A seguito dell'Audizione del 4 ottobre 2013, presso la Commissione D'Alberti del MIBACT, si riportano le osservazioni presentate dall'Associazione Nazionale Archivistica Italiana e un primo commento da parte del Consiglio Direttivo dell'Anai.
Commento
L'impressione dell'Anai, a seguito dell'Audizione del 4 ottobre 2013, di cui si riportano le osservazioni presentate, è che alla maggioranza della Commissione sia chiara la necessità di potenziare e rianimare un settore atipico come quello degli archivi, per metà rivolto a tutelare e comunicare uno straordinario patrimonio storico e per metà, e forse più, proteso a tutelare archivi in via di formazione, in qualità di strumenti di difesa dei diritti, di efficacia dell'azione amministrativa, di trasparenza democratica, ecc. Su come ciò si debba fare, la Commissione non sembra ancora aver scelto che cosa suggerire al Ministro. Sembra diffusa la convinzione che occorra alleggerire le complicazioni e duplicazioni burocratiche, che di debba rafforzare e coordinare l'attività di tutela su tutti gli archivi, e che occorra salvaguardare la dignità degli istituti periferici con un adeguato grado di autonomia scientifica e amministrativa. Un commissario dopo la riunione ammetteva che probabilmente il rapporto finale lascerà aperte alcune alternative, evidenziandone vantaggi e svantaggi.
Le osservazioni presentate
Si premette che la connessione tra la riforma del MIBACT e la revisione della spesa pubblica che ora si prospetta, potrebbe essere una preziosa occasione di razionalizzazione dell’uso delle risorse, ma rischia anche di ridursi di fatto ad un semplice disinvestimento nel settore dei beni culturali, accompagnato da qualche occasionale innovazione strutturale, dopo la raffica di riforme e controriforme del Ministero (1998, 2000, 2004, 2007, 2009). Per rilanciare bisognerebbe investire.
Molto tuttavia dipenderà dalla consapevolezza che Governo e Parlamento riusciranno ad avere della stretta relazione di interdipendenza tra quattro fattori fondamentali:
1) sistema normativo della tutela,
2) organizzazione istituzionale,
3) risorse materiali ed economiche,
4) competenza e qualità del capitale umano.
E’ noto infatti che le più sagge innovazioni introdotte in qualunque triade dei suddetti fattori possono essere facilmente frustrate dalla inadeguatezza dell’unico fattore rimasto fuori dalla riorganizzazione. E’ anche vero che un netto miglioramento di uno qualsiasi dei quattro fattori può ripercuotersi positivamente sugli altri, purchè le innovazioni settoriali siano progettate in modo coerente con il quadro complessivo in cui dovranno funzionare a regime.
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Valorizzare la componente tecnico-scientifica.
Un primo punto cui nessuno pare contrario ma che ancora non ha caratterizzato tutta l’organizzazione del Ministero è il riconoscimento della priorità alla componente tecnico-scientifica. In particolare occorrerebbe restituire agli organi tecnici territoriali tutte le funzioni giuridiche, tecniche, decisionali e autorizzatorie relative alla tutela diretta dei singoli beni ora impropriamente attribuite alle Direzioni regionali. Qualora si rinunciasse alla drastica semplificazione che deriverebbe a livello regionale dall’attribuzione di funzioni di coordinamento al decano dei dirigenti quale presidente di una rinata Conferenza dei capi d’istituto, le Direzioni regionali potrebbero concentrarsi su funzioni di supporto amministrativo e tecnico (ma solo ove la messa in comune di determinati servizi risultasse di effettivo vantaggio per l’efficacia e l’economicità dell’azione), di coordinamento delle azioni di tutela che coinvolgano beni di natura diversa. e – ove occorra - rappresentanza istituzionale del Ministero verso soggetti terzi (senza tuttavia inibire quell’autonomia scientifica e quei contatti diretti di cui Archivi di Stato e Soprintendenze necessitano per consolidare il proprio ruolo di riferimento tecnico gratuito e imparziale in materia di gestione degli archivi, e il proprio prestigio di istituzioni culturali, che alimenta tradizioni talora molto antiche di collaborazione con Uffici statali, Enti pubblici e società civile).
A livello centrale dare più peso alle componenti tecnico-scientifiche significa anche difendere e potenziare una Direzione generale specifica per gli archivi (né fusa con quella per le Biblioteche, per i rischi di confusione metodologica tra i due settori, né scorporata e disciolta in organismi maggiori) per il coordinamento nazionale delle attività di tutela su di un bene che ha duplice natura (sia di strumento immediato di efficacia e trasparenza della PA, sia di testimonianza storica e di ricerca scientifica) e per le esigenze di autorevole partecipazione alla sedi di elaborazione delle strategie e della normativa tecnica in materia di produzione, gestione e conservazione di archivi digitali (in Gran Bretagna le funzioni del nostro Aipa-Cnipa-Aid sono attribuite ai National Archives). Tali ragioni sono sviluppate nell’appunto (“Contro la soppressione della DGA”) già fatto pervenire alla Commissione. Merita altresì di essere salvaguardato l’ICAR, e il complesso delle funzioni tecnico-scientifiche, che esercita.
