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Convergenza o collaborazione? Nota sul convegno internazionale IFLA a Torino (13-14 agosto 2014)
Venerdì, 29 Agosto 2014

Convergenza o collaborazione? Nota sul convegno internazionale IFLA a Torino (13-14 agosto 2014)

Marco Carassi
Sezione Primo piano
NOTA del redattore: riceviamo la seguente precisazione in merito al contributo di Marco Carassi:
 
"In merito a "Convergenza o collaborazione tra professionisti culturali?", di Marco Carassi vorrei segnalare una imprecisione. 
Il paragrafo "All’Università di Teramo, per progettare attività formative si è partiti dalla constatazione che le richieste degli utenti diventano sempre più fluide e meno inquadrabili in un ambito disciplinare preciso..." si riferisce a Converging educational strategies: An Italian e-learning class for young LAMs professionals (http://bit.ly/Y8x5h3) di Colombati, De Carolis e della sottoscritta, Agnese Galeffi.
L'università di Teramo è solo l'affiliazione della prima autrice e non ha avuto alcun ruolo nell'ideazione dei contenuti o nella realizzazione del paper che invece nasce dall'esperienza di partecipazione delle autrici al corso "La formazione continua AIB e-learning: insegnare ed apprendere usando le nuove tecnologie", tenutosi nei primi mesi del 2014."

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Convergenza o collaborazione tra professioni culturali?

Nota sul convegno internazionale IFLA Satellite Meeting

"Teory and research on the convergence of professional identity in cultural heritage institutions. Libraries, Museums and Archives, beyond technology".

In calce è allegato il pdf del testo dell'intervento del Presidente Marco Carassi.

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Il convegno ha esaminato la questione se le professioni che trattano dell’informazione debbano o non debbano tendenzialmente convergere, lasciando cadere suddivisioni che alcuni ritengono ormai obsolete.

Benché collaborare sia da tutti ritenuto necessario, ci si è chiesti se debba essere una semplice tappa da superare o se invece una collaborazione reciprocamente rispettosa sia proprio il modo giusto di affrontare i rapporti interprofessionali. Alcuni hanno sottolineato il rischio di creare confusione - sotto cappelli generici come le “cultural heritage institutions”, “memory institutions” o “information disciplines” - mescolando discipline professionali la cui distinzione è finora stata fondata sulla oggettiva diversità dei beni cui rispettivamente si applicano. Altri, suscitando obiezioni, hanno evocato una presunta sequenza logica di fasi che tenderebbe prima alla cooperazione, poi al coordinamento, successivamente ancora alla collaborazione e infine alla convergenza.

Il confronto sulle eventuali convergenze ha riguardato non tanto gli strumenti hardware e software oggi a disposìzione, quanto soprattutto teorie e metodi di lavoro. Si è evidenziato il rischio di rimanere succubi di una visione mitica della tecnologia, ove non si osi discuterne le modalità di utilizzo. E si è ricordato che l’eccessiva e acritica esternalizzazione di servizi tecnologici può indebolire fortemente l’esercizio corretto ed efficace delle funzioni istituzionali dell’organismo culturale. Si è evocata l’esponenziale crescita nella produzione di informazioni non strutturate, fenomeno noto col nome di Big Data, da cui deriva poi la costosa tendenza a conservare massicciamente – senza selezione - messaggi dei social networks (la Biblioteca del Congresso USA ha deciso di conservare tutti i messaggi di Twitter, essendo il concetto americano di privacy assai lontano da quello europeo), registrazioni di telecamere stradali, rilevazioni meteo, flussi di dati economici, ecc. che sembrano richiedere una nuova professione: il Digital data curator. Ma la parola curation è parsa ambigua perché sembra rinviare al tradizionale lavoro interpretativo dei curatori di musei. D’altra parte la stessa parola data è usata ambiguamente per indicare semplici accumuli di informazioni singole oppure documenti strutturati connessi ad un sistema archivistico organico.

