Il presente saggio è la sintesi di un tirocinio di studio effettuato tra marzo e giugno 2013 presso l’ICCROM-International Centre for the Study of Restoration and Preservation of Cultural Property, istituto sorto nel 1956 in seno all’Unesco, e deputato al coordinamento delle attività riguardanti la tutela ed il restauro del patrimonio culturale a livello mondiale, e alla formazione di esperti nel settore. La ricerca svolta ha riguardato la sezione dell’Archivio Storico dell’Ente costituita da documentazione sonora ed audiovisiva su supporti analogici di vario genere, e l’obiettivo è stato quello di mettere a punto un progetto di verifica, censimento e identificazione di strategie per la conservazione e l’avvio di un piano di digitalizzazione di queste risorse.
This article is the synthesis of an internship study carried out between march and june 2013 at ICCROM-International Centre for the Study of Restoration and Preservation of Cultural Property, an intergovernmental organization dedicated to the conservation of cultural heritage, wich aims at improving the quality of conservation practice and the training of experts. The project aimed to elaborate a detailed plan for the preservation of the audiovisual collection on analog supports, held by the Archives, and to formulate short, medium and long term actions for the safeguard of this heritage and the arrangement of a digitization plan.
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[In allegato in calce, il saggio in pdf e il piano di fattibilità per immagini, in inglese]
L’Archivio dell’ICCROM è stato organizzato a partire dal 2002, e attualmente vi sono conservati 700 metri lineari di documenti cartacei, circa 4500 disegni, più di 200.000 fotografie (tra cui diapositive, stampe fotografiche, negativi e immagini digitali), oltre 1000 documenti sonori e audiovisivi in supporti e formati differenti, e materiali digitali. La datazione del materiale cartaceo va dal 1951, con le prime disposizioni Unesco relative alla costituzione di un Centro esclusivamente dedicato ai problemi di restauro e conservazione, sino al 2013, con gli ultimi Reports di missione prodotti.
Tra le prime attività dell’Archivio vi è stato l’avvio di un piano di digitalizzazione e catalogazione del patrimonio fotografico, costituito inizialmente da circa 100.000 documenti analogici, arrivati attualmente a 200.000[1], che vanno dagli anni ’30 del novecento, con il fondo di Harold J. Plenderleith, primo direttore e responsabile dei laboratori di restauro del British Museum, sino ad oggi.
Il patrimonio audiovisivo del Centro è costituito da documenti di varia origine: per la maggior parte si tratta di documentazione relativa a corsi, conferenze, e campagne di restauro all’estero. Tutto il materiale posseduto, salvo poche eccezioni, ha un importantissimo valore documentario, in quanto testimonianza delle molteplici attività portate avanti dall’ Istituto nel corso degli anni, e si tratta per la maggior parte di copie originali uniche.
Nell’ambito del progetto avviato, la questione dei supporti è stata la prima ad essere affrontata. L’individuazione esatta della tipologia di supporto e lo stato di deterioramento sono stati i requisiti indispensabili per la pianificazione dei successivi interventi e per stabilirne le priorità. La maggioranza dei documenti audiovisivi si colloca in un arco temporale che va dal 1956[2] al 2009, ma la maggior parte dei documenti si colloca tra gli anni ‘80 e gli anni ‘90 del XX secolo. Per la quasi totalità si tratta di nastri magnetici, ma ci sono anche pellicole in diversi formati. Ogni tipologia di supporto è soggetta a problemi tipici, legati alle caratteristiche della materia su cui l’immagine è stata impressa e alle tecniche di registrazione/memorizzazione.
Per ciò che riguarda i materiali in pellicola, in totale nove per l’ archivio[3], la priorità è stata quella di identificare le copie positive e negative, quindi verificarne la tipologia e lo stato di conservazione. Per i documenti in triacetato di cellulosa, che già durante il sopralluogo iniziale si mostravano in fase di deterioramento, si è provveduto ad avviare una verifica dello stato di degradazione attraverso l’apposizione di targhette in grado di rivelare il livello di acido acetico presente[4]. I riscontri sono stati variabili, comunque compresi tra un livello 1- lieve e 3-severo, rivelando quindi l’effettiva consistenza del problema.
