Sabato, 14 Giugno 2014

Le fonti audiovisive per la storia e la didattica

Letizia Cortini
Sezione Scaffale

L. Cortini (a cura di), Le fonti audiovisive per la storia e la didattica, Annale 16, Fondazione Aamod, Effigi Edizioni, 2014, p. 310.

L'Annale 16 della Fondazione Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico, rivolto agli insegnanti delle scuole di ogni ordine e grado, agli operatori culturali, agli studiosi di storia contemporanea, agli archivisti che si occupano di didattica, è stato pubblicato ed è disponibile presso la sede dell'Aamod o presso la casa editrice, Effigi EdizioniA richiesta viene fornita anche la versione in pdf con i link attivi alle pagine web. Info: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Pubblichiamo il saggio introduttivo e in calce l'indice in pdf.

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Introduzione

Visionare, indagare, scoprire la storia attraverso le immagini

Letizia Cortini

Come è noto, il tema dell’uso storiografico delle immagini, fisse e in movimento, ha alle spalle un ormai consolidato dibattito[1], non esaurito, che, sebbene abbia prodotto risultati di rilievo soprattutto nell'ambito della storiografia contemporaneista, nel mondo della scuola ha avuto poche occasioni di arrivare e di vedere utilizzate in modo sistematico, consapevole, critico, nonché creativo le fonti audiovisive per il "fare" storia con e da parte di insegnanti e studenti. Nei contributi presenti soprattutto nella prima parte di questo volume, i riferimenti teorici al dibattito in questione sono diversi, così come alla public history, nonché alla visual, alla media e alla film literacy. L’Italia continua a scontare un ritardo incredibile proprio nella diffusione innanzitutto del linguaggio audiovisivo e fotografico nelle scuole di ogni ordine e grado, attraverso la messa a punto di una “critica” di queste fonti, a partire dalla didattica. Non è più pensabile che la storia del cinema, dei media audiovisivi, della fotografia non entrino nei curricula scolastici e di numerosi corsi universitari (non solo in quelli relativi alle discipline dello spettacolo), così come lo studio dei loro specifici codici. Non è più pensabile che si possa fare a meno di queste fonti e di tutto quello che le riguarda in termini di contesti, per lo studio della storia innanzitutto.

Si vuole ricordare lo sforzo, in tal senso, che portò a un progetto straordinario – si cita questo come il più strutturato e istituzionale, tra i non pochi tentativi di portare il cinema nella scuola e viceversa - condotto in Italia alcuni anni fa, che si era concretizzato nel celebre Piano nazionale per la promozione della didattica del linguaggio cinematografico e audiovisivo nella scuola[2]. Il Piano fu promosso dal 1999 dal MIUR, dall’IRRE del Lazio (coordinatore degli altri IRRE regionali), dall’Università di Roma Tre e realizzato a livello nazionale dal Sistema IRRE, con la collaborazione di numerose Associazioni e Istituzioni.Purtroppo tale vasto progetto si interruppe dopo due anni di una sperimentazione che aveva prodotto notevoli risultati. Altri progetti, di educazione al linguaggio filmico e di diffusione della media literacy sono stati e continuano sporadicamente e faticosamente ad essere promossi. Tra questi si segnalano le esperienze condotte dall’Unione dei circoli del Cinema Arci tra il 2008 e il 2010[3].

Preme sottolineare che molte delle riflessioni che seguono, nonché la messa a punto degli strumenti di analisi alla fine del testo, sono state in buona parte stimolate dalle letture delle argomentazioni e dei punti di vista degli storici Pierre Sorlin, Giovanni De Luna, Peppino Ortoleva, tra i principali protagonisti del dibattito storiografico sull’uso delle fonti filmiche per la storia in Italia, ma anche da quelle di donne e uomini di cinema, documentario in particolare, la cui storia è così poco conosciuta in Italia come quella dei suoi autori. Tra tutti, si citano due persone che chi scrive ha avuto la fortuna di conoscere e frequentare a lungo e dalle quali ha ricevuto alcune delle più belle lezioni di storia: Cecilia Mangini ed Ansano Giannarelli[4]. Non ci si riferisce solo ai loro lavori sull'importanza dello studio del cinema e dei media nella scuola, sulle metodologie di uso e analisi delle fonti audiovisive, fotografiche, sonore, ma anche ai loro saggi (libri o documentari che siano) e alle loro riflessioni sul ruolo sociale dello storico, e del regista, nel presente, su un’ “etica” del fare storia e cinema, sulla politica e sull’uso pubblico della storia e del cinema da parte dei soggetti sociali, in relazione anche ai loro immaginari.