La principale novità tecnologica che ha caratterizzato il cambiamento del lavoro dei bibliotecari, ma in notevole misura anche quello degli archivisti e degli operatori museali, è il trasferimento in ambiente digitale di molte funzioni che prima si sviluppavano con strumenti tradizionali assai diversi tra di loro. Le novità tecnologiche sono andate di pari passo con l’apertura di nuove prospettive di interazione a distanza tra le persone e tra le persone e le macchine, con la possibilità di offrire all’utenza servizi più ricchi e integrati.

Un nodo metodologico cruciale discusso è stato quello della possibilità di presentare agli utenti dei vari tradizionali istituti e servizi culturali, nuove modalità di accesso unificato alle informazioni in loro possesso. L’unificazione dell’accesso naturalmente si può realizzare in molti modi, alcuni dei quali ottengono l’uniformità sacrificando in parte la specificità descrittiva delle varie tipologie di beni culturali, altri modi invece si limitano a garantire ponti di collegamento tra sistemi descrittivi che rimangono concettualmente diversi.

Molte le argomentazioni addotte a favore della organica convergenza delle discipline e almeno altrettanto forti le argomentazioni portate a favore non della convergenza, ma della collaborazione fra tre distinte professioni.

Si sono citate alcune delle innumerevoli iniziative dirette a rendere ampiamente accessibile sul web il patrimonio descrittivo e informativo che fino a qualche anno fa occorreva chiedere personalmente e faticosamente ai singoli istituti conservatori, e si è evidenziata la crescente richiesta degli utenti di essere facilitati nelle loro ricerche in modo da poter frequentare una sola sala di studio comune a più istituzioni o attingere con un solo click del mouse a fonti anche fisicamente lontane tra di loro, ma connesse per argomento.

Si è sostenuto che Musei, Archivi e Biblioteche conservano diversi aspetti di una unica grande memoria culturale, le cui strategie di riproduzione e descrizione, e in parte anche di conservazione e restauro tendono ad avvicinarsi, mentre risulta evidente la opportunità di presentarsi uniti di fronte agli interlocutori politici e amministrativi. La tutela dai rischi di danneggiamento e distruzione delle tre tipologie di beni è un altro campo di coincidenza di interessi, così come la necessità di affrontare insieme la diminuzione delle risorse destinate ai servizi culturali e le conseguenze della crescente facilità di connessione tra risorse digitali e di integrazione dei loro metadati.

A favore della convergenza sono stati citati casi di complessi di beni archivistici, bibliografici e museali legati tra di loro dall’essere stai prodotti e accumulati dallo stesso personaggio (ma si è obiettato che la giusta preoccupazione di tutelare e rendere evidente il vincolo creato dall’unico produttore-collezionista, facilitando la conoscenza globale di tale pur eterogeneo patrimonio, non può condurre alla paradossale conseguenza di costringere dentro lo stesso schema riordinativo e descrittivo statue, quadri, armi, medaglie, reperti naturalistici o archeologici, libri e documenti d’archivio legati tra loro da un nesso diverso da quello collezionistico). Le biblioteche dei conservatori di musica, come quello di Firenze, sono state citate come istituzioni nelle quali sì è sovente già realizzata la fusione delle tre funzioni bibliotecaria, archivistica e museale.

Sono stati evidenziati casi in cui ci si è sforzati con successo di costruire collegamenti tra beni di natura diversa, come nella Biblioteca Capitolare di Vercelli, dove ad esempio si è reso immediatamente accessibile sul web il nesso tra uno splendido reliquiario medievale d’argento e la sua descrizione ritrovata nell’inventario archivistico che descrive i beni presenti nella chiesa cattedrale nel 1426 (ma l’utile collegamento informativo – si è osservato - non ha nulla a che fare con le necessarie diversità di trattamento fisico e concettuale delle opere di oreficeria e dei documenti d’archivio, come di un violino e uno spartito musicale).