La maggior parte dei documenti censiti è costituita da registrazioni su nastri magnetici. I formati di questo genere, prodotti a partire dagli anni ’70, sia in formati commerciali per uso amatoriale, sia in formati per uso professionale, sono molteplici, e si sono spesso avvicendati con estrema rapidità, costituendo un problema rilevante per ciò che concerne la questione della rapida obsolescenza dei macchinari per la loro riproduzione. Nel caso in oggetto abbiamo constatato la presenza di sette formati differenti: Umatic, Umatic-S, Beta (nello specifico Betamax, Beta Sp e DigiBeta), Vhs, Vhs-C, DVCam, MiniDv.
Un "dilemma Digitale"[5]
La natura estremamente fragile dei supporti audiovisivi e il continuo mutamento di formati e tecnologie per la riproduzione, ha fatto sì che nel tempo la sopravvivenza dei documenti sia stata assicurata primariamente dalla puntuale attività di riversamento dei contenuti da un formato all’altro al fine di garantirne la durata e l’accesso. Nel tempo l’attività di migrazione è stata fondamentale per gli istituti di conservazione e le case di produzione, per la salvaguardia delle copie possedute.
Con l’affermazione della tecnologia digitale il paradigma conservativo vede un’ulteriore e importantissima evoluzione, imponendo una riflessione generalizzata sul concetto di autenticità, di riproducibilità, di preservazione e di accesso.
Digital Preservation combines policies, strategies and actions to ensure access to reformatted and born digital content regardless of the challenges of media failure and technological change. The goal of digital preservation is the accurate rendering of authenticated content over time[6].
La preservazione di documenti digitali coinvolge infatti tutta una serie di processi da mettere in atto sin da prima che il documento sia creato: a partire dalla selezione del formato e la previsione dello spazio necessario per lo storage delle copie d’archivio e dei backup, o per le copie d’accesso, sino ai metadati di corredo, necessari per garantire accesso e fruizione a lungo termine.
È stato quindi necessario tenere ben presenti tutti questi elementi durante lo sviluppo del piano di digitalizzazione dell’archivio audiovisivo, procedendo con attenzione in primo luogo alla scelta di un formato idoneo, che potesse garantire un adeguato livello di interoperabilità e di compatibilità con i software esistenti, oltre che un ampio grado di diffusione.
Il primo problema affrontato è stato relativo all’ individuazione del formato per le copie d’Archivio, tenendo conto di tutte le peculiarità che caratterizzano le azioni di conservazione di una copia master: la minor frequenza dell’utilizzo rispetto ad una copia destinata alla fruizione, l’esigenza di garanzie di conservazione a lungo termine, la necessità di controlli periodici per la verifica dell’integrità, l’estrazione di ulteriori derivati, da cui la necessità di mantenere la massima qualità possibile tenendo conto della disponibilità dell’ Istituto, sia in termini economici che infrastrutturali, che gestionali.
Il trattamento delle immagini in movimento, a differenza di ciò che accade per i documenti testuali, presenta una serie di problematicità legate alla natura stessa dell’immagine, e alla qualità con cui si è in grado di renderla fruibile, che costituisce un aspetto intrinsecamente connesso al documento stesso. Ci sono stati quindi ulteriori elementi da tenere in considerazione prima di procedere all’elaborazione di un piano di digitalizzazione, oltre gli indispensabili requisiti di identità e integrità.
Un aiuto sostanziale per orientarsi nella scelta dei formati è pervenuto dalle consulenze offerteci da Kara Van Malssen, responsabile dell’Audiovisual Preservation Solution[7] di New York, collaboratrice dell’ ICCROM nell’ ambito del corso SOIMA per la conservazione dei documenti sonori e audiovisivi, la cui referente interna è Aparna Tandon, Project Specialist della Collection Unit dell’ICCROM.
Relativamente al formato, i criteri suggeritici sono stati i seguenti:
È ampiamente documentato?
È supportato da una varietà di produttori hardware e software?
Si trova nei più diffusi elenchi di codec?[8]
Vi sono riscontri positivi da parte delle istituzioni che utilizzano questo formato?[9]
Quindi, in riferimento al progetto in corso, si è potuti arrivare alla definizione di alcuni criteri di base.
Le esigenze del soggetto conservatore
Nel manuale di gestione dell’ICCROM è previsto l’utilizzo di software open source. Sono stati quindi esclusi tutti quei codec o formati generici proprietari, tra i quali alcuni che ci sono stati consigliati durante le nostre ricerche, come Apple Prores o Avid Dnx. La complessità della scelta, dovuta al continuo evolversi della tecnologia digitale e delle politiche applicate dalle case produttrici, è ben esemplificata da un avvenimento banale, ma estremamente rappresentativo: in data 10 ottobre 2013, infatti, il codec h264, scartato nell’elaborazione del progetto, per il fatto di essere ancora soggetto ad alcune licenze (sebbene esse riguardassero solo i distributori), è divenuto open source, permettendoci di valutarne nuovamente l’utilizzo[10]. E’ un esempio di ciò che presumibilmente potrebbe avvenire ancora diverse volte durante lo svolgersi del progetto.
