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Lettera dei giovani archivisti al Direttore de "La Nazione" di Massa
Giovedì, 10 Ottobre 2013

Lettera dei giovani archivisti al Direttore de "La Nazione" di Massa

Arch.i.m
Sezione Attività

Arch.i.m, il movimento dei giovani archivisti nato in rete su Facebook, continua a qualificarsi come attento osservatorio, dal basso, sulla mancata tutela della professione. Anche in questo caso l'Anai, con vivo apprezzamento per la sua attività, è ben lieta di sostenere il Movimento e di pubblicare questa lettera sul Notiziario, ritenendo che la lettera debba essere trasmessa anche al Tribunale di Massa.

In calce alla pagina è possibile leggere la pagina del giornale con l'articolo in questione.

Egregio Direttore,

le scriviamo in merito all’articolo comparso il giorno 27 Settembre su “La Nazione” di Massa Carrara che ha suscitato qualche perplessità all’interno del nostro gruppo, composto per la maggior parte da archivisti liberi professionisti (al seguente link potrà trovare una nostra presentazione:https://www.facebook.com/archivistinmovimento/info).

Il testo, firmato dalla vostra collaboratrice Valentina Conte, riporta, nella parte che a noi più interessa, la stipula, in data 26 Settembre, di una convenzione fra il tribunale di Massa ed alcune associazioni, finalizzata ad avviare un concreto percorso di reinserimento sociale (della durata di sei mesi) per “dieci fra detenuti e soggetti affidati all’Ufficio esecuzione penale esterna da svolgersi attraverso il riordino degli archivi del tribunale e della procura della cittadina toscana e la sistemazione di uffici e arredi”.

Pur condividendo pienamente l'obbiettivo che ispira la convenzione, ossia quello di offrire una prima concreta opportunità di reinserimento sociale ai destinatari del progetto, non possiamo, tuttavia, esimerci dal sollevare dei dubbi circa il modo (e il luogo) in cui l'attività di volontariato dovrebbe svolgersi.

E’ buona norma che ogni intervento di riordino di un archivio avvenga sotto la stretta sorveglianza di un archivista qualificato e sia svolto da personale dotato di adeguata formazione, in grado cioè di operare secondo i principi della disciplina archivistica, anche per quanto riguarda il rispetto della legge sul trattamento di dati riservati.

E’ noto che la documentazione conservata all’interno dell’archivio di un tribunale non può essere più vecchia di 40 anni (l’articolo 41 del d. lgs. 42/2004 obbliga, infatti, gli organi giudiziari e amministrativi dello Stato a versare all'Archivio centrale dello Stato e agli archivi di Stato i documenti relativi agli affari esauriti da oltre quarant'anni, unitamente agli strumenti che ne garantiscono la consultazione) e che essa, in virtù della natura stessa degli affari trattati, contiene facilmente informazioni di natura riservata. Tali informazioni non sono limitate alla sfera penale ma abbracciano anche il ramo civile ed amministrativo, come può testimoniare chiunque abbia avuto a che fare con una successione, un affidamento o qualsiasi altro affare trattato in un tribunale. L’archivio è pertanto sottoposto a strette norme legislative, che impongono l’obbligo della riservatezza totale sui dati sensibili e permangono anche in caso di ritardo nel versamento dei documenti agli archivi storici. Le norme che disciplinano la consultabilità dei documenti dichiarano accessibili, a meno di particolari autorizzazioni da parte del Ministero dell’Interno o secondo quanto stabilito dalla legge 241 del 1990, solo i documenti i cui affari siano conclusi dopo i 40 anni nel caso di dati personali sensibili (idonei, cioè, a rivelare l'origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o politiche), dopo i 50 nel caso di documenti contenenti dati di politica interna o estera di carattere riservato, solo dopo i 70 anni per quelli sensibilissimi (che contengono cioè dati idonei a rivelare lo stato di salute, la vita sessuale o i rapporti riservati di tipo familiare).

Ulteriore riflessione merita la fase decisionale con la quale il responsabile del procedimento seleziona i soggetti ai quali affidare le informazioni soggette a vincolo di segretezza, contenute negli archivi da riordinare.

Sono state considerate tutte le eventualità a tutela sia dei destinatari sia dei responsabili del progetto?

L’attività di trattamento dei dati personali viene, infatti, qualificata come attività pericolosa dall’art. 15, comma 1, del Codice in materia di protezione dei dati personali che recita: “Chiunque cagiona danno ad altri per effetto del trattamento di dati personali è tenuto al risarcimento ai sensi dell’art. 2050 del codice civile.”

Egregio Direttore, restando in attesa di chiarimenti che, speriamo, possano allontanare i dubbi sopra esposti, rivolgiamo un cordiale saluto a lei e a tutti i lettori del suo giornale, nella speranza che possano essere riscoperte e valorizzate sempre di più le ricchezze conservate negli archivi italiani.

Arch.i.m. – Archivisti in Movimento

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