Su scala molto più grande si presenta l’attività in corso allo Smithsonian Institution di Washington – istituto di istruzione e ricerca che comprende diversi musei, biblioteche e archivi - dove si garantisce l’accesso integrato on line (anche tramite intuitivi indici per immagini) a tutte le informazioni via via acquisite sul patrimonio conservato nei diversi istituti dipendenti. La quantità impressionante di immagini digitali acquisite annualmente (i reperti insieme alle loro antiche etichette manoscritte) ha suggerito di utilizzare la collaborazione volontaria degli utenti per l’arricchimento dell’apparato descrittivo, ma il controllo dei dati viene comunque effettuato da professionisti dei singoli settori disciplinari che collaborano utilmente tra di loro. In ogni caso il sistema informativo ai livelli alti contiene per ogni oggetto un numero limitato di dati, ma quando l’utente ha raggiunto l’oggetto desiderato, il sistema dà accesso alle informazioni più raffinate di cui dispone il singolo istituto conservatore.

Che vi siano delle affinità tra le diverse modalità di azione dei professionisti del patrimonio culturale non significa che vengano meno le distinzioni di fondo. E’ il caso della interpretazione, obiettivo tradizionalmente considerato tipico degli operatori museali che debbono offrire ai visitatori dei loro istituti una prospettiva di significato degli oggetti o dei fenomeni esposti ed illustrati, mentre in modo più neutrale archivisti e bibliotecari debbono evitare di sovrapporsi ai giudizi di valore che l’utente darà del materiale richiesto e offerto in lettura. E’ stato rilevato che anche archivisti e bibliotecari in qualche modo fanno ricorso alla loro soggettività interpretativa quando scelgono di sviluppare in un modo o in un altro le acquisizioni, o ancor più quando operano selezioni al fine di conservare solo una parte del materiale originariamente prodotto. Tuttavia si risponde che mentre per i bibliotecari le scelte culturali hanno un certo peso sia nello sviluppo delle collezioni sia nella parziale distruzione di opere non più richieste (ma comunque conservate almeno in un esemplare nei fondi delle biblioteche di conservazione storica), nelle scelte degli archivisti tale discrezionalità è minore poiché in tutto il settore pubblico l’accrescimento è regolamentato e nelle selezioni a fini di parziale scarto il criterio prevalente è quello della salvaguardia la più oggettiva possibile delle testimonianze almeno a campione delle attività caratterizzanti la missione specifica dell’ente, qualunque essa sia (sono quindi di norma avviate in gran parte allo scarto le documentazioni di attività meramente strumentali, prevalentemente amministrative). Una parte di discrezionalità è indubbiamente presente anche nelle scelte di priorità dei lavori di descrizione e nelle strategie di comunicazione e promozione del patrimonio culturale a ciascun professionista affidato.

Che vi siano esigenze descrittive diverse, e dunque modalità diverse di accesso da parte degli utenti, è comunque particolarmente evidente per ciò che riguarda gli archivi. Ivi infatti i singoli documenti traggono parte del loro valore giuridico e della loro ricchezza informativa non solo dal loro contenuto, quanto piuttosto dalle relazioni che si sono stabilite tra di loro e il contesto di produzione e d’uso. Perciò il lavoro di ordinamento di un archivio è una impresa talora anche scientificamente assai impegnativa perché presuppone che l’archivista dopo aver studiato le modalità operative e le vicende del soggetto produttore del fondo, cerchi le tracce delle contestualizzazioni originarie e successive dei singoli documenti, in relazione con le funzioni svolte da essi, in modo da poter ricostruire correttamente la struttura originaria del fondo e fornire così al ricercatore una essenziale chiave critica per la comprensione dei documenti. L’archivista, per ottemperare all’obblogo deontologico di imparzialità, di norma preferisce fornire vie per trovare documenti, anziché dare informazioni necessariamente frutto di interpretazioni che l’utente potrà liberamente operare sui dati estratti dai documenti stessi. Infatti dallo stesso documento possono essere tratte informazioni diverse a seconda del modo con il quale viene letto e interpretato. A complicare le cose vi è anche la peculiare caratteristica degli archivi, senza riscontro con gli altri beni culturali, ed è quella di essere originariamente strumento di garanzia giuridica e di efficacia operativa. Solo con il trascorrere del tempo questi valori originari si affievoliscono (senza scomparire, perché un documento medioevale può essere esibito ancora oggi in tribunale) mentre assume maggior rilievo il valore culturale. Poiché in ambiente digitale l’archivio come fonte storica e testimonianza giuridica si salva solo se è organizzato e gestito senza interruzioni con criteri corretti fin dall’origine, gli archivisti devono occuparsi con pari impegno degli archivi nella fase di formazione e in quella di selezione e conservazione storica. La conservazione illimitata di un archivio digitale richiede dunque metodologie che ne salvaguardino non solo il mero contenuto informativo, ma anche autenticità e integrità.