Giovanni De Luna sull'uso pubblico della storia e sul tema della «memoria ufficiale», ovvero della «memoria culturale», «non naturale», ma costruita, ha osservato che si tratta di una memoria che «può essere realizzata solo artificialmente […], per cui chi costruisce memoria sceglie di volta in volta, intenzionalmente, quali aspetti del passato sia necessario far vivere nel presente. Lo Stato in particolare lo fa avvalendosi di molteplici strumenti: libri di storia, manuali scolastici, monumenti, toponomastica, festività pubbliche, rituali politici […]. La memoria ufficiale è dunque un progetto, una costruzione, è pubblica e non privata, normativa e non spontanea, collettiva e non individuale, e si presenta come la risultante di un 'patto' in cui è lo Stato a fissare i termini per cui ci si accorda su ciò che è importante trasmettere alle generazioni future»[5].

L'intento di questo volume è dunque anche quello di uscire da questo “patto” e di stimolare insegnanti e studenti a “guardare” la storia non solo secondo una memoria ufficiale, come sui manuali e i libri essa è diffusa, confermata soprattutto negli ultimi tempi anche nei programmi e in alcune fiction televisive[6], ma di scoprirla anche attraverso altri strumenti, linguaggi, punti di vista, modi di raccontarla, che non sono solo pubblici, ma più spesso privati e individuali[7]. Le fonti fotografiche, audiovisive, orali, certamente come altre, danno la possibilità di scoprire altre storie, meno ufficiali e forse offrono l’occasione per ritrovare e praticare da parte dei cittadini anche quella «religione civile» oggi assente o svuotata di senso, fatta anche di sensibilità e responsabilità nei confronti della comunità in cui si vive o da cui si proviene. Ciò comporta innanzitutto la riscoperta delle fonti primarie in generale, quindi un approccio ad esse connotato da rigore metodologico, ma anche da affetto e rispetto per il loro uso. Sono necessarie inoltre capacità e creatività nel rintracciarle (ribadiamo: oltre quelle ufficiali e istituzionali) e il desiderio di interrogarle, di farne un nuovo uso, oltre la lettura, per svelare e "immaginare" altre storie, altri punti di vista, altri percorsi.

In diversi saggi presenti in questo libro trapelano appunto questo affetto e questo desiderio, oltre la competenza e la sperimentazione in tal senso. Si tratta di autori che hanno realizzato film, studi, proposto nuove prospettive per lo studio non solo della storia attraverso le immagini, ma anche – lo vogliamo dire – della “natura umana” e dei contesti sociali dove essa agisce e nei quali si misura.

In questo Annale i contributi raccontano e “mostrano” percorsi storici, partendo dall’uso delle fonti filmiche classiche, ovvero i film di fiction (Casula, De Luna, Ellwood, Lizzani, Taviani), per passare al cinema documentario (Lizzani, Medici, Sani, Savorelli, Vicari), ai programmi televisivi (Giannotti, Roghi, Sorlin), per arrivare, o meglio partire anche da quelle fonti che raccontano storie private, locali, famigliari, che a volte si trasformano in grandi affreschi storici (Savorelli, Simoni, Ottaviano), percorrendo tutto il Novecento, sia che si tratti di diari, riproposti in immagini, sia che si tratti di nuovi film che fanno uso delle memorie familiari e del “cinema amatoriale” (Savorelli, Simoni).  

Si ribadisce che se l'attenzione qui è rivolta in particolare alle fonti audiovisive, tale focus è dettato dalla constatazione di un grande ritardo per quanto riguarda il loro uso didattico, ma altrettante autorevolezza, creatività e potenzialità, quindi interesse possiedono tutte le altre fonti che possono e debbono concorrere a costruire percorsi sempre nuovi nel raccontare e nel "fare" storia con i ragazzi: le fonti letterarie, pittoriche, sonore, i cartoni (Taviani, Vicari) e i fumetti, i manifesti, le fotografie, gli oggetti, gli stessi paesaggi urbani ed extraurbani, le tracce che le società lasciano, inventano, creano in rapporto al loro tempo[8]. Qui si vuole intanto fornire qualche strumento per l'uso delle fonti audiovisive con la finalità di rilanciare temi e magari un dibattito ancora attuali. Con l’auspicio che altri testi, a seguire, possano focalizzare l’attenzione, per esempio, sulla diffusione della storia della fotografia, sul linguaggio fotografico (che in parte coincide con quello audiovisivo), sull’uso delle immagini fisse nella didattica. Del resto le stesse fonti audiovisive anche nei contributi di questo Annale sono spesso proposte e analizzate in rapporto ad altre tipologie documentarie, cui sono necessariamente legate, fondamentali, peraltro, per la ricostruzione dei loro contesti (Medici, Savorelli, Simoni)

