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ANAI: bilancio di mandato 2011 – 2014. Qualche riflessione sull’esperienza di quattro anni
Lunedì, 20 Aprile 2015

ANAI: bilancio di mandato 2011 – 2014. Qualche riflessione sull’esperienza di quattro anni

Marco Carassi
Sezione Primo piano

“Mi piacciono anche i piccoli difetti che pian piano si stanno affrontando” è una delle frasi che più ci è piaciuto leggere tra i giudizi sull’ANAI contenuti nei questionari della rilevazione sullo stato della professione archivistica, svolta nei mesi scorsi  a livello nazionale.

Nel tentare di aiutarvi a dare una valutazione complessiva sull’attività svolta in questi quattro anni assai impegnativi, non mi nascondo le difficoltà che non siamo riusciti a superare, ma considero anche con qualche soddisfazione le cose che siamo riusciti a mettere in moto.

In vista dell’assemblea, sono riandato con la memoria (ma la documentazione è sul sito) ad  alcuni dei fatti che hanno caratterizzato la vita dell’Associazione in questo periodo, ed anche se la mia ricostruzione non pretende di essere esaustiva, vi sottopongo qualche dato e alcune riflessioni, che raccoglierei intorno a questi temi:  1) tutela della professione; 2) formazione e aggiornamento professionale; 3) studio, comunicazione e attività editoriale; 4) rapporti con istituzioni e associazioni;  5) organizzazione e funzionamento dell’Associazione.

1. Tutela della professione

La rilevazione dello stato della professione realizzata nei mesi scorsi ha fatto emergere elementi inquietanti sulle condizioni di difficoltà in cui si trovano molti archivisti, e non solo quelli che praticano la libera professione (il 60% dei quali dichiara di non superare i 15.000 euro di reddito nella media degli ultimi tre anni).

La tutela della professione è dunque un punto dolente per la grande fatica a fronte di risultati che avremmo voluto più incisivi. Non hanno infatti avuto i risultati sperati alcune battaglie, talora con manifestazioni di piazza, svolte insieme a movimenti e sindacati (come quella sfortunata dell’11 gennaio 2014 contro il bando 500 giovani per la cultura, corredata dal paradossale tweet del ministro “sono d’accordo con voi”).

Non abbiamo risparmiato critiche severe a decreti e progetti come  “Valore cultura”,  “Art Bonus”, “Mille giovani per la cultura” e altri analoghi sprechi di denaro destinati a dare brevi illusorie speranze di lavoro ai giovani (con l’aggravante della discriminazione dei meno giovani, oltre i 40, i 35 e i 29 anni).

L’associazione ha lavorato con impegno su diversi fronti, tra l’altro costituendo un Coordinamento degli archivisti libero professionisti, ad es. segnalando a Consip la necessità di escludere dalle tabelle del Mercato elettronico della PA le prestazioni specialistiche come quelle tipiche degli archivisti. Certo l’ANAI può suggerire misure di tutela come ad esempio le tariffe minime ma non ha alcuna possibilità di imporle, come solo spetta agli ordini professionali (peraltro soltanto finché lo consentono le direttive di liberalizzazione della UE).

Sono stati ottenuti alcuni risultati riguardo ai successivi progetti di riforma del MIBACT evitando  alcuni aspetti suscettibili di danneggiare non solo l’efficacia dell’Amministrazione archivistica , ma indirettamente anche gli archivisti sul campo. Altri aspetti della riforma si sono rivelati invece gravemente negativi per le istituzioni archivistiche e per coloro che vi lavorano o vi collaborano.  ANAI ha denunciato gli effetti disastrosi della sostanziale soppressione delle Province sui servizi culturali finora sostenuti da finanziamenti e coordinamento di tale Ente locale.

Pur a fronte di dure contestazioni da parte di associazioni con interessi contrari, l’ANAI si è impegnata nello sviluppo della norma UNI 11536 descrittiva della professione archivistica, che è una tappa importante del riconoscimento normativo della professione (infatti la Legge n. 4/2013 sulle professioni non ordinistiche fa rinvio a tali standard).

Proteste al Presidente del Consiglio sono state indirizzate per l’ingiustizia della normativa sul regime dei minimi e le aliquote contributive dei titolari di partita IVA.