Per quanto riguarda le sedi degli istituti archivistici, se si vuole rinunciare a riconoscere a tutti pari dignità (come fu sostenuto in dottrina commentando la “catastrofe” per gli archivi della creazione della dirigenza con DPR 748/1972), si potrebbe prevedere che un limitato numero di sedi dirigenziali (ora inopportunamente coperte ad interim, con disagi d’ogni genere) siano affidate stabilmente a funzionari direttivi muniti di indennità di servizio. Ma occorrerebbe istituire organici distinti per i dirigenti di ogni professionalità (art. 23 DLgs 165/2001), al fine di evitare – come accaduto in passato – che per moltiplicare il numero di soprintendenze del settore arti si possano operare tagli al numero dei dirigenti archivisti che non tengano conto della capillarità della rete archivistica sul territorio (o che addirittura superino, per un settore già pesantemente penalizzato in passato, la percentuale di riduzione imposta dal taglio lineare della spending review).
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Alleggerire le strutture burocratiche.
Al fine di potenziare le strutture tecniche centrali e periferiche può essere utile ricordare che nel 1975 il ministero fondato dal sen. Spadolini funzionava con 5 direzioni generali di cui una sola amministrativa. Sembrerebbe dunque opportuno ridurre talune attuali direzioni generali amministrative, intervenendo almeno su quelle che svolgono compiti di sola promozione e finanziamento di iniziative. Peraltro risulterebbe in controtendenza lo sdoppiamento della DG OAGIBP, mentre sembrerebbe auspicabile astenersi dalla creazione di mega-strutture unificate, che poi richiedano al proprio interno ulteriori complesse articolazioni. Si deve riconoscere, ad esempio, che non è stata felice l’esperienza del Dipartimento Archivi-Biblioteche, per l’appesantimento e rallentamento burocratico che comportò.
Una Direzione generale unica per la tutela del patrimonio non eliminerebbe la necessità di uffici con personale specializzato nei singoli settori, ma li depotenzierebbe ulteriormente, sia come inquadramento gerarchico, sia rispetto alle carenze già rilevanti delle Direzioni generali tecniche attuali (la Direzione per gli Archivi che qualche anno fa aveva 4 dirigenti tecnici, ora ne ha solo più due). Il modello basato sulla presenza del Segretario generale potrebbe sfuggire al rischio di accentramento burocratico ove si limitassero le funzioni delle Direzioni regionali a ruoli di supporto amministrativo, come specificato al punto A).
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Rendere possibili soluzioni organizzative flessibili.
Ferma restando la necessità che gli organi preposti alla tutela e alla conservazione le possano esercitare in modo efficace ed uniforme su tutto il territorio nazionale, si potrebbe meglio sfruttare la diversità delle situazioni reali nei diversi ambiti territoriali, senza costringere tutti negli stessi vincoli di uniformità istituzionale. Sarebbe cioè opportuno – là dove la convergenza di volontà e risorse lo consiglino – potenziare gli strumenti per consentire agli organi periferici MIBACT, agli Enti pubblici locali, alle istituzioni culturali e alla società civile di mettere in comune risorse promuovendo forme consortili di organizzazione per gli archivi (ma la soluzione è applicabile anche ad altri beni), in una prospettiva non di mera conservazione ma anche di valorizzazione culturale integrata. In tal modo una innovazione organizzativa potrebbe facilitare la tutela del patrimonio in forme partecipate.
Va peraltro salvaguardata la giurisdizione regionale delle Sovrintendenze archivistiche, e la struttura territoriale degli Archivi di Stato, non necessariamente legandola alle circoscrizioni provinciali, e vanno cercate modalità di più intensa collaborazione nell’esercizio della tutela sugli archivi statali e non statali, la cui disciplina andrebbe uniformata nel Codice, per un esercizio più efficace anche con riferimento agli uffici statali. Mantenendo la piena autonomia dell’Archivio centrale dello Stato e degli Istituti maggiori, sarebbe utile potenziare il coordinamento regionale, sovraregionale e nazionale dell’attività di tutela e gestione del patrimonio archivistico, senza privare i responsabili dei singoli istituti dell’autorevolezza e dei margini di autonomia anche amministrativa necessari per svolgere tempestive ed efficaci attività in sede locale. Poiché tale coordinamento si presta a vantaggi e svantaggi, a seconda delle possibilità e modalità operative, potrebbe essere fruttuoso sperimentarne l’effettiva capacità di semplificazione in un paio di regioni di estensione diversa, prima di decidere se estendere il meccanismo man mano che le condizioni (mezzi finanziari e personale) lo consentiranno.
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Curare la ricostituzione degli organici e la formazione continua.
Per consentire ad Archivi di Stato e Soprintendenze di esercitare con efficacia le funzioni di tutela (compresa la conservazione e fruizione) occorre ovviamente che il personale tecnico-scientifico sia in numero sufficiente (anche per ricoprire stabilmente i ruoli di direzione degli istituti non dirigenziali), adeguatamente coadiuvato da personale amministrativo, ben distribuito sul territorio, continuamente aggiornato dal punto di vista professionale per affrontare i delicati problemi della tutela sugli archivi dalla fase iniziale della loro formazione con le nuove tecnologie, fino alla sfida della conservazione affidabile del digitale. In tal modo si potrebbe utilizzare al meglio la possibilità di fare ricorso per lavori specialistici ad archivisti libero professionisti esterni all’Amministrazione, che richiedono comunque programmazione e controllo da parte del personale strutturato.