Il mondo degli archivi è ricchissimo di fonti ormai accessibili integralmente on line, per non parlare di quelle filmiche e audiovisive. Notoriamente gli archivi e le risorse pubblicate sul web, per esempio in banche dati testuali e di immagini, sono poco conosciuti e utilizzati nelle scuole italiane, dagli insegnanti, tranne le eccezioni. Non ci si riferisce solo a quello che si trova in rete su piattaforme “generaliste”, vasti contenitori in cui sono ammassate alla rinfusa memorie e fonti di ogni tipo, "senza storia", né contesto, di fatto, dove, seppure avendo chiaro cosa cercare, si rischia facilmente di non trovare o di perdersi. Si pensa piuttosto a siti e portali di istituti culturali, di archivi, ma anche di biblioteche, nonché di istituzioni e progetti nazionali ed europei, che hanno reso possibile la consultazione nel web di cospicui giacimenti documentari digitalizzati, descritti, contestualizzati, con percorsi didattici che, soprattutto oggi, costituiscono un’offerta proficua, senza precedenti, accanto a quella dei manuali di storia e di altri strumenti didattici. Per non parlare della vasta letteratura storiografica su questi temi, che ormai si produce e si pubblica prevalentemente on line (si rimanda al riguardo al contributo finale di chi scrive relativo agli strumenti e alle metodologie).

Ci si chiede, quindi, quanto gli insegnanti siano “pratici”, ovvero se conoscano o sappiano esplorare e consultare tali ricchezze sul web, pronte all’uso da parte loro, grazie agli strumenti ora a disposizione, dalle LIM ai tablet. Portali e siti, nonché blog, possono affiancare efficacemente i manuali di storia, rappresentando “nuove” risorse e differenti modalità per esercitare la public history, anche in Italia, già studiate e costantemente monitorate per esempio dallo storico Serge Noiret, il cui lavoro rappresenta un altro prezioso punto di riferimento. Si cita, a tale proposito, l’istituzione, nel 2009, di un Master in Comunicazione storica, presso l’Università di Bologna, della duranta di due anni, giunto ormai alla sua terza edizione. Si tratta di un’interessante iniziativa, tuttora unica nel panorama della formazione e dell’aggiornamento su tali temi, utile anche agli insegnanti attuali e futuri: una vera “palestra” che, tra i vari insegnamenti, comprende la storia, l’analisi e la produzione di documenti audiovisivi di carattere storico[9].

Prima di arrivare all’uso delle risorse on line, una domanda si pone, trasversale a diversi contributi presenti nell’Annale: come rendere possibile un’efficace contestualizzazione delle fonti audiovisive, per consentirne un uso agevole per lo studio della storia contemporanea, che preveda strumenti per decodificare i loro linguaggi specifici. Questa domanda ne comporta altre: come accostare i ragazzi alle “realtà” proposte nelle immagini, per far sì che oltre a imparare ad osservarle con attenzione e curiosità, inizino a porre quesiti, sviluppando il proprio senso critico, il proprio sguardo sul mondo, in modo consapevole, possibilmente non corrispondente agli “sguardi” proposti da altri. Si tratta di stimolare nei ragazzi la capacità di elaborare e maturare propri valori, di diventare “finanche” creativi rispetto a quanto svelano, con il loro sguardo, in grado di elaborare, e di produrre, attraverso il riuso dei materiali audiovisivi, nuove immagini, che esprimano i loro punti di vista, rendendoli autonomi e in grado di costruire le loro storie, le storie della loro comunità (Savorelli, Simoni). In altre parole si fa riferimento al sogno di Cesare Zavattini, che auspicava nelle scuole non solo l’insegnamento del linguaggio verbale e scritto, ma anche di quello cinematografico. Il sogno che i ragazzi potessero imparare a usare oltre la penna, anche la macchina da presa e oggi gli strumenti digitali, ancor più “semplici” e “facili” da usare, rispetto a quelli del passato. Ragazzi in grado di realizzare prodotti multimediali, testi audiovisivi, utilizzando le fonti filmiche primarie, d’archivio, fonti audiovisive realizzate da altri[10] (Cortini, Savorelli, Simoni).