Dopo anni di insistenze (nelle quali va in particolare ricordata la tenacia di Ferruccio Ferruzzi) abbiamo ottenuta la L. 110/2014 che modifica il Codice dei BBCC sancendo  all’art. 96bis l’obbligo di riservare a professionisti iscritti ad apposite liste nazionali, da istituirsi presso il MIBACT, ogni intervento su Beni Culturali tutelati (tra i quali rientrano gli archivi intesi in senso unitario, dalla fase di formazione fino alla conservazione storica). L’Anai ha già offerto la sua disponibilità a collaborare per ottenere le migliori garanzie di serietà e imparzialità.

In particolare per iniziativa della Sezione Veneto l’associazione ha sperimentato importanti forme di servizi ai soci  e di assistenza commercialistica e fiscale. Sempre su questo versante, a livello nazionale nel 2011 è stata stipulata, dopo un lungo processo di selezione e mediazione con una Società di brokeraggio, una polizza assicurativa particolarmente adatta alle esigenze dei liberi professionisti, tuttavia il numero dei sottoscrittori è stato talmente esiguo che l’Assicurazione ha deciso unilateralmente di revocare l’offerta.  Il discorso è stato ora riaperto per offrire nuovamente ai soci un servizio nazionale adeguato e vantaggioso.

Più volte sono stati fatti interventi di contestazione dell’impiego di volontari e di disoccupati in lavori d’archivio non coordinati da archivisti, sono state formulate critiche ad incarichi di direzione di Archivi affidati a personale senza professionalità specifica e critiche a bandi di concorso o contratti di collaborazione incongrui.

Talora è stato possibile mettere in contatto possibili datori di lavoro con nostri soci. Come noto, è possibile pubblicare sul sito web il proprio curriculum, mentre le richieste dei datori sono gestite tramite la segreteria, dopo che in certi casi la diffusione pubblica della notizia delle occasioni di lavoro ha fatto sì che ne fruissero dei non soci.

Certo rimangono da sviluppare modi per sostenere i liberi professionisti sia nella fase iniziale del loro lavoro, sia quando incontrano particolari difficoltà. 

Andrebbe approfondita la problematica dei corsi brevi per persone che di fatto gestiscono archivi senza avere una formazione specifica: il rischio in tali casi è quello di sottrarre occasioni di lavoro ad archivisti professionisti, ma in realtà le competenze archivistiche sono di applicazione talmente universale e su livelli di diversa difficoltà, che dare una infarinatura di archivistica ad es. ad un tecnico di osservatorio astronomico, che comunque le mani nei documenti le mette tutti i giorni per lavorare, potrebbe se mai suscitare la richiesta di un riordinamento tecnicamente approfondito da affidare a un professionista.

2. Formazione e aggiornamento professionale

L’Anai si sta orientando a riorganizzare e sviluppare questo settore, dove pur sono già presenti iniziative molto varie comprese alcune di alto livello (si pensi ad es. ai corsi sugli archivi d’impresa o al workshop della Sezione Piemonte e Valle d’Aosta sugli archivi elettronici che tra poco avrà la sesta edizione). Molti sono gli argomenti possibili e i suggerimenti dei soci potrebbero aiutare a programmare le iniziative. Talora l’Anai ha fornito corsi sulla gestione di archivi correnti ad Enti Pubblici di grandi dimensioni, con molti dipendenti da dirozzare.

La richiesta di gratuità dei corsi per i soci non è purtroppo accoglibile: si tratta di iniziative che non debbono essere speculazioni lucrative, ma dovrebbero portare almeno un minimo di sostegno ai bilanci dell’ANAI e comunque certo non  possono essere in passivo. Già si cerca tuttavia di diversificare le quote in modo da favorire gli associati.

Diverso è il caso delle iniziative “informative” che si continuano a proporre a titolo gratuito come servizio per tutti i soci.

L’ANAI ha formulato suggerimenti alla Direzione generale per gli Archivi ai fini della riforma delle Scuole di Archivistica, paleografia e diplomatica esistenti presso 17 Archivi di Stato italiani,  auspicando che ad esse siano ammessi laureati in qualunque disciplina e che su di una base comune di studi di base si innestino due diverse specializzazioni, una delle quali dedicata agli archivi contemporanei.