L’applicazione di un formato standard
La ricerca sui formati standard non si è rivelata affatto semplice. Ci troviamo attualmente in un periodo di transizione in cui non abbiamo standard definiti, né de iure, né de facto. Si può parlare di parametri di valutazione fondamentalmente basati sul livello di diffusione dei codec, sempre tenendo in considerazione che, probabilmente, il formato “standard” arriverà solo tra qualche tempo, ma che certamente sarà più facile che si affermi uno standard compatibile con formati già ampiamente diffusi.
L’individuazione di formati differenti per copie d’archivio e copie di consultazione
Si è ritenuto che le copie master vadano, laddove possibile, digitalizzate in modalità non compressa o con compressione lossless, quindi senza perdita di dati, mentre le copie per la fruizione potranno essere convertite in formati più “leggeri”, anche con compressione lossy.
L’adeguamento delle strutture per lo storage
È stato necessario un nuovo calcolo dello spazio per lo storage, che ha evidenziato la necessità di ampliare enormemente quello attualmente disponibile. Attualmente si dispone di 8 Tb, ossia uno spazio appena sufficiente a contenere una minima parte del materiale d’archivio, senza considerare le copie di backup e per l’accesso. Infatti, sebbene sia necessario adeguare la scelta alle proprie possibilità, è comunque fondamentale avviare un piano che tenga conto del fatto che le copie master debbano essere conservate come copie col miglior segnale possibile, onde evitare una perdita eccessiva durante i futuri riversamenti. Questo richiede delle strutture per la conservazione con una capacità molto maggiore. Per fare un esempio, se si decidesse di utilizzare un formato non compresso, per 400 ore di filmato, avremmo all’incirca un peso di 40TeraByte. Attualmente solo l’archivio, secondo un calcolo stimato, dovrebbe custodire all’ incirca 250 ore di girato, senza contare i film già prodotti in digitale, e le copie di backup.
Ciò per cui si è optato, in previsione di una progressiva ed ulteriore evoluzione del quadro generale, è stata l’adozione di un formato ampiamente diffuso, in attesa di uno standard definitivo, oltre alla già citata necessità di non adottare livelli di compressione. Il confronto con altre realtà è stato una delle basi del lavoro di ricerca intrapreso, ed ha portato più che altro alla conferma del fatto che ci troviamo di fronte ad una situazione non chiaramente delineata, in una fase di transizione in cui la varietà di criteri adottati è spesso molto soggettiva, e legata alle possibilità dei singoli istituti.
Dopo un’attenta valutazione, ma soprattutto prendendo coscienza delle possibilità materiali della struttura ospitante e delle risorse offerte dagli Enti che concretamente avrebbero dovuto effettuare il lavoro in outsourcing, si è arrivati quindi alle scelte di seguito illustrate:
Per i nastri magnetici e digitali si è valutata come scelta più idonea quella di adottare un formato AVI come wrapper, per la sua ampia diffusione, documentazione, e per i vantaggi conseguenti, primo fra tutti la possibilità di essere supportato da un’ ampia gamma di software open source. Riguardo ai codec, si è optato per le seguenti scelte:
Copie master
V 210- Video Picture Encoding
Si tratta di un codec non compresso, utilizzato da AVI, Quick Time, MXF ed altri formati video, largamente adottato e supportato da lettori video, encoders e transcoders. Si può dire che sia la scelta più comune per la digitalizzazione di video. La grandezza è di circa 80 Gb per ogni ora di filmato.
Files derivati
DV 25
È un formato lanciato nel 1995 per lo storage del video digitale. Utilizza una compressione lossy per il video, mentre l’audio non è compresso.
Audio, Video e Metadati sono impacchettati in un Digital Interface Format (DIF), che può essere conservato come file o incapsulato in formati AVI, Quick Time o MXF. E’ un formato standard molto diffuso, ben documentato e largamente supportato. Il peso è di circa 11GB per ogni ora di filmato.
Per le pellicole
Per ottenere copie con livello qualitativo adeguato, si rende necessario utilizzare apparati tecnologici di un certo tipo.