Le domande potrebbero continuare: come far amare la storia ai ragazzi, la storia realizzata dalle persone, che nel bene e nel male l’hanno “messa in scena”, rappresentata, interpretata, determinata; come insegnare loro a interrogare, vedere, ricostruire gli eventi sociali, anche i più terribili, risvegliando non solo l’immaginario, ma la loro “compassione”, verso le tante storie del Novecento, dalle più vaste alle più piccole e locali, fino alle famigliari. Sarebbe importante suscitare un coinvolgimento emotivo nell’apprendimento, accanto alla vigilanza metodologica, che porti i ragazzi più facilmente al riconoscimento dei conflitti, delle ferite che generano e che perdurano nel presente e, al tempo stesso, dell’importanza dei cambiamenti nella Storia, delle conquiste in termini di valori universali, che perdurano anch’esse nel presente. In altre parole, come far accostare i ragazzi a ciò che è stato, in modo che non risulti per loro qualcosa di astratto, estraneo, lontano, che non li riguardi, pur essendo "costretti" a studiarlo. Come sviluppare in loro il gusto di vedere, leggere, interrogare e di guardare le testimonianze “diritto negli occhi”, senza volgere lo sguardo, senza farlo scivolare nell'indifferenza o nella noia, o nella incomprensione, o nel rifiuto.

Ci si chiede, nei contributi che seguono, come la didattica della storia basata sull’uso anche dei documenti audiovisivi, attraverso l’esame dei loro linguaggi specifici, delle loro forme ed espressioni, possa aiutare in tal senso. Si affronta nel volume (Cortini, Medici, Taviani) la questione di come insegnare a “criticare” le fonti audiovisive proposte in determinati contesti, per non subirne il fascino al punto da ritenere che ciò che narrino film di fiction, documentari, programmi, siano proprio i fatti reali, la memoria vera, la verità.

Ci si pone il problema, inoltre, di insegnare a riconoscere, nelle tante immagini prodotte, anche il loro valore estetico e poetico, oltre di documento. Il riferimento va a quelle immagini che riescono ad andare oltre la stessa intenzione degli autori, oltre i propri contesti di produzione, finanche i contesti storici: le immagini che disvelano «le linee del mondo», che riescono a sfidare il tempo e a diventare universali, che sanno cogliere i cambiamenti prima che si rivelino, per citare le definizioni frutto delle riflessioni di un grande fotografo, Tano D’Amico, “catturate” durante alcune conversazioni con lui, in occasione di seminari tenuti da Tano presso l’Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico tra il 2012 e il 2013. Nonsono molte, infatti, le “belle” immagini, neanche in un’epoca come la nostra. I linguaggi a tal fine si dovranno intersecare necessariamente. Bisognerebbe parlare non solo di audiovisivi come documenti, ma andrebbero sperimentati nelle scuole vari livelli di lettura, artistici, filosofici, iconologici, per cogliere tutti gli aspetti delle fonti, per mostrare anche la loro “bellezza”.

A numerose di queste domande, i contributi che seguono rispondono in modo problematico e fecondo.

Tra i requisiti fondamentali, come è stato più volte segnalato, resta innanzitutto l'acquisizione di abilità e competenze nel riconoscimento del linguaggio delle immagini, nell'esercizio di montaggio e smontaggio, di decodifica e individuazione del punto di vista e del messaggio, dei contesti di produzione delle fonti audiovisive, che scorrono ogni giorno davanti agli occhi di noi tutti, in un flusso continuo, di cui siamo parte. Come scrive Pierre Sorlin: «I prodotti audiovisivi non sono, dunque, una documentazione supplementare, un mezzo per conoscere meglio gli eventi, i mestieri, le feste, le cerimonie, ma sono del tutto integrati nella vita, nelle normali attività, formano la trama della quotidianità, né più né meno delle case, il lavoro, le relazioni familiari. […] pur senza esserne sempre consapevoli, noi siamo integrati in un vasto sistema di rappresentazione: osserviamo il mondo sullo schermo, ma siamo ugualmente quelli stessi che vengono filmati dalla cinepresa»[11].