3. Studio, comunicazione e attività editoriale

L’ANAI ha organizzato direttamente iniziative di riflessione o è intervenuta in varie occasioni su problemi della professione (es. la giornata 2013 in onore della compianta Cristina Covizzi) portando contributi scientifici su problemi come quello delle fonti per la storia del clima e dell’ambiente (Chambéry 2012), degli Archivi della Moda (il cui Comitato nazionale è presieduto da Isabella Orefice), della collaborazione interdisciplinare (es. gli Stati Generali MAB 2012 e l’IFLA meeting del 13 agosto 2014) o dell’Amministrazione digitale a dieci anni dall’entrata in vigore del CAD (es. convegno all’Università dell’Insubria del 6 marzo 2015).

Un tema sicuramente all’ordine del giorno è quello della comunicazione.

C’è indubbiamente possibilità di migliorare in varie direzioni.

Tuttavia alcuni critici non si sono forse nemmeno curati di partecipare alle iniziative e assemblee locali e nazionali, di leggere che cosa risulta dal sito web, o dal notiziario on-line Il mondo degli archivi (che è curato da Letizia Cortini con Emanuele Atzori e mostra dati di consultazione in sistematica crescita) con la sua pagina Facebook (che ha superato i 2000 “mi piace”), o dal forum Archiviando curato da Sergio Del Bello, o dalla rivista Archivi, diretta da Giorgetta Bonfiglio Dosio e riconosciuta di alto valore scientifico a livello internazionale.  

In nessuna di queste fonti si pretende certo di aver raggiunto la perfezione, ma dietro ognuna di esse c’è una gran fatica di soci appassionati e generosi.

Vanno inoltre ricordate le 60 iniziative svolte in tutta Italia nella tre giorni “E poi non rimase nessuno” (12 – 14 ottobre 2011), che è citata ancora oggi negli articoli di giornale e nelle trasmissioni radiofoniche: l’originalità della protesta contro la crisi degli archivi e degli archivisti è stata quella di rivolgersi al grande pubblico e di dare la parola agli utenti danneggiati dalla progressiva scomparsa degli archivisti.

Esiste poi tutta una serie di comunicazioni mirate a singoli destinatari come quelle ai candidati italiani alle elezioni europee 2014, o gli appelli a sindaci per contestare bandi incongrui, o al Ministro in carica sugli argomenti via via emersi all’ordine del giorno, o il recente appello comune delle associazioni italiana e francese al Consiglio UE per scongiurare il rischio che il Regolamento europeo sulla privacy imponga la distruzione dei dati personali dopo l’utilizzo per lo scopo originario. Di tali comunicazioni mirate, i soci vengono informati per le vie sopra ricordate.

4. Rapporti con istituzioni e associazioni

A livello internazionale siamo rimasti iscritti e in contatto con il Consiglio internazionale degli archivi pur rinunciando alla troppo costosa presenza nel comitato direttivo della Sezione per le associazioni professionali. Abbiamo scritto ai parlamentari europei della Commissione libertà civili per segnalare i rischi del Regolamento europeo sulla Privacy in preparazione. Abbiamo fatto vibrate proteste contro il licenziamento della direttrice dell’Archivio nazionale di Francia, contro la dispersione dell’archivio della polizia comunista di Ungheria, e contro il nuovo persecutorio codice di comportamento imposto agli archivisti dell’Archivio nazionale canadese (alla nostra lettera sono seguite le dimissioni del Direttore generale, ma ci è stato spiegato che non era merito nostro). Di recente abbiamo manifestato la nostra solidarietà ai colleghi tunisini dopo l’attentato al Museo del Bardo.

Le relazioni con talune istituzioni italiane sono state ardue, particolarmente quelle con il MIBACT, mentre con la Direzione Archivi sono state sviluppate collaborazioni reciprocamente fruttuose.   Sembra incredibile, ma in questi ultimi anni è stato necessario contrastare la temuta sostanziale soppressione delle Soprintendenze archivistiche, o della stessa Direzione generale Archivi e dell’ICAR, o la falcidie di posti dirigenziali nelle sedi periferiche. Oltre alle battaglie difensive, pur necessarie, sono state più volte avanzate richieste di un vasto ripensamento delle strategie degli ultimi decenni in tema di patrimonio culturale. Sono stati chieste collaborazioni con il MIUR, con l’Agenzia per l’Italia digitale, con ANCI e UPI e le Regioni (stiamo lavorando al tavolo nazionale istituito presso la Regione Lazio sulle qualifiche del personale addetto a interventi culturali nelle PA).  Sono stati espressi pareri negativi su misure tampone che rischiano di essere di fatto sostitutive del lavoro vero come tirocini, stage, servizi civili, ecc. e sono stati chiesti seri concorsi di assunzione stabile per la ricostruzione degli organici degli uffici ed istituti ormai allo stremo, in modo da consentire anche ai liberi professionisti di avere nell’Amministrazione archivistica un vero interlocutore e non solo un fondale di teatro.