Non è infatti ipotizzabile poter utilizzare uno strumento che produca immagini a bassa risoluzione come il telecinema[11], ma sarà necessario l’utilizzo di uno scanner, apparecchiatura il cui uso è stato sperimentato a partire dagli anni ’90, con risultati qualitativi di rilievo, nel campo del restauro digitale. Si tratta di un apparato che permette di trasformare frame by frame ogni singolo fotogramma in dati digitali attraverso l’uso di una fotocamera, a volte incorporando preventivamente una pulizia del supporto, in modo da eliminare sporcizia e graffi, (potenzialmente letti come una qualsiasi altra informazione relativa all’immagine, che andrebbero ad appesantire ulteriormente il file). Il processo di scansione può avvenire a 2k o 4k. Attualmente si consiglia di utilizzare una codifica a 10 bit, utilizzando il formato file DPX. Tutta la documentazione da noi consultata, e le consulenze ricevute, ci hanno indirizzato verso questo formato, che possiamo attualmente considerare uno standard quasi universalmente condiviso:
DPX- Digital Picture Exchange
È attualmente il formato universalmente utilizzato per lo storage di immagini catturate da frame nella quasi totalità degli strumenti per la post-produzione di digital intermediates e laboratori. DPX è uno standard open source, sviluppato nel 1994 dalla Society of Motion Picture and Television Engineers (SMPTE), membro dell’ANSI, American National Standard Institute[12].
I Metadati
Per ciò che concerne il corredo di metadati, sono state fornite primariamente indicazioni relative alle caratteristiche tecniche dell’oggetto digitale: quindi tutte le informazioni relative al formato video e audio, ai codec utilizzati, ai dati relativi a identità e integrità dell’oggetto, al numero di pixel, e così via. Queste informazioni sono assolutamente essenziali per garantire una preservazione a lungo termine e la possibilità di riproduzione di un oggetto digitale anche in presenza di variazioni future nei software o negli apparati, e permettono di verificare l’autenticità dell’oggetto.
Per ciò che concerne i metadati amministrativi, sono ricomprese in essi tutte le informazioni che si riferiscono alla tenuta e alla gestione del documento, quindi le informazioni riguardanti la creazione e la gestione di un oggetto digitale, relativamente alla data di digitalizzazione, all’Ente esecutore e il Committente, le azioni relative alla conservazione, incluse i futuri piani di preservazione, o le variazioni nelle attività di custodia.
Un’ulteriore parte di informazioni è invece relativa all’ accesso e alle possibilità di fruizione, comprendendo in questo insieme anche tutte quelle indicazioni necessarie alla fruizione stessa, come indicazioni relative a soggetto e contenuto, e utilizzo di parole chiave che possano facilitarne l’individuazione attraverso un sistema di information retrieval.
Il seguente corredo di metadati per i video, è stato individuato dalla responsabile dell’Archivio, la dott.ssa Maria Mata Caravaca, dopo un attento lavoro di analisi e confronto:
ID |
Identificativo univoco del documento. |
Title |
Titolo proprio o assegnato alla risorsa (in caso di materiale non montato ). |
Content (or Subject) |
Il contenuto principale della risorsa. |
Creation Date |
Data associata alla Creazione della risorsa. Si raccomanda di seguire le norme ISO 8601 per i formati data e ora, e seguire lo schema YYYY-MM-DD |
Author(s) |
Individuo o ente responsabile della creazione della risorsa. |
Produced By |
Ente responsabile della riproduzione della risorsa. |
Genre |
Definizione della tipologia di registrazione-Audio o Video. |
Tape Format |
Formato di registrazione |
Tape Medium |
Descrizione della risorsa di partenza: Analog - Magnetic, or Digital. |
Tape Brand |
Casa produttrice del supporto originario |
Tape Model |
Modello specifico del supporto originario. |
Tape Dimensions (Width and Length) |
Dimensione del supporto per larghezza e lunghezza. |
Tape Container |
Tipo di contenitore in cui viene conservato il supporto originario. |
Source |
Provenienza del documento: indicazione dell’ Archivio, del Fondo, della Serie. |
Archival Location |
Collocazione all’interno del complesso archivistico. |
Notes |
Note relative alla risorsa non collocate in altri campi. |
Keywords |
Parole chiave inerenti il soggetto. |
Rights |
Diritti d’autore ai quali è soggetta la risorsa, o riferimenti relativi alle possibilità di ricostruirli. |
Language |
Lingua. |
Country |
Paese di produzione. |
Conservation Action Notes |