Partiamo dunque dalla storia attraverso i film e gli audiovisivi. Intanto da quella proposta nei manuali, che Giovanni De Luna definisce frutto della «memoria ufficiale», di un patto con lo Stato, proprio quella più difficile da far comprendere ai ragazzi, così lontana dalla loro esperienza, che narra eventi e fenomeni, le cui testimonianze, dirette, indirette, ricostruite, manipolate, reinventate, reali e non, sono il frutto “visionario” soprattutto del Novecento. Rispetto quindi alla storia "pubblica" proposta nei manuali, è possibile costruire con i ragazzi percorsi diversi, esplorare punti di vista nuovi[12].

In questo volume non si fa volutamente riferimento alla differenza tra fonti audiovive fruibili al cinema, o in televisione, piuttosto che sul web, sui tablet, sugli smartphone, nonché su siti e blog on line, su applicazioni, su software. Problematiche di tipo archivistico, a cui bisogna prestare attenzione, così come ai supporti sui quali sono registrate le immagini (Simoni). È necessario, infatti, tenere presenti anche questi aspetti di contesto, aiutando gli studenti sin da subito a verificare quanto meno l’ambiente di “prima” fruizione delle fonti, la storia di questo ambiente, i soggetti produttori, le finalità, il “target”. Anche in questo, infatti, si rivelano punti di vista, messaggi, scopi, ideologie, strategie, nonché modalità di fruizione che possono modificare totalmente i contesti originari di produzione delle immagini, nonché la loro “bellezza”. I ragazzi, come gli adulti, vanno stimolati, una volta apprese le nozioni di base del linguaggio audiovisivo, soprattutto all’esercizio della riflessione, del dubbio, in altre parole ad interrogarsi.

È necessario, in tale quadro, sottolineare soprattutto agli insegnanti, come in Italia siano tuttora poco, o non adeguatamente praticate, la media literacy, la film literacy[13] e come stenti a diffondersi una public history, oggi anche digital public history esercitata construmenti metodologici di rigore[14] e non lasciata praticare, come si denuncia da parte degli storici professionisti, a giornalisti, autori improvvisati, storici “dilettanti”, che rischiano di far confusione tra memoria e storia, tra realtà e finzione[15]. Questo volume vuole sollecitare l’attenzione anche su queste problematiche, per evitare che si “getti il bambino con i panni sporchi”, considerando la sempre più diffusa denuncia da parte degli storici professionisti della storia “cattiva” raccontata in tv, nelle fiction, sui social network, ritenendo, chi scrive, che poco conoscano gli storici tradizionali, quindi poco o male usino, a parte le eccezioni, le fonti audiovisive e i loro linguaggi. Un’educazione in tal senso strutturata e introdotta nelle scuole potrebbe davvero evitare il proliferare della “cattiva” storia. Non si può pensare che oggi e in futuro l’immaginario storico dei ragazzi non si formi sempre più attraverso i social network, il web, i nuovi strumenti tecnologici di fruizione e di consumo della storia e ancora attraverso la televisione, o meglio le televisioni. È necessario dunque formare dei buoni spettatori, istruiti, consapevoli, esigenti, appassionati. Si tratta di un dibattito antico. Già promosso subito dopo la seconda guerra mondiale, a partire dal Neorealismo, attraverso le battaglie della Ficc - Federazione italiana dei circoli di cinema[16], in particolare durante la presidenza di Riccardo Napolitano[17], che si spese fino alla fine per diffondere una cultura cinematografica alta, attraverso la formazione di uno spettatore di film di qualità, in grado di comprendere e saper scegliere. Ancor oggi desta stupore la Carta [internazionale] dei diritti del pubblico, del 1987[18]. Da allora, rispetto agli audiovisivi, non è cambiato molto, dunque la questione non si presenta così diversa oggi, con i nuovi media.

Un’ultima considerazione riguarda la volatilità sul web delle risorse. Siti istituzionali o promossi e realizzati nell’ambito di importanti progetti governativi difficilmente potranno essere cancellati o sparire senza un loro reindirizzamento. Si auspica però che la “precarietà” dei siti e delle pagine web non sia o non diventi un alibi per procrastinare un impegno fondamentale non solo per quanto riguarda l’educazione al linguaggio audiovisivo, praticabile ormai attraverso le risorse on line, ma per la stessa educazione, o meglio, alfabetizzazione al digitale e ai suoi strumenti.


[1] Per una panoramica esaustiva di questo dibattito si veda S. Pagni, Il dibattito storiografico sulle fonti filmiche. Una sintesi, in «Il Mondo degli Archivi», marzo 2014, http://www.ilmondodegliarchivi.org/index.php/studi/item/307-il-dibattito-storiografico-sulle-fonti-filmiche-una-sintesi.