Sembra una fatica di Sisifo…

Nei confronti delle associazioni abbiamo lavorato con difficoltà ed entusiasmo per la costruzione del Coordinamento MAB con ICOM-Italia e AIB, poi esteso ad AICRAB, per svolgere azioni comuni a livello sia nazionale sia regionale, con l’intesa che non creiamo nuove strutture burocratiche e che nessuno debba rinunciare alla sua legittima autonomia nel campo suo proprio.

Come noto abbiamo avuto forti contrasti con ANORC quando questa associazione ha cercato di far modificare la bozza di norma UNI sulla  nostra professione in modo da escludere che all’archivista si potesse affidare la responsabilità complessiva della conservazione dell’archivio, digitale compreso,  e quando ha poi costituito un Registro dei conservatori digitali.

Con il movimento ArchIM, da poco trasformatosi in  associazione (ma noi facciamo fatica a credere che moltiplicare le organizzazioni possa rafforzare  la professione), abbiamo avuto qualche garbata polemica e qualche collaborazione per azioni condivise. Sul fronte delle interazioni con le professioni di settori diversi ma a noi vicine, sia a livello di agenzie formative, in primis l’Università, sia a livello associativo, ANAI è consapevole che  occorre sviluppare i rapporti ed è ciò che in parte si sta facendo.

La chiave di fruttuose collaborazioni non ci sembra comunque la convergenza verso un amalgama indistinto, ma una ricerca paziente delle vie di reciproco sostegno senza svendere le conquiste metodologiche delle rispettive discipline e competenze.

5. Funzionamento e caratteri dell’associazione

In questi quattro anni l’ANAI ha affrontato un impegnativo percorso di rinnovamento per assicurare maggiore trasparenza e democraticità e garantire una migliore tutela della professione.

Uno dei primissimi provvedimenti è stato quello della riforma del bilancio, curata dal nostro tesoriere Augusto Cherchi, con il passaggio dal bilancio di cassa a quello di competenza, e della sua unificazione in modo da dare alle Sezioni e al nazionale sempre un quadro chiaro della situazione reale, locale e nazionale. La libertà delle Sezioni di aprire un proprio conto dedicato o appoggiarsi a quello nazionale è andata di pari passo con l’abolizione della gestione di conti personali. Particolare cura è stata messa nel predisporre meccanismi tali da evitare che si potessero ripetere situazioni di sofferenza contabile derivate da incarichi conferiti in buona fede ma senza sicura copertura economica.

La conquista di nuovi soci e la riconquista dei soci decaduti o morosi è stata un’altra priorità, che ha portato per la prima volta nel 2013 a superare il numero di mille iscritti in regola con le quote.

Il Coordinamento degli archivisti liberi professionisti ha visto Cristina Covizzi assumere un ruolo di animazione molto rilevante, interrotto dalla sua tragica scomparsa e ripreso poi da Michela Fortin e Augusto Cherchi.

Il Comitato nazionale per gli archivi della Moda (Lucia Ronchetti, Maria Antonietta Taglialatela, Sara Pollastri, Diego Robotti, Maria Procino, presieduto da Isabella Orefice), ha svolto un ruolo di organizzazione di iniziative nazionali, di ricerca di risorse e di coordinamento delle attività dei Comitati scientifico-organizzativi istituiti in varie regioni a seguito di una intesa con la Direzione generale per gli Archivi.

Il Gruppo italiano archivisti d’impresa è stato rifondato nel 2014 con il coordinamento di Francesca Pino ed ha organizzato iniziative di riflessione scientifica e corsi di formazione.

Il Gruppo di lavoro per la rilevazione dello stato della professione ( Francesca Capetta, Angela Castronuovo, Michela Fortin e Allegra Paci con il supporto dell’Università di Macerata) ha operato sulla bozza di questionario e poi seguito la diffusione dell’iniziativa a cavallo tra 2013 e 2014.

