (molti dei quali collaboravano anche con l'Unitelefilm e con l'Asamo-Aamod) ricordiamo P. Adriano - R. Alemanno - M. Andrioli - G. Bellecca - A. Cascavilla - P. del Bosco - L. Faccini - A. Frezza - M. Gandin - M. Ghirelli - A. Giannarelli - M. Mida - G. Murgia - P. Nelli - R. Polizzi - N. Risi - S. Scandurra - M. Scaparro - V. Sermonti - V. Tosi - G. Turi - Al. Vergine - An. Vergine - C. Zavattini. Nel 1983 i materiali audiovisivi e parte della documentazione cartacea della societ・ hanno iniziato ad essere depositati presso l'Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico. Diversi sono i film industriali, commissionati dalle principali imprese italiane a questa  società, in buona parte per la regia di Ansano Giannarelli.

[66] Il fondo di oltre 500 film dell’United States Information Service (USIS)  di Trieste, venne “scoperto” nella seconda metà degli anni ottanta del Novecento dall'allora direttore dell'Archivio di Stato di Trieste, Ugo Cova, che inviò l'intero prezioso patrimonio, costituito da pellicole cinematografiche 16 e 35 mm., all'Archivio Centrale dello Stato,   per un loro trattamento (identificazione, migrazione, visione, catalogazione, restauro). Recente è la scoperta di un fondo audiovisivo prodotto dalla e per la Cassa per il Mezzogiorno, depositato all'ACS e affidato, per il recupero e la catalogazione all'Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico.

[67] Illuminante in tal senso il saggio di D. W. Ellwood, Il cinema di propaganda americano e la controparte italiana: nuovi elementi per una storia visiva del dopoguerra, in G. Barrera e G. Tosatti (a cura di), United States Information Service di Trieste. Catalogo del Fondo cinematografico (1941-1966), Roma 2007, pp. 25-40.

[70] Tra le iniziative promosse in tal senso segnaliamo negli ultimi due decenni quelle curate dall’Associazione Duccio Bigazzi, per la ricerca sulla storia d’impresa e del mondo del lavoro: http://www.associazionebigazzi.it/. In particolare: Il Lavoro Narrato. Metodologie, ricerche e raccolte, documentari, a cura di Carolina Lussana e Sara Zanisi, aprile-maggio 2009, «ciclo di 5 incontri seminariali dedicati a un confronto e dialogo sull’interpretazione della realtà del lavoro e dell’impresa attraverso le testimonianze. […] Gli incontri introducono al dibattito teorico particolarmente intenso in questi anni sui temi della memoria autobiografica e della narrazione; propongono concrete esperienze e pratiche di ricerca, nonché alcuni archivi e raccolte di testimonianze; rilanciano la riflessione sull’utilizzo delle testimonianze orali nel documentario d’autore». http://www.associazionebigazzi.it/IlLavoroNarrato.pdf.

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