[2] Il progetto triennale, conclusosi dopo due anni, era finalizzato a promuovere l’apprendimento e l’insegnamento del linguaggio cinematografico e audiovisivo in tutti i livelli di scolarità; ad educare alla gestione autonoma e consapevole del rapporto con la sfera dell’informazione e della comunicazione audiovisiva; ad elevare il livello del gusto estetico delle nuove generazioni, coltivandone le potenzialità immaginative, espressive e creative. L’IRRE del Lazio, su affidamento del MIUR, aveva curato la progettazione, l’organizzazione, il coordinamento e il monitoraggio della I annualità del Piano e con gli altri IRRE lo aveva realizzato a livello nazionale coinvolgendo più di cinquecento scuole (dell’infanzia, elementari, medie e superiori), oltre mille insegnanti, circa 13.000 alunni e molti esperti di didattica del cinema e degli audiovisivi. Cfr. M. Costantino, http://irrelazio.altervista.org/Pubblicazioni/MCostantino_3.html). Inoltre, M. Costantino (a cura di), Educare al film, Franco Angeli, 2005.

[3] Si veda R. D’Avascio e A. Di Nocera (a cura di), Media Education. Esperienze di promozione della cultura cinematografica nella scuola italiana, Ucca, 2010.

[4] A proposito di autori di cinema documentario, il critico e storico Mino Argentieri, nella relazione  nella relazione a un convegno dedicato a Riccardo Napolitano, più avanti citato, organizzato dall’Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico, citò una serie di nomi di registi del secondo dopoguerra, dagli anni quaranta agli anni ottanta del Novecento:  «Michelangelo Antonioni, Luigi Comencini, Dino Risi, Carlo Lizzani, Citto Maselli, Valerio Zurlini, Gillo Pontecorvo, Florestano Vancini, Elio Petri, Michele Gandin (inoltre Luciano Emmer e Carlo Ludovico Ragghianti per i documentari sull’arte). Come successiva “ondata” del postneorealismo, spiccano i nomi di Ugo Adilardi, Libero Bizzarri, Cesare De Seta, Gianfranco Mingozzi, Luigi Di Gianni, Ugo Gregoretti, Giuseppe Ferrara, Ansano Giannarelli, Lino Del Fra, Ernesto Gallo, Cecilia Mangini [evviva!, una donna, ndr], Lino Miccichè, Riccardo Napolitano, Mario Carbone e altri. L’entusiasmo di questi autori è stato incalcolabile, tanta è stata la passione e la dedizione nella scoperta dell’Italia più autentica e sovente trascurata dai mass media. Tanto ne è venuto al progresso culturale. Ma i documentari migliori solo raramente sono giunti alle platee, restando oggetti misteriosi, e i registi hanno vissuto il più delle volte nella solitudine e nella frustrazione una attività a cui un sistema negava il dialogo e la diffusione con e nella società. Se questa sorta di congiura del silenzio è stata rotta, se questo isolamento ha avuto le sue eccezioni, lo si deve ai settori più battaglieri della critica. Perché la “questione del documentario”, nel dibattito delle idee e nella discussione sulle politiche a favore (o disfavore) della cinematografia nazionale, a lungo è stata al centro delle analisi e di una progettualità che hanno avuto ascolto nelle formazioni partitiche più sensibili, immancabilmente schierate a Sinistra. Dal canto loro, l’associazionismo, le organizzazioni del pubblico, i circoli del cinema sono stati lo strumento efficace di diffusione dei documentari, un tramite importante che ha compensato le amarezze di un “mestiere” difficile», in Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico, 29/09/2009 - Cronaca di un evento, giornale allegato al dvd omonimo, Roma 2009.

[5] G. De Luna, La Repubblica del dolore. Le memorie di un'Italia divisa, Feltrinelli, 2011, p. 21.