Il Gruppo di lavoro sulla professione, coordinato da Antonio Memoli e poi da Paola Carucci (Mariella Guercio, Bruna La Sorda, Patrizia Luciani, Monica Martignon, Silvia Trani, Stefano Vitali), si è articolato variamente per la redazione delle successive bozze dello Statuto e dei Regolamenti e per il sostegno a Paola Carucci designata dall’ANAI nella commissione per la elaborazione della norma UNI sulla professione archivistica tra 2013 e 2014. In particolare La Sorda, Martignon e Trani hanno lavorato alla bozza di Regolamento per l’iscrizione e le attestazioni, e alle relative tabelle.

Di tutti questi lavori il Consiglio direttivo nazionale ha sempre tirato le fila, assumendosi l’onere di operare le scelte necessarie per presentare proposte organiche alla Conferenza dei Presidenti regionali e alle successive Assemblee nazionali. Le numerose fasi intermedie di consultazione operate dal Direttivo nazionale con i Gruppi di lavoro, le Sezioni e la generalità dei soci, hanno consentito di raccogliere suggerimenti preziosi non solo per il loro contenuto tecnico ma anche per il loro valore di coinvolgimento corale in iniziative importanti per il futuro dell’Associazione.

Il Consiglio direttivo si è fatto carico anche di aiutare alcune Sezioni a riprendere l’attività dopo periodi di stasi o a superare difficoltà di tipo organizzativo e contabile. In questi quattro anni hanno ripreso vita Sezioni che erano da tempo inattive: Marche, Trentino Alto Adige, Liguria, Umbria e si è intervenuti per chiarire situazioni critiche o per aiutare, su richiesta delle stesse Sezioni, processi di rinnovamento, come per le Sezioni Puglia, Lazio e Lombardia.

Dai 1394 questionari compilati per la rilevazione sullo stato della professione sono emersi molti apprezzamenti incoraggianti da parte di colleghi che si sono resi conto della fatica necessaria per far funzionare una associazione basata sul volontariato, pur a fronte delle tante cose che invece non siamo riusciti a fare.

Il panorama delle critiche è risultato vivace e molto vario. Alcune sono ragionevoli e suggeriscono utili riflessioni. Parecchie critiche invece si contraddicono a vicenda, o appaiono irrealistiche perché trascurano la presenza di vincoli difficilmente o per nulla superabili (ad es. la normativa europea non accetta nuovi ordini professionali né i loro albi). Peraltro quando il tempo e le risorse non sono sufficienti a fare tutto ciò che si vorrebbe, occorre fare delle scelte. Forse alcuni soci critici potrebbero chiedersi quali contributi loro ed altri abbiano personalmente dato.

Mi preme però sottolineare che alcune delle scelte dell’Associazione che sono state oggetto di critica nei questionari, in realtà sono state adottate dopo ampio dibattito nella massima sede decisionale, cioè l’assemblea dei soci. Tali decisioni possono non piacere, ma riflettono il parere della maggioranza e come tali vanno rispettate. Ovviamente tutti i soci dissenzienti possono contribuire perché vengano modificate con una successiva decisione di pari livello.

Alcuni critici sono rimasti con l’idea che l’associazione sia un club riservato agli archivisti di Stato, ma da tempo non è più così, sia per la diminuzione in termini assoluti di tale popolazione, falcidiata da pensionamenti senza sostituzione, sia perché molti di essi forse si sono lasciati scoraggiare dalla situazione generale dell’Amministrazione, si sono chiusi in se stessi e quindi in pochi sono ormai attivi nell’associazione. Invece l’esperienza accumulata dagli archivisti di Stato non ostacola l’apertura al cambiamento che risulta necessario per affrontare nuove sfide, anzi costituisce comunque un punto di riferimento per la configurazione della professione e può servire per affrontare in maniera costruttiva anche problemi nuovi. Per esempio quello delle conseguenze della concezione unitaria dell’archivio sulle responsabilità dell’archivista in materia di organizzazione e supervisione generale per assicurare coerenza anche ai sistemi informatici di gestione documentaria, dove ormai sfuma la distinzione classica tra fase corrente e fase di conservazione storica e dove quindi sarebbe deleteria la vecchia rigida contrapposizione di scuola nordamericana tra archivista storico e record manager (peraltro quella distinzione la stanno ridimensionando anche oltreoceano).

