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La visita e la scoperta dell’Archivio Storico di Unicoop Tirreno (ASUT)
Lunedì, 08 Luglio 2013

La visita e la scoperta dell’Archivio Storico di Unicoop Tirreno (ASUT)

Mirko Francioni
Sezione Attività

Ribolla, 1° giugno 2013. L’appuntamento è per le 10 all’Archivio Storico di Unicoop Tirreno (ASUT), dove si chiude il primo ciclo di archimeetings di quest’anno: visite organizzate dalla sezione Toscana dell’Associazione Nazionale Archivistica Italiana per conoscere alcune delle realtà documentarie più significative della regione. E significativo l’ASUT lo è certamente, se, fin dal 1985, la Soprintendenza archivistica per la Toscana lo segnala come archivio di notevole interesse storico – menzione rinnovata nel 2009 con l’ultimo cambiamento di ragione sociale della Cooperativa e il passaggio dell’archivio da Vignale (LI) a Ribolla (GR).

Arriviamo alla spicciolata, chi dalla costa, chi da Siena, chi da Firenze; siamo in pochi, e un po’ rincresce, perché l’incontro e l’intera giornata si riveleranno interessanti, non solo per la storia di Unicoop Tirreno e per quella, per molti versi dolorosa, del paese di Ribolla, ma anche per le esperienze di valorizzazione che ci vengono presentate.

Ad introdurci all’Archivio, gestito dalla Fondazione Memorie Cooperative, nata nel 2011 per consentirgli maggiore autonomia rispetto ad Unicoop Tirreno, sono Enrico Mannari, che della Fondazione è direttore scientifico, l’archivista Antonella Ghisaura e lo storico Marco Gualersi: a loro dobbiamo l’inventario analitico dei documenti, accessibile in rete (www.memoriecooperative.it), di cui è uscita nel settembre dello scorso anno una ricca presentazione in volume: Custodire il futuro. L’Archivio Storico di Unicoop Tirreno.

L’ASUT può definirsi a tutti gli effetti un archivio di concentrazione, che raccoglie i documenti prodotti dalle cooperative che nel corso degli anni, secondo processi talvolta non privi di conflittualità, si sono fuse in quella che è oggi Unicoop Tirreno, ultimo passaggio di un percorso cominciato a Piombino nel ’45 con la cooperativa di consumo La Proletaria e che continua attualmente su scala nazionale, interessando oltre alla Toscana, l’Umbria, il Lazio e la Campania. Un patrimonio di oltre 5000 unità archivistiche, che risale fino al 1908 e che presenta una notevole varietà tipologica: non solo documenti legati alle attività istituzionali – registri di contabilità e verbali delle assemblee e dei consigli d’amministrazione – ma anche foto, volantini, manifesti, supporti audiovisivi: tutto materiale legato a vario titolo alle attività sociali della cooperativa.

Così, al di là della storia di Unicoop Tirreno – su cui ha già scritto pagine importanti Ivan Tognarini – a colpirci di più, come archivisti, è proprio il lavoro portato avanti dalla Fondazione Memorie Cooperative su quest’ultima tipologia documentaria, coinvolgendo direttamente le comunità dei territori in cui la presenza di Unicoop Tirreno è più radicata: oltre alla capacità di fare storia insomma, quella, più difficile, di fare memoria, di operare su quei vincoli comunitari e generazionali che proprio nella società dei consumi tendono ad allentarsi. In tal senso è un piacere vedere le immagini di iniziative organizzate dall’ASUT con le scuole, i soci coop, le università della terza età: iniziative che mettono in dialogo bambini e anziani, i documenti con la memoria vivente di donne e uomini.

Di questa attività di valorizzazione bisogna segnalare almeno uno dei frutti più recenti, prodotto dalla fondazione e dalla cooperativa alla fine del 2012: il volume e il cortometraggio curati da Marco Gualersi e dal regista Carlo Alessandro Argenzi, Piombino, luglio 1972. Un racconto cooperativo, dove, affiancando ai documenti testimonianze orali, si ripercorre un momento forte della storia de La Proletaria, l’incendio del suo maggior punto vendita, un fatto che impressionò la comunità del paese e rivelò insieme tutto il suo attaccamento alla cooperativa – basti ricordare come per sostenere le spese della ricostruzione gli operai piombinesi devolsero in massa il corrispettivo di una giornata di lavoro.

Nella direzione di un recupero della memoria e della sua trasmissione nella consapevolezza dei più giovani, va anche il lavoro di Gabriella Pizzetti, l’antropologa responsabile del centro di documentazione Porta del Parco di Ribolla (www.parcocollinemetallifere.it), con cui visitiamo nel pomeriggio i luoghi ormai dismessi dell’estrazione della lignite. Oggi a Ribolla si avverte la volontà di riappropriarsi di quel passato di centro minerario che l’incidente del 4 maggio 1954, con la morte di 43 minatori – un incidente previsto, raccontato da Bianciardi e Cassola ne I minatori della Maremma – segnò per sempre. Dopo di allora l’attività estrattiva, che del resto scelte dirigenziali e valutazioni di mercato già destinavano alla chiusura, si interruppe; ne rimasero e ne rimangono però i segni nella topografia del paese, ora nella forma di veri e propri reperti di archeologia industriale, lasciati in qualche caso in stato di abbandono, ora in quella di strutture riassorbite nel tessuto urbano – dormitori e alloggi per minatori diventati negli anni scuole e palestre.

È obbedendo ad una simile dinamica – e soprattutto per una forma di risarcimento – che l’ASUT si trova oggi dove un tempo avevano sede gli uffici della Montecatini, la principale società mineraria delle colline metallifere, che sfruttava, tra gli altri, i giacimenti di Ribolla. Per capire il senso di tale risarcimento, entro quale orizzonte vada posto, basta citare l’episodio che Sergio Costalli, presidente della Fondazione Memorie Cooperative, premette alla presentazione dell’inventario: «Quando Coop Unione acquistò l’edificio che ospitava gli uffici della Montecatini – oggi sede del nostro Archivio – questo doveva essere abbattuto per realizzare la nuova sede della Cooperativa. Ai primi colpi di piccone le donne, gli operai, i minatori che erano accorsi a vedere quell’evento importante iniziarono ad applaudire. Applaudivano perché veniva abbattuta la casa del padrone per sostituirla con la casa dei lavoratori che si erano fatti imprenditori di se stessi, che avevano dimostrato che si poteva fare impresa senza il padrone» (Custodire il futuro…, cit., p. 18). 

Applaudivano insomma ad un momento di emancipazione, di libertà, che li coinvolgeva direttamente, e che per noi che guardiamo dall’esterno, a distanza di anni, al di fuori di qualunque sentimento di rivalsa, è soprattutto un momento di trasformazione, un’immagine di avvicendamento: una prova di come l’identità di un paese non si riduca alle sue origini, alle talvolta malintese “radici”, ma sia più ricca, mobile, frutto non solo degli eventi che si subiscono, ma anche della creatività delle persone, della loro perseveranza nel voler cambiare le cose in meglio.

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