[6] Interessante in tal senso l’analisi di Francesco Benigno, sebbene riduttiva e un po’ liquidatoria rispetto alla storia e all’analisi delle fonti audiovisive, ufficiali e non: «La storia pubblica, veicolata in televisione e al cinema, è ... sempre più frequentemente affidata a documentaristi, giornalisti, romanzieri, registi e attori; in secondo luogo si nota la centralità di nessi immediati di rispondenza tra passato e presente basati sulla potenza delle tecniche di ricostruzione filmica (quella che è stata chiamata fictory) e sulla necessità, non tanto di far capire quanto di emozionare [...] la ricostruzione mediatica riorganizza la storia della gente attorno a delle soglie epocali scandite da eventi-spartiacque. Ognuno dei periodi in cui si divide la vita di un individuo assume così una patina nostalgica, diviene un mondo da rimpiangere (la bella gioventù) o da tenere a distanza, ma comunque a cui siamo legati da un rapporto emotivo, una sorta di memorizzazione vintage [...]», F. Benigno, Parole nel tempo. Un lessico per pensare la storia, Viella, 2013, pp. 23-24. Si tratta di considerazioni che sollecitano da una parte, proprio per evitare i rischi di cui lo storico parla, l’acquisizione di strumenti per decodificare e analizzare tali fonti, dall’altra di estendere il più possibile l’educazione ai linguaggi dei media e la diffusione della storia del cinema, anche e soprattutto documentario, e dei media; storia che non si esaurisce in quella delle fiction o di alcuni programmi storico-documentari di ricostruzione, televisivi. Vanessa Roghi, in tal senso, pubblica periodicamente articoli di analisi critica proprio di questo tipo di fiction televisive “storiche”. Si cita, ad esempio, il suo recente contributo Gli anni Settanta e la Tv degli ultimi dieci anni, «novecento.org – didattica della storia in rete», n. 2, giugno 2914, http://www.novecento.org/uso-pubblico-della-storia/vittime-gli-anni-settanta-e-la-tv-degli-ultimi-dieci-anni-533/#annidipiombo. 

[7] A proposito dell’insegnamento della storia, Piero Bevilacqua osservava, già nella seconda metà degli anni novanta, come: «All’interno delle scuole, ad esempio nelle medie superiori [...] l’introduzione degli allievi ai fatti della storia è molto simile a un viaggio nel regno dei morti. Si chiede ai ragazzi di intraprendere questa discesa agli inferi, ma senza nessun tremore né imozione. I morti da interrogare sono proprio stecchiti e non comunicano neppure il fremito eccitante della paura. La storia che si insegna nella scuola italiana è la storia dei manuali, vale a dire la storia dei fatti», P. Bevilacqua, Sull’utilità della storia per l’avvenire delle nostre scuole, Donzelli editore, 1997,  p. 18. Nello stesso volume, Bevilacqua rilevava: «Non dimentichiamo, peraltro, che oggi nuove espressioni di informazione storica premono alle porte, con il desiderio di farsi ascoltare, di entrare nella scuola con la loro travolgente forza comunicativa. Pensiamo alla documentazione filmica. Il secolo che sta per finire ci lascia un’immensa eredità di immagini dei fatti memoravili, ma anche della vita quotidiana, dell’ultima stagione dell’età contemporanea. Che posto assegneremo a questo gigantesco deposito di memorie nell’economia dell’insegnamento scolastico?», ibid. p. 24.

[8] La lezione della scuola delle Annales si presuppone sia nota a tutti gli insegnanti.

[9]http://www.mastercomunicazionestorica.it/. Il Master è stato ideato ed è diretto dallo storico contemporaneista Mirco Dondi. La parte relativa alle fonti audiovisive è svolta dalla studiosa Luisa Cigognetti, della quale avremmo volentieri pubblicato un contributo su questo Annale. Purtroppo una serie di circostanze non lo hanno consentito, nostante la reciproca volontà. Ce ne rammarichiamo.

[10] «Ed ecco la necessità dell’intervento nella scuola. Nella quale il cinema dovrà entrare come mezzo fondamentale di studio, di sperimentazione. Anche quello girato dagli stessi ragazzi, in collaborazione con gli insegnanti (per questo non sono necessari grandi apparati: basta una macchina a 8 mm.), perché è giusto che i giovani debbano vivere tutto il processo critico, creativo, tecnico, sintattico, immaginativo di un mezzo come il cinema (è un modo per capirlo meglio, e per esserne anche indipendenti...)». C. Zavattini,  Entrare nella scuola con le cine-cassette, in «Corriere dello Sport», 19 marzo 1970.

[11] P. Sorlin, L'immagine e l'evento. L'uso storico delle fonti audiovisive, Paravia, 1999, p. 6.