In merito ai criteri di accesso, da alcuni ritenuti troppo severi e da altri troppo poco selettivi, va detto che se vogliamo essere una associazione all’altezza delle nuove norme sulla disciplina e il riconoscimento delle professioni non ordinistiche (legge n. 4/2013), dobbiamo garantire uno standard di qualità, sia pur articolato in vari livelli, come abbiamo progressivamente progettato  nella riunione della Conferenza dei presidenti regionali a Bologna nel giugno scorso e nelle due assemblee nazionali del 2014, fino all’approvazione del nuovo Statuto e del Regolamento di iscrizione e attestazione. La creazione della categoria di aderenti denominata “Amici degli Archivi” consente ora di garantire il carattere professionale dell’associazione senza rifiutare l’apporto dei simpatizzanti.

I liberi professionisti, che hanno un ruolo crescente nell’associazione come sancito dalla riforma statutaria della primavera scorsa, potranno giovarsi di una risorsa in più a livello di rapporti con la committenza mediante l’entrata in funzione del sistema di attestazione di qualità, non essendo per ora attivabile la complessa procedura della certificazione.

Nessuno più di chi lavora con impegno per l’associazione conosce le sue debolezze, che sono molte anche se paiono in via di diminuzione. La struttura generale è teoricamente equilibrata: un direttivo nazionale eletto dall’assemblea, che è l’organo decisionale principale, e una rete di sezioni regionali con rispettivo consiglio e assemblea che contribuiscono a radicare l’Anai sul territorio. Quale organo intermedio tra assemblea nazionale e direttivo nazionale c’è la conferenza dei presidenti regionali. Poi ci sono i coordinamenti regionali MAB (ed uno a livello nazionale), dove gli archivisti attivi possono dare un contributo notevole allo sviluppo di collaborazioni interprofessionali. E’ un’architettura con regole di funzionamento che sono state nei mesi scorsi consensualmente aggiornate con il nuovo Statuto e con due regolamenti interni, per garantire rigore, trasparenza e democraticità, oltre che per adeguarci alla legislazione 2013 sulle professioni non regolamentate in ordini o  collegi.

Funziona tutto bene? No. Ma dove ci sono carenze, bisogna rimboccarsi le maniche e lavorare.

Ci sono errori? Ce ne saranno sempre, quel che conta è essere pronti a riconoscerli e rimediare.

Ci sono lentezze a livello nazionale? Forse servirebbe una collaborazione più ampia ai carichi di lavoro, anche da parte di singoli soci.

Ci sono sezioni leggermente assopite o completamente dormienti? Ma altre lo erano in pari misura qualche anno fa ed ora sono in fase di vivace rilancio. D’altra parte anche in quelle che funzionano è giusto integrare continuità e rinnovamento.

Solo i soci possono decidere se l’Anai e le sue articolazioni devono attendere che le cose accadano oppure devono contribuire a orientare il cambiamento della realtà intorno a noi.

La nostra professione ci consentirebbe di svolgere un ruolo cruciale nella società in trasformazione.

Se questa funzione di alto valore civile è così ostacolata, tocca a noi individuare i nodi sui quali lavorare giorno per giorno finalizzando il necessario realismo dei piccoli interventi di resistenza e manutenzione agli obiettivi di una visione strategica di ampio respiro e di lunga lena.

Li dobbiamo convincere che senza di noi il mondo sarebbe meno sicuro e meno bello.

Da ultimo un cenno di carattere personale. Qual è stata la cosa più confortante per me in questi quattro anni, a parte la presenza di Cecilia in Segreteria e le tante amichevoli presenze vicine e lontane? E’ stata la lettura del libro di Rita Levi Montalcini, Elogio dell’imperfezione. La scienziata spiega che nel gran teatro dell’evoluzione sopravvivono meglio gli organismi che non si sono specializzati nel fare benissimo una cosa sola, che rimangono in grado di affrontare nuove situazioni e procedono per tentativi, si propongono di imparare dagli errori commessi, possono accettare di non riuscire a raggiungere tutti gli obiettivi desiderati, ma cercano di sfruttare ogni passo avanti per proseguire un lavoro, mai finito, di realistico adattamento alle circostanze e al tempo stesso di tenace impegno per la trasformazione della realtà.

Chissà se Rita Levi Montalcini nello scrivere quelle righe pensava alla meravigliosa plasticità dell’essere umano, che non si è arreso al caldo dei deserti né al gelo delle glaciazioni, oppure pensava proprio alla nostra imperfetta ma vitale associazione…

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