Informazioni relative alle azioni di conservazione e allo storage. |
Digitization Devices: Playback Machine |
Informazioni relative alle apparecchiature di riproduzione (Input). |
Digitization Devices: Encoder |
Informazioni relative alla forma di encoding utilizzata. |
Digitization Devices: Capture Software |
Informazioni relative al software utilizzato per l’acquisizione. |
Digitization Date |
Data di digitalizzazione. |
Digitized By |
Ente responsabile del processo di digitalizzazione. |
Commissioned By |
Ente responsabile dell’ affidamento della risorsa in digitalizzazione. |
Quality Control Date |
Date controllo parametri qualitativi della copia. |
|
|
Technical Metadata for Video |
|
File Name |
Denominazione del file. |
File Size |
Peso del file. Consigliabile l’inserimento in bytes. Non è un’informazione essenziale ai fini conservativi, ma utile a scopo conoscitivo per calcolo dimensioni. |
Video Format |
Formato digitale utilizzato. |
Video Codec |
Codec utilizzati per il video. |
Video Frame Rate |
Il numero di frames per secondo al quale la risorsa è stata digitalizzata. |
Video Width |
La misura orizzontale del frame video in numero di pixels. |
Video Height |
La misura verticale del frame video in numero di pixels. |
Video Aspect Ratio |
Il rapporto dimensionale desiderato delle immagini sullo schermo (es: 4:3, etc..). |
Video Bit per Sample |
Il numero di bits per ogni campione (8, 24, etc). |
Video Bit Rate |
Indica il flusso dati in bit o kbps. |
Video Resolution |
Risoluzione del video di origine espressa in linee orizzontali. |
Audio Format |
Il nome del formato di codifica relativo alla componente audio della risorsa. |
Audio Codec |
Codec interni al formato di codifica. |
Audio Channels |
Numero di canali audio. |
Sound field |
Mono or Stereo. |
Audio Sample Rate |
Definisce il numero di campioni per unità di tempo, in genere in secondi, utilizzato per il flusso audio. |
Audio Bit per Sample |
Numero di bit per ogni campione. |
Audio Bit Rate |
Flusso di bit per unità di tempo. |
Timecode Present? |
Indicazione su presenza o meno Timecode |
Timecode Derivation |
Si riferisce all’ipotesi che il Timecode fosse già presente nella risorsa di partenza, e sia poi passato al file digitale, o se si tratta di una nuova acquisizione. Le opzioni sono due: New or Regenerated.
|
Timecode Standard |
Tipologia di Timecoding utilizzato (SMPTE, AES-EBU,etc). |
Duration |
Durata del contenuto. Utilizzare le indicazioni ISO 8601: [hh]:[mm]:[ss] |
Checksum Value |
Valore del checksum, ossia una stringa alfanumerica ottenuta attraverso un algoritmo di compressione, che permette di effettuare un paragone tra le stringhe prodotte da una copia e la copia di origine, per verificare l’integrità del file. |
Checksum Algorithm |
Algoritmo di compressione utilizzato per ricavare il checksum. |
Un’ultima osservazione riguarda la conservazione di queste informazioni: i metadati sono generalmente conservati all’interno dei singoli files. Un corretto piano di conservazione a lungo termine tuttavia deve necessariamente prevedere la conservazione separata di queste informazioni, al fine di ovviare al rischio di perdita della possibilità di accesso ad esse. Ciò potrebbe avvenire in caso di modifiche nel software utilizzato, eventualità per la quale gli stessi metadati sono stati predisposti[13]. Nel caso specifico, i metadati sono quindi conservati all’interno di un file excel.
Conclusioni
In una seconda fase del lavoro sarà necessario approfondire ulteriori aspetti relativamente alla programmazione di un piano per l’accesso, di attività di catalogazione e di descrizione, di approfondimento degli aspetti legati al copyright, di pianificazione di modalità di fruizione e divulgazione.
Infine, è stata elaborata una sintesi del lavoro, con corredo di immagini[14], e presentata all’ intero staff al termine del progetto, destando un profondo interesse nei confronti di queste tipologie di documenti d’archivio. La presentazione ha presumibilmente avuto un impatto rilevante sulla percezione e sull’acquisizione di consapevolezza riguardo al valore del materiale custodito negli archivi e, nello specifico caso, dei documenti filmici, confermando come l’importanza di un progetto di recupero del materiale audiovisivo dell’Istituto risieda anche solo nel valore storico-documentario di queste fonti, che testimoniano la “memoria del mondo” e dei suoi diversi, enormi patrimoni culturali e di civiltà.
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