[12] A proposito di come i manuali di storia del Novecento trattino le tragedie più “incomprensibili” del secolo scorso, si segnala la ricerca condotta da un gruppo di lavoro nel 2008 su 13 manuali adottati nelle scuole secondarie, la cui sintesi è consultabile on line: G.. L. Melandri, C. Venturoli, P. Zagatti, La storia insegnata in classe. La storia insegnata nei manuali: Resistenza, Shoah, Foibe, Terrorismo nei manuali di storia delle scuole secondarie di I e di II grado: prime risultanze di una ricerca in corso, «Storia & Futuro», N. 17, 2008, http://www.storiaefuturo.com/it/numero_17/didattica/3_storia-insegnamento-resistenza-shoah-terrorismo~1173.html

[13] Si veda in proposito il sito Media Educazione Comunità. Ripensare i media per l’educazione e il benessere, aggiornato al 2010, tuttora in grado di fornire un quadro attuale sulla materia: http://www.edumediacom.it/. Inoltre, per un approfondimento storico della disciplina le dispense scaricabili in pdf: http://www.edumediacom.it/file/la%20media%20education.pdf. L’Europa è sempre più attenta alla promozione in tutti i paesi dell’Unione, della Media Literacy: http://ec.europa.eu/culture/media/media-literacy/media-literacy-worldwide_en.htm. Si segnala Screening Literacy, il progetto europeo di studio e monitoraggio sulla film literacy, al fine di realizzare una mappatura delle attuali pratiche di alfabetizzazione cinematografica in Europa. Il progetto si è concluso nel 2013, promosso dall'UE nell'ambito del Programma MEDIA e coordinato dal British Film Institute al quale il FilCoSpe-Dipartimento Filosofia, Comunicazione e Spettacolo dell’Università Roma Tre ha preso parte in quanto partner nazionale per l'Italia e advisory group member. Il Rapporto completo può essere scaricato dalla pagina studies della sezione media literacy del sito del Programma MEDIA: http://ec.europa.eu/culture/media/media-literacy/studies_en.htm, doveo sono presenti diversi studi e report sullo stato dell’arte in materia. Si ringrazia Simone Moraldi, studioso e ricercatore, per le informazioni e per la costante e appassionata attività di disseminazione in Italia dei risultati di questo progetto, nonché della disciplina.

[14] Fondamentale in tal senso l’opera dello studioso Serge Noiret. Si rinvia al suo blog per un quadro sulla materia e per approfondimenti specifici : http://sergenoiret.blogspot.it/p/why-this-blog.html. Si segnala inoltre il saggio di Marcello Ravveduto, Una Italian Public History per la seconda Repubblica. in «OS Officina della Storia». dicembre 2013, http://www.officinadellastoria.info/magazine/index.php?option=com_content&view=article&id=334:una-italian-public-history-per-la-seconda-repubblica&catid=69:cantieri-sissco-2013&Itemid=96.  Sulla medesima rivista on line suggeriamo la consultazione del Dossier Cinema e Storia, a cura di M. Cruciani, http://www.officinadellastoria.info/magazine/index.php?option=com_content&view=category&id=50&Itemid=56.

[15] Cfr. S. Luzzatto, Premessa, in Luzzatto (a cura di), Prima lezione di metodo storico, Laterza, 2012. Si legga il più recente articolo di sintesi su un dibattito in corso tra gli storici professioni su tali questioni: S. Fiori, Una Storia in Crisi. Perché ci siamo fermati allo studio del passato, in «La Repubblica», giovedì 6 febbraio 2014.

[17] Fratello di Giorgio Napolitano, operatore culturale e documentarista (1928 – 1993). «Il [suo] precoce interesse per il cinema ebbe modo di concretarsi e di tradursi in un diretto impegno all’indomani della Liberazione. Testimone attivo di un’Italia da ricostruire – e, con essa, la democrazia e la società civile – vide nel cinema, come altri della sua generazione, lo strumento e l’occasione per rifondare la realtà del presente, per ripercorrere la storia, non solo nazionale, per discuterla, contribuendo così al suo farsi e alla sua trasformazione. Nella sua idea occorreva infatti non solo aggregare e organizzare consumatori-spettatori di cinema, ma farne un pubblico di soggetti partecipanti, critici, responsabili e propositivi, anche attraverso la realizzazione di inchieste audiovisive e di documentari». Si veda L. Cortini, Napolitano, Riccardo, in Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 77 (2012), anche su «Treccani.it – L’Enciclopedia Italiana», http://www.treccani.it/enciclopedia/riccardo-napolitano_(Dizionario_Biografico)/    

[18] Ficc – Federazione italiana dei circoli del cinema, Carta dei diritti del pubblico, http://www.ficc.it/sottosezioni.php?cdisplay=10011&id_s=175.

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