In materia di formazione professionale si è rilevato che sono i dipartimenti universitari di scienze dell’informazione che hanno maggiormente sviluppato corsi integrati per operatori culturali destinati a lavorare in ambienti diversi. Il caso dell’Università di Zadar (Croazia) testimonia tuttavia della sopravvivenza di corsi specialistici, introdotti e completati da corsi unificati, ad es. su come valutare sistemi informativi.

All’Università di Teramo, per progettare attività formative si è partiti dalla constatazione che le richieste degli utenti diventano sempre più fluide e meno inquadrabili in un ambito disciplinare preciso, e che i professionisti dei vari settori culturali hanno interesse a costruire una comunità di valori e di interessi che li rafforzi. Su tale base si lavora nella prospettiva di un corso di e-learning basato sullo schema del corso AIB Librarian reloded; i temi individuati per la formazione comune ai tre settori sono: l’acquisizione dei beni, il loro trattamento e ordinamento fisico e intellettuale, la descrizione, la conservazione, la manutenzione degli strumenti descrittivi, l’orientamento e l’informazione del pubblico, l’educazione degli utenti, la promozione e comunicazione istituzionale, l’analisi del contesto sociale, lo sviluppo dei fondi e delle collezioni, la gestione degli spazi, l’etica professionale, la riflessione sui concetti di servizio e di patrimonio culturale, il sostegno ai colleghi, la tutela della professione, la costruzione di una identità che ispiri fiducia.

L’identificazione professionale e la relativa formazione potranno giovarsi da quest’anno del fatto che due delle tre professioni coinvolte nel coordinamento nazionale italiano MAB (professionisti di musei, archivi, biblioteche), hanno recentemente visto concludersi l’iter di approvazione dello standard UNI descrittivo della rispettiva figura professionale. Il confronto tra i due standard – quello per l’archivista e quello per il bibliotecario - consente di riconoscere rilevanti convergenze, benché gli oggetti dei rispettivi trattamenti siano concettualmente diversi. La gestione manageriale degli istituti è indubbiamente uno dei temi in comune. Tali analogie tuttavia si arrestano ai livelli alti degli schemi descrittivi perché, ad es., l’accrescimento delle collezioni si fa in modo profondamente diverso nelle biblioteche e negli archivi, e lo stesso vale per l’ordinamento dei fondi. Titoli uguali o quasi si rivelano relativi ad attività metodologicamente assai diverse, man mano che si discende nei livelli descrittivi delle funzioni svolte. 

Mentre si approfondiscono in sede scientifica e professionale le collaborazioni possibili, occorrerà individuare con precisione alcuni temi sui quali sarebbe utile l’organizzazione di corsi in comune per fornire agli operatori di musei, archivi e biblioteche strumenti non solo per gestire in modo corretto ed efficace le questioni di confine tra le rispettive discipline, ma anche per inaugurare nuovi modi cooperativi di operare anche in campi tradizionalmente gestiti a compartimenti stagni.

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Immagine di apertura: L. Cortini, Soffiando sulle nuvole, tecnica mista su plastica, 2012

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