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Il restauro e la salvaguardia dei sigilli: aspetti poco noti del panorama archivistico italiano
Mercoledì, 31 Ottobre 2012

Il restauro e la salvaguardia dei sigilli: aspetti poco noti del panorama archivistico italiano

Luca Becchetti
Sezione Attività

Pur avendo maturato esperienze importanti da circa un secolo in ambito internazionale, il problema della salvaguardia dei sigilli fatica a trovare con continuità, nel panorama italiano, applicazioni adeguate alle esigenze di tutela di un patrimonio culturale ingentissimo e spesso trascurato. Non sempre si ha la chiara percezione da parte dei conservatori, infatti, che all’interno di archivi pubblici, ecclesiastici o privati molte pergamene sono provviste di straordinari sigilli pendenti, oggetti che conferivano loro patente di autenticità, o che semplici documenti privati, presenti a centinaia di migliaia nei faldoni seicenteschi, sono provvisti di raffinati sigilli aderenti di ceralacca.

Il manufatto sigillo per la sua duplice valenza di oggetto metallico, la matrice, destinata ad imprimere l’immagine o impronta che da questa deriva, può collocarsi nei due aspetti tanto nei musei quanto, soprattutto, negli archivi. Se dunque, nella prima connotazione spicca la caratteristica di oggetto di interesse archeologico, nella seconda prevale la peculiarità diplomatico-archivistica, essendo appeso o aderente ad un supporto scrittorio. In entrambe le situazioni, tanto le matrici quanto le impronte hanno subito, in molti casi, le ingiurie del tempo e degli uomini. Se le prime, dopo l’uso strettamente legato alla vita del suo possessore, spesso venivano disperse, andando perdute o confluendo attraverso il mercato antiquario in situazioni di disomogenea conservazione, le impronte o i sigilli veri e propri, non sempre erano considerati oggetti cui riservare la stessa cura dei documenti ai quali erano apposti. Il problema del restauro e della conservazione dei sigilli, in virtù di tali preliminari considerazioni, assume una connotazione ancor più negativa se si tiene conto che le caratteristiche materiali di questi manufatti presentano una natura complessa. Questi, infatti, sono da considerarsi oggetti polimaterici, ossia costituiti da metallo (ad esempio le bolle pontificie) ma anche cera, ceralacca, carta, oro. A questi materiali si affiancano, inoltre, le strutture che li vincolano ai documenti, ovvero gli elementi tessili o i materiali che costituiscono le teche di protezione entro cui erano collocati (latta, legno, ottone). Da questa panoramica si comprende bene come un’approccio di restauro basato su una visione monotematica, sia stato spesso più che deleterio per la conservazione dei sigilli, soprattutto nelle epoche passate. Secondo le nostre esperienze e per quello che si è potuto apprendere dalle ingenti fonti sfragistiche con cui siamo venuti in contatto, molti sono stati i sigilli erroneamente conservati o addirittura separati dai documenti di appartenenza. Oggi, fortunatamente, le prospettive cominciano a disegnare nuovi orizzonti tanto nel cercare di contenere le cause di degrado, quanto di assicurare mediante interventi conservativi le situazioni di ripristino e garantire, attraverso una politica di condizionamento concepita ad ampio raggio, le migliori condizioni ambientali di conservazione.

Entrando nello specifico, ricordiamo che il sigillo può patire danni sia da un punto di vista fisico che da quello chimico. Nel primo caso l’errata manipolazione e conservazione può creare danni di natura traumatica, come abrasioni, frammentazioni, deposizione di incrostazioni che rendono inintelligibile il particolare iconografico della superficie. Chimicamente, invece, il degrado può apparire sotto forma di sfaldamenti, soprattutto nei sigilli di cera vergine, per cause relative alla struttura cristallina della materia e per errate condizioni termoigrometriche; nel caso dei sigilli di piombo spesso i conservatori-restauratori debbono fronteggiare la temuta carbonatazione, ossia la disgregazione del materiale da un punto di vista molecolare che, se non affrontata tempestivamente, può portare alla totale disgregazione del sigillo. Le tecnologie moderne offrono molteplici possibilità di intervento e materiali idonei che consentono la ricostruzione delle parti mancanti, la riunione dei frammenti, il consolidamento delle parti fragili; nei casi gravi di degrado del piombo, è possibile impiegare la metodologia di riduzione elettrolitica che permette di arrestare il processo di disgregazione. Tuttavia, in campo sigillografico come del resto in quello della tutela dei beni culturali in generale, dover restaurare indica in qualche misura un certo fallimento nella politica di conservazione; dunque, solo pianificando su larga scala la rimozione delle condizioni nocive di condizionamento in cui sono conservati attualmente i sigilli, si potrà assicurare la fruizione del patrimonio sfragistico alle generazioni future.

In questa direzione e secondo queste linee guida si è espletata l’intensa e feconda attività - ormai trentennale - del Laboratorio di Restauro dei Sigilli istituito presso l’Archivio Segreto Vaticano, punto di riferimento nel campo della conservazione di questi oggetti, che sin dagli inizi della sua istituzione ha interpretato tale attività - probabilmente per la prima volta in Italia - secondo i fondamenti filologico-scientifici universalmente accettati nel campo del restauro. La pratica quotidiana pluriennale, affinando le capacità critiche, avendoci consentito di venire in contatto con un’eccezionale varietà di materiale e ponendoci ancora oggi dinanzi, ogni volta, a valutazione di problematiche, ha contribuito a creare opportunità di scelte e impiego di metodologie che hanno portato a risultati concreti in questo complesso campo di